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180. Introduzione alla “Isavasyopanisad” di Sankaracarya e Sri Sathya Sai Baba

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Si vuole presentare, di seguito, l’Introduzione” alla “Isavasyopanisad” (Il Divino che tutto avvolge) confezionata nel 1994, da (Padre) Mario Mazzoleni, con i punti di vista di due grandi Maestri di Verità, Sankara e Sri Sathya Sai Baba (Edizioni Milesi).

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di Sankaracarya

I mantra vedici che incominciano con Isavasyam non sono stati utilizzati nei rituali (karma), in quanto servono a rivelare la natura del , il quale non è un corollario del rituale.
La vera natura del Sé è Purezza, Impeccabilità, Unicità, Eternità, Incorporeità, Onnipresenza, ecc., a cui si farà cenno più avanti (Cf. Is. 8). Dal momento che una tale natura (trascendentale) entrerebbe in conflitto con (quella oggettiva) del rituale, è assolutamente ovvio che i versi non vengano applicati al mondo del karma (qui inteso come azione rituale volta al conseguimento della consapevolezza del Sé, NdC). Il Sé, che, definito nella Sua natura reale, non è qualcosa di creato, soggetto a trasformazione, acquisizione o purificazione, né condivide alcunché con agenti o fruitori esteriori, rischierebbe di essere coinvolto come fattore nell’azione rituale.
Inoltre, tutte le Upanisad raggiungono il loro apice massimo in una semplice descrizione del Sé (Atman), come pure la Gita e le altre Scritture trattano dell’emancipazione dell’anima ovvero della realizzazione (Moksa), come unico fine da perseguire. Di conseguenza, le azioni rituali sono state ingiunte presupponendo delle qualità del Sé come la molteplicità, il potere d’azione, la capacità di fruizione, ecc., come anche l’impurità e il resto che viene dato per scontato dal senso comune.
Chi ha una certa preparazione scientifica ed è dotato di quella competenza tipica dell’esperto nel proprio settore, ritiene adatta all’azione la persona che aspira ardentemente ad un risultato, sia esso riferito alla perfezione spirituale in questo mondo o a quella dell’altro, dietro l’immagine del paradiso. Così, quest’uomo dice fra sé: “Io sono nato due volte e sono libero dagli errori che potrebbe commettere un cieco d’un occhio o un gobbo che si cimentassero sulla strada di chi è esperto nell’azione (karma)”.
Questi versetti, dunque, mentre rivelano la vera natura del Sé, dissipano l’ignoranza insita nell’uomo e portano, quindi, alla conoscenza dell’unicità del Sé, per mezzo del quale si sradicano il dolore e l’illusione, con tutto quanto accompagna un’esistenza terrena.

Sankara

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di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Il Signore, intento a rigenerare il mondo, comunicò i Veda per mezzo di Hiranyagarbha, ed a sua volta Hiranyagarbha Li trasmise ai suoi dieci “Figli mentali” (Manasaputra), compresi Atri e Marici. Per loro mezzo i Veda furono diffusi nell’umanità, di generazione in generazione. Col passar del tempo, le ere si cumularono, i continenti si mossero, alcuni Veda si perdettero o furono tralasciati perché di comprensione troppo difficile, finché solo quattro sopravvissero fino ai nostri tempi. Questi quattro furono insegnati da Vedavyasa, il più grande tra gli esponenti dei Veda, ai suoi discepoli, nello Dvapara-Yuga.
Quando Vyasa stava esponendo così i Veda, impegnato a diffondere le Sacre Scritture, un suo discepolo di nome Yajnavalkya incorse nella sua ira e, per punizione, dovette rigurgitare lo Yajur Veda che aveva già appreso, restituendolo alla custodia del suo Guru, e lasciò il paese, per rifugiarsi in Suryadeva, scrigno del tesoro dei Veda. In quel momento, i Saggi che veneravano i Veda volarono sul posto, trasformatisi in uccelli thitthiri, e mangiarono il Veda che era stato vomitato da Yajnavalkya. Questa speciale sezione dei Veda è chiamata Taittiriyam.
Nel frattempo Suryadeva era compiaciuto della devozione e della costanza dell’infelice Yajnavalkya; prese la forma di un vaji, un cavallo, e fece al saggio la grazia di rinnovargli la conoscenza dello Yajurveda. Questa parte insegnata dal Vaji venne chiamata Vajasaneyi, e lo Yajurveda propagato da Vedavyasa è detto Krsnayajurveda, mentre quello consegnato da Yajnavalkya è il Suklayajurveda. In essi, i primi capitoli sono dei mantra riguardanti il Karmakanda, e gli ultimi trattano dello Jnanakanda.
La Isavasya Upanisad si occupa di questa Jnanakanda. Tale è il suo nome, perché il mantra di apertura comincia con le parole “Isavasyam”:

Isavasyam sarvam yatkin cajagatyam jagat |
Tena tyaktena bhunjitah, ma grdhah kasya svit-dhanam | |

Tutte le cose di questo mondo, il transitorio, l’evanescente, sono ravvolti dal Signore, che è la vera Realtà di ognuno. Perciò devono essere usate con ossequiente rinuncia, senza brama né cupidigia, perché appartengono al Signore, non a persone.

Cioè, l’Universo è l’Immanenza del Signore, la Sua Forma, il Suo Corpo. È errato considerare distinti e differenti l’Universo e il Signore suo. È un’illusione, un prodotto dell’immaginazione dell’uomo. Come la tua immagine nell’acqua non è diversa da te, l’Universo (che è la Sua Immagine prodotta dalla tua Ignoranza) è lo stesso di Lui.
Finché l’uomo vive in quella illusione, non può vedere la realtà immanente in lui e scivola in errori di pensiero, di parola e d’azione. Un pezzo di legno di sandalo, immerso nell’acqua, manda cattivo odore; ma se lo togliamo di lì e ne facciamo pasta di sandalo, ritorna il profumo primitivo. Quando l’autorità dei Veda e delle Scritture Sacre è rispettata e la discriminazione è acuita con la pratica delle azioni consone alla Legge Divina Universale (Dharmakarma), il puzzo dell’errore e della malvagità sparisce ed emerge il profumo puro ed innato dell’Atma.

Allora sparisce la dualità dell’agente e del fruitore e raggiungerai lo stadio detto di Sarvakarmasannyasa, del ritiro da ogni attività. In quest’Upanisad viene descritto tale tipo di Samnyasa o rinuncia come via verso la Liberazione, Moksa.
Il Samnyasa, che implica la distruzione di tre necessità (di un compagno o di una compagna, di prole e di averi), è ben difficile a raggiungersi, perché bisogna avere la purezza della mente (citta).
In questa Upanisad, i mezzi per arrivarci sono indicati nel secondo mantra. Sono: eseguire l’Agnihotra, ecc., come è prescritto nelle Sastra, credere che per ottenere la Liberazione occorre impegnarsi attivamente in tal senso; convincersi che nessun peccato vi può attaccare se siete in questo lavoro. Il lavoro senza desiderio del frutto che può dare, a poco a poco porta via le impurità come nel crogiolo dell’orafo. La mente pura è Conoscenza (Jnana); è il coronamento del distacco.
Se sei capace di spogliarti del desiderio, mentre fai un’azione, nessuna impurità ti toccherà.
Sai che i semi di chilliginji, gettati nel fango, hanno il potere di separare lo sporco e di farlo precipitare sul fondo; anche il seme precipita e sparisce! Allo stesso modo, chi si dedica al compimento di azioni (karma) senza desiderio avrà la mente totalmente pura, ed i risultati delle sue azioni perderanno la loro efficacia e cadranno sul fondo.
Dei diciotto mantra di questa Upanisad, solo i primi due trattano direttamente del problema della Liberazione e della soluzione. Gli altri sedici elaborano questa soluzione e servono da commento.
L’Atma non soffre nessuna modificazione, eppure è più veloce di ogni mente. È questo il mistero e il miracolo; Esso sembra sperimentare ogni stato, ma non cresce, non declina, né cambia. Per quanto sia ovunque, non è percettibile dai sensi; è a causa della sua esistenza come substrato e della sua eterna immanenza che avviene ogni crescita, ogni attività e ogni cambiamento. Causa ed effetto agiscono per effetto dello strato basilare della Realtà atmica. Ebbene, lo stesso termine Isa ha questo significato. L’Atma è vicina e lontana, interna ed esterna, ferma ed in moto. Chi conosce questa Realtà merita il nome di Jnani, Sapiente.
Infatti, l’ignorante non potrà mai afferrare il fatto dell’immanenza dell’Atma. Chi ne è conscio vede gli oggetti, e sente la Sua presenza entro di essi, e coloro che hanno perso la consapevolezza cercano il gioiello mentre lo indossano. Uno può sapere tutto, ma concepire l’Atma come se si trovasse in qualche luogo inavvicinabile, proprio perché non ne è conscio. Invece il Sapiente, che ne è consapevole, vede l’Atma in tutti gli esseri, e vede tutti gli esseri come Atma. Tutti per lui sono uguali e non vede differenza alcuna; ed è così salvo dal dualismo.
La Isavasya espone con chiarezza a tutti questa grande Verità. Il Saggio che ha provato questa visione non sarà più agitato dalle raffiche della fortuna o dall’adescamento dei sensi: vede tutti gli esseri come sé stesso, con la sua stessa identità innata; è libero da ogni legame, dal Dharma e dall’Adharma,  – dal Giusto e dall’Ingiusto – e dalle necessità ed impulsi del corpo. Egli è “Autorisplendente” (Svayam-prakasa). La sua vera forma non è più quella di un individuo (jiva-rupa), e neppure il corpo grossolano (Sthula-sarira), né quello sottile (Suksma-sarira).
Perciò, il primo mantra della Isavasya espone la pratica della Conoscenza (Jnananistha) caratterizzata dall’assenza di ogni sorta di bramosia. Questo è il significato primo (vedartha) dei Veda. Ma coloro che hanno desideri trovano difficile stabilirsi in questo stato mentale o nistha. Allora, per costoro il secondo mantra indica un mezzo secondario, il costante adempimento dei doveri del proprio stato (Karmanistha). I restanti mantra elaborano e sostengono questo stato mentale, basandosi sulla Conoscenza e sull’Azione. L’adempimento dei propri doveri o Karmanistha ha come impulsi cardinali il Desiderio e l’Illusione; l’esercizio della Conoscenza, o Jnananistha, ha il Distacco, la convinzione che il mondo non sia Atma, ossia non sia reale, e che perciò non sia profittevole averci a che fare. L’atteggiamento del Distacco (Vairagya) è la porta che apre sulla pratica della Conoscenza. Dal terzo all’ottavo mantra viene descritta la natura reale dell’Atma, condannando l’ignoranza (Avidya), che impedisce la comprensione dell’Atma.
Così, la Isavasya insegna la lezione della Rinuncia nel suo primo mantra e, nel secondo, la lezione dell’”attività liberatrice” (per mezzo dell’azione scevra da sentimenti di attrazione e repulsione). Nel quarto e nel quinto mantra parla del Principio dell’Atma o Atmatattva, e poi dei frutti che la conoscenza del Principio atmico dona. Nel nono mantra viene indicato il sentiero della liberazione progressiva, il Karmamukti, ossia la Liberazione che si ottiene attraverso la Via della rinuncia totale, ma che si vuole dedicare allo sviluppo morale e alla purificazione interiore). È la via che coordina tutte le azioni sul principio dell’interiorizzazione (Upasana).
Chi si impegna in azioni contrarie alla Sapienza (Vidya) è pieno di Ignoranza metafisica (Ajinana), dice il testo; coloro che si dedicano allo studio e alla pratica di forme divine sono ancora peggiori, perché il loro desiderio è di acquistare poteri ed abilità. La Sapienza – vi si dice – conduce al Paradiso (Deva-loka), l’Azione al Regno degli Antenati (Pitr-loka). Così, la Conoscenza che conduce alla realizzazione del Sé (Atma-saksatkara) è qualcosa di ben diverso e nessun tentativo di coordinarle può aver successo.
È ovvio che non si deve fare nulla che vada contro le Scritture; in ultima analisi, tutte le azioni sono classificate come Ignoranza o Avidya. Nel migliore dei casi, l’azione può servire solo per purificare la mente, e gli atti di culto a Dio (Upasana) possono condurre alla concentrazione della mente. La preghiera e il culto debbono elevarsi al livello dell’adorazione della Divinità Cosmica, l’Hiranyagarbha.
Prima che la vita finisca deve maturare e tradursi in liberazione dell’anima (Jivanmukti).
La Conoscenza del Divino (Devata-Jnana) e l’adempimento dei doveri del proprio stato (Karma-nistha) devono entrambi esser complementari e coordinati; allora sarà possibile sfuggire al ciclo delle nascite e delle morti, e divenire Divini.

Sai Baba

 


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