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668. Verso l’uomo sacrale

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L’ente planetario, sia materialista sia spiritualista, è spinto a muoversi, a cercare qualcosa d’indefinito che lo soddisfi, vuole andare oltre la banalità quotidiana: il materialista lo fa in un modo, e con un certo “sentire”; lo spiritualista lo fa in altro modo, con un diverso “sentire” del materialista, ma entrambi, senza che se ne rendano conto, sembrano inseguire una “nostalgia” non ben definita, non ben precisata che li fa correre da un obiettivo all’altro senza sosta.
A questo livello di non-consapevolezza lo spiritualista sta sulla stessa posizione, sullo stesso gradino del materialista, solo la direzione dello sguardo varia e la forma di convincimento, di credenza, ma la credenza non è la realtà. Solo quando oltre allo sguardo si compiono, con gli sforzi necessari, effettivamente i primi passi ci si eleva di un tanto, per cominciare a vedere le cose diversamente dal materialista, dall’identificato con i nomi e con le forme.
Una volta entrato nello spirituale, ai suoi primi passi, lo stato d’animo è quello di chi effettua una chiamata d’aiuto, cerca poteri, una magia, un miracolo, insomma un prodigio. Ai primi passi si ha di fronte una lunga e faticosa strada piena di speranze, di sogni, d’intenti, ma il potere della prima presa di consapevolezza, che spalanca le porte di tutte le possibilità, è lontano. Ma un giorno, dopo molti anni o molte vite, ma soprattutto dopo molte sofferenze, irrompe una “visione”, pochi istanti visionari di un mondo nuovo di possibilità insospettate e “Qualcosa” fa vibrare tutto, dentro e fuori, o almeno cosi viene percepita l’esperienza.
L’ente planetario esce cosi dalle condizioni di uomo ordinario per intraprendere, anche se alle prime scintille consapevoli, il sentiero delle potenzialità che si risvegliano: è il sentiero dei suoi “centri magnetici” (i Cakra); delle scosse del suo antahkarana; dell’uso cosciente delle sue intenzioni capaci di attrarre le Forze Benefiche del Cosmo.
Prima o poi conoscerà, mediante vittorie e sconfitte, il potere delle frequenze dei suoi Cakra (sahasrara, ajna, vishudda, anahata, manipura, svadhisthana, muladhara).
Sperimenterà che il mondo vibra, emette suoni e note non sempre udibili, tutto entra in risonanza con le varie cose ma anche con il suo profondo interiore. L’insieme delle molteplici frequenze del tutto compone il concerto della Vita sperimentabile.

Lo spirituale fa scoprire, a coloro che sono determinati e perseguono, nonostante gli alti e i bassi uguali per tutti nella vita, l’esistenza di connessioni che offrono conoscenze e possibilità incredibili e insospettate.
Il pellegrino (il sadhaka), nello spirituale, scopre come si viene a creare, tra le persone che hanno le stesse aspirazioni, un “campo di energia” entro la quale si mettono in moto delle forze, quelle che a volte inducono esperienze sovrasensibili inconsce, ma che sono in grado anche di condurre a stati di consapevolezza ed al contatto con altri livelli di coscienza. Viene scoperto che un livello di coscienza risponde a certe sollecitazioni e che per questo sono state messe a punto delle apposite tecniche basate sull’aspirazione all’alto (pensiero-intenzione-respiro-preghiera) che fanno superare il mondo spazio-temporale e contattare l’Assoluto Supremo Bene. Per questo gli aspiranti si riuniscono in preghiere corali sapendo di focalizzarsi in una specie di mente collettiva che facilita l’ascesi.
C’è una parte della mente personale di ogni ente planetario che si immerge e si amplia nell’inconscio collettivo (fatto che costituisce la normalità), dove tutte le personalità hanno la loro estensione, e quando tale conoscenza diventa consapevolezza-conoscenza fa sperimentare un certo potere che non dovrebbe però fuorviare il sadhaka ma farlo proseguire risoluto lungo la propria inattaccabile sadhana, con la certezza di poter guardare, senza rischi e serenamente, i successivi traguardi del sentiero realizzativo.

I sadhaka, appartenenti allo stesso gruppo, aventi lo stesso “riferimento” comune (maestro, testo sacro, scuola, asram, ecc.) e che provano un senso di appartenenza allo stesso, hanno, si può dire, un aggregato mentale, una egregora (forma-pensiero-energia) che porta in sé idee ed emozioni di ognuno dirette verso il comune oggetto dell’attenzione. Una egregora viene ad assumere, quando stabilmente alimentata, una vera e propria personalità che una volta formata si assocerà, per sintonia e simpatia, alle forze naturali con cui ha maggiore affinità. Una egregora così formata diventa un contenitore, un serbatoio, un centro di forze e di energie coscienziali a disposizione dei membri del gruppo che gli hanno dato vita.

Cosa spinge un ente planetario verso il Divino? È il Divino stesso in lui.
Per questo la preghiera è un modo naturale, che si fa rito, un’introversione che porta il sadhaka a prendere coscienza del Divino in sé per poi, attraverso un processo di identificazione, renderlo manifesto nel proprio ambiente, nel proprio vivere.
Prima di una presa di coscienza Divina la preghiera usata è vista come una delle tante forme di possibilità, una via all’unione, al compimento, ma una volta sperimentata la prima illuminazione diventa apertura alla Presenza.
Ciascun sadhaka deve trovare la profondità intima per la propria emanazione dello spirito. Ognuno per sé riconosce pensieri, parole, gesti, strumenti per poter passare dal relativo limitato all’eterno immutabile. Il sadhaka avanzato scopre che non può penetrare il Mistero della Realtà Ultima con la sola mente, anzi deve prima conoscere-sperimentare, di sé, il morire al relativo e così vedere nella sua pienezza la vera Totalità, con tutti i piani dell’essere, che è l’unità di tutto e di tutti.
Nell’ascesa ai livelli superiori di coscienza non c’è più posto per gli andamenti indefiniti, le strategie a doppio taglio, anche quando portate avanti in buona fede, quindi nessun uso a fini egoistici ed obiettivi non retti sono possibili.

L’ente planetario ordinario usa simboli, gesti, parole e azioni che hanno una valenza ed una efficacia totalmente differente da colui che si è fatto serio e consapevole sadhaka ed usa tutto ciò, cioè simboli, gesti, parole e azioni spiritualizzandoli perché possano sintonizzarsi con la causa prima: il vero sadhaka ha fatto molto più di una semplice scelta, ha rifondato se stesso per entrare a far parte di quella che viene chiamata sfera del sacro per essere un uomo sacrale in grado di costruire un ponte tra Dio e l’uomo, ed essere l'Uno-senza-secondo.

 

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