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558. La legge immutabile di René Guénon

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Come si è visto, gli insegnamenti di tutte le dottrine tradizionali sono unanimi nell’affermare la supremazia dello spirituale, e nel considerare normale e legittima soltanto l’organizzazione sociale in cui tale supremazia sia riconosciuta e si rifletta nei rapporti dei due poteri corrispondenti a questi due ambiti. D’altre parte, la storia mostra chiaramente come il mancato riconoscimento di quest’ordine gerarchico porti con , sempre e ovunque, le medesime conseguenze: squilibrio sociale, confusione delle funzioni, egemonia di elementi via via inferiori, insieme a declino intellettuale, oblio dei principi trascendenti dapprima, per arrivare poi, discendendo la china, fino alla negazione di ogni vera conoscenza. Va peraltro notato che la dottrina, che permette di prevedere come le cose debbano inevitabilmente seguire questo corso, non ha in sé bisogno di una simile conferma a posteriori; tuttavia, se crediamo opportuno insistervi, è perché essendo i nostri contemporanei particolarmente sensibili ai fatti a causa delle loro inclinazioni e delle loro abitudini mentali, ciò può indurli a riflettere seriamente, e anzi forse questo è l’unico modo per spingerli a riconoscere la verità della dottrina. Se tale verità fosse riconosciuta anche soltanto da un ristretto numero di individui, sarebbe un risultato di notevole importanza, perché soltanto così può cominciare un cambio di orientamento che conduca alla restaurazione dell’ordine normale; tale restaurazione, quali ne siano i mezzi e le modalità, prima o poi avrà necessariamente luogo; è su quest’ultimo punto che occorre dare ancora qualche spiegazione.
Il potere temporale, dicevamo, riguarda il mondo dell’azione e del cambiamento, non avendo in sé la propria ragione sufficiente, deve ricevere da un principio superiore la sua legge, in virtù della quale si integra nell’ordine universale; quando invece si proclama indipendente da ogni principio superiore, non ne deriva che disordine puro e semplice. Il disordine è in fondo la stessa cosa dello squilibrio, e nell’ambito umano si manifesta con quella che viene chiamata ingiustizia, poiché esiste identità tra le nozioni di giustizia, ordine, equilibrio, armonia o, meglio, esse sono soltanto vari aspetti di un’unica cosa, vista da diverse e molteplici angolature a seconda degli ambiti ai quali si applica. Ora, secondo la dottrina estremo-orientale, la giustizia è costituita dalla somma di tutte le ingiustizie, e nell’ordine totale ogni disordine viene compensato da un altro disordine; per questa ragione la rivoluzione che abbatte la regalità è allo stesso tempo la conseguenza logica e il castigo, cioè la compensazione, della precedente rivolta della regalità contro l’autorità spirituale. la legge è negata nel momento stesso in cui è negato il principio dal quale emana; ma i suoi negatori non hanno potuto sopprimere veramente, ed essa si ritorce contro di loro; così il disordine deve alla fine rientrare nell’ordine, al quale nulla può opporsi se non in apparenza e in modo affatto illusorio.
Certo, si obietterà che la rivoluzione, sostituendo il potere delle caste inferiori a quello degli Ksatriya, non è che l’aggravarsi del disordine, e ciò è sen’altro vero se si considerano soltanto i risultati immediati; ma è questo stesso aggravarsi a impedire che il disordine si perpetui in definitivamente. Se il potere temporale non perdesse la sua stabilità proprio non riconoscendosi subordinato all’autorità spirituale, non vi sarebbe alcuna ragione perché il disordine cessi, una volta che sia penetrato nell’organizzazione sociale; parlare di stabilità del disordine è però una contraddizione in termini, poiché esso non è che il cambiamento ridotto a se stesso, per così dire: sarebbe in fondo come cercare l’immobilità nel movimento. Ogni volta che il disordine aumenta, il movimento subisce un’accelerazione, giacché viene fatto un passo avanti nel senso del cambiamento puro dell’”istantaneità”; è per questo che, come dicevamo prima, quanto più gli elementi sociali sono di qualità inferiore, tanto meno dura la loro egemonia. Come tutto quello che ha un’esistenza solo negativa, il disordine distrugge se stesso; è nel suo stesso eccesso che si può trovare rimedio ai casi più disparati, perché la crescente rapidità del cambiamento avrà necessariamente fine; e oggi non sono forse già molti coloro che cominciano ad accorgersi, più o meno confusamente, che le cose non potranno andare avanti così in definitivamente? Anche se al punto in cui si trova il mondo non fosse più possibile un “raddrizzamento” senza una catastrofe, è forse questa una ragione sufficiente per non prenderlo, malgrado tutto, in considerazione, e rifiutarsi di farlo non sarebbe un’altra forma di oblio dei princìpi immutabili che sono al di là di tutte le vicissitudini del “temporale” e che, di conseguenza, non possono essere inficiati da nessuna catastrofe? Prima dicevamo che mai come oggi l’umanità è stata tanto lontana dal “Paradiso terrestre”; ma non bisogna dimenticare che la fine di un ciclo coincide con l’inizio di un altro ciclo; si ricordi l’Apocalisse e si vedrà che è all’estremo limite del disordine, fino all’apparente annientamento del “mondo esterno”, che avrà luogo l’avvento della “Gerusalemme celeste”, la quale sarà, per un nuovo periodo della storia dell’umanità, l’analogo di quello che è stato il “Paradiso terrestre” per il periodo che si concluderà nello stesso istante. L’identità dei caratteri dell’epoca moderna con quelli che le dottrine tradizionali attribuiscono alla fase finale del Kali-Yuga fa pensare, senza troppa inverosimiglianza, che una tale eventualità potrebbe anche non essere molto lontana; e certo si tratterebbe , dopo l’oscuramento presente, del trionfo completo dello spirituale.
Se simili previsioni sembrano troppo azzardate, e tali in effetti potrebbero apparire a chi non abbia dati tradizionali sufficienti per fondarle, si possono almeno ricordare gli esempi del passato, i quali mostrano chiaramente come tutto ciò che si regge soltanto sul contingente e sul transitorio sia fatalmente destinato a scomparire, come sempre il disordine svanisca, e alla fine si ristabilisca l’ordine, sicché, se anche il disordine sembra talvolta trionfare, tale trionfo non potrà essere che passeggero, e tanto più effimero quanto più il disordine sarà stato grande. Senza dubbio la stessa cosa accadrà, prima o poi, e forse prima di quanto si sarebbe tentati di supporre, nel mondo occidentale, dove il disordine si è spinto, in tutti gli ambiti, più lontano di quanto non sia mai accaduto da nessun’altra parte; anche qui è opportuno aspettare la fine; e anche se il disordine dovesse estendersi per un certo tempo a tutta la terra, come si ha qualche motivo di temere, ciò non modificherebbe le nostre conclusioni, giacché si tratterebbe solo della conferma delle previsioni a cui accennavamo poco fa circa la fine di un ciclo storico, e la restaurazione dell’ordine in questo caso dovrebbe solo verificarsi su una scala molto più vasta che in tutti gli esempi noti, ma sarebbe anche incomparabilmente più profonda e integrale, poiché rappresenterebbe il ritorno a quello “stato primordiale” di cui parlano tutte le tradizioni.
D’altronde, quando ci si pone, come facciamo noi, dal punto di vista delle realtà spirituali, si può aspettare senza patemi e per il tempo che occorre, perché si tratta, come abbiamo detto, dell’ambito di ciò che è immutabile ed eterno. La fretta febbrile così caratteristica della nostra epoca prova che in fondo i nostri contemporanei si limitano sempre alla prospettiva temporale, anche quando credono di averla superata, e dimostra che, nonostante le pretese di qualcuno, non sanno affatto che cosa sia la spiritualità pura. Del resto, anche fra coloro che si sforzano di reagire contro il “materialismo” moderno, quanti sono capaci di concepire la spiritualità al di fuori di ogni forma specifica, più in particolare al di fuori di una forma religiosa, e di svincolare i principi da ogni applicazione a circostanze contingenti? Quanti, fra coloro che si pongono come difensori dell’autorità spirituale, immaginano che cosa possa essere questa autorità allo stato puro, come dicevamo sopra? Quanti si rendono veramente conto di quali sono le sue funzioni essenziali e non si fermano ad apparenze esteriori, riducendo tutto a una semplice questione di riti (le cui ragioni profonde rimangono peraltro totalmente incomprese) o addirittura di “giurisprudenza”, che è cosa puramente temporale? Quanti fra coloro che vorrebbero tentare una restaurazione dell’intellettualità non la riducono al livello di una semplice “filosofia”, intesa questa volta nel senso comune e “profano” del termine, e capiscono che intellettualità e spiritualità sono, nella loro essenza e realtà profonda, esattamente la stessa cosa con due nomi diversi? Fra coloro che nonostante tutto hanno conservato qualcosa dello spirito tradizionale, e parliamo soltanto di questi perché sono i soli il cui pensiero possa avere qualche valore per noi, quanti considerano la verità in se stessa e in modo totalmente disinteressato, indipendente da ogni preoccupazione sentimentale, da ogni passione di scuola o di partito, e da ogni proposito di dominio o proselitismo? Fra coloro che, per sfuggire al caos sociale in cui si dibatte il mondo occidentale, capiscono che occorre innanzitutto denunciare l’inanità delle illusioni “democratiche” ed “egualitarie”, quanti posseggono la nozione di una vera gerarchia, fondata essenzialmente sulle differenze insite nella natura propria degli esseri umani e sui gradi di conoscenza ai quali questi sono effettivamente giunti? Fra coloro che si proclamano avversari dell’”individualismo”, quanti hanno coscienza di una realtà trascendente rispetto agli individui? Se qui facciamo tutte queste domande è perché esse permetteranno a chi vorrà riflettervi di trovare una spiegazione all’inutilità di certi sforzi, nonostante le intenzioni eccellenti da cui sono senza dubbio animati coloro che li intraprendono, e anche una spiegazione a tutte le confusioni e i malintesi che nascono nelle discussioni a cui accennavamo nelle pagine iniziali di questo libro.
Tuttavia, finché sopravviverà un’autorità spirituale regolarmente costituita, foss’anche misconosciuta da quasi tutti, compresi i suoi stessi rappresentanti, foss’anche ridotta all’ombra di se stessa, tele autorità avrà sempre la parte migliore, né questa potrà mai esserle tolta, poiché vi è in essa qualcosa di più elevato delle possibilità meramente umane: per quanto indebolita o assopita, essa incarna ancora “la sola cosa necessaria”, l’unica che non sia transeunte. “Patiens quia aeterna” è detto talvolta dell’autorità spirituale, e giustamente, non certo perché qualcuna delle forme esteriori che può assumere sia eterna, essendo ogni forma contingente e transitoria, ma perché in se stessa, nella sua vera essenza, l’autorità spirituale partecipa dell’eternità e dell’immutabilità dei princìpi; è per questo che, in tutti i conflitti che mettono il potere temporale alle prese con l’autorità spirituale, si può essere certi che, nonostante le apparenze, sarà sempre la seconda ad avere l’ultima parola.

René Guénon
tratto da Autorità spirituale e potere temporale
Adelphi Edizioni

Dello stesso autore:
Autorità Spirituale e Potere Temporale – Adelphi 2014
Considerazioni sull’Iniziazione - Luni
La Crisi del Mondo Moderno - Mediterranee
L’esoterismo di Dante - Adelphi
Forme Tradizionali e Cicli Cosmici - Mediterranee
Iniziazione e realizzazione spirituale - Luni
L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta - Adelphi
Il Re del mondo – Adelphi
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi
Simboli della Scienza Sacra - Adelphi

 

 

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