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563. I Misteri del Lingasarira

Domenica 25 Gennaio 2015 00:00 Rosario Castello
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Tantissimo tempo fa, del tempo mortale, le Strade Alte presero atto del drammatico decadimento intellettuale e spirituale degli enti planetari del pianeta Terra (che sperimentarono l’oblio della coscienza spirituale e divennero dimentichi della loro natura originaria e della loro provenienza divina) e decisero di porvi rimedio offrendo loro una possibilità, disponendo una particolare “procedura iniziatica” che consta di due “processi” di reintegrazione per il risveglio, l’illuminazione, la realizzazione e la liberazione:

Questa Conoscenza è quella che costituisce, e prende il nome, di Tradizione Primordiale, Tradizione Universale, dalla quale si svilupperanno diversi Rami tradizionali sia in Oriente sia in Occidente.

I piccoli misteri conducono alla realizzazione dello stato umano perfetto, all’Uno principiale (Brahman saguna).

I grandi misteri conducono alla realtà metafisica, alla sperimentazione dell’Uno-senza-secondo, all’Assoluto (Brahman nirguna).

La Tradizione Primordiale, nella sua posizione originaria, non è mai toccata da alcun cambiamento epocale, ma il profano mondo del divenire, sempre mutevole, ha sviluppato Rami tradizionali relativi fino a creare anche i confusi territori di innumerevoli rigagnoli occulti.

La Tradizione Primordiale è sempre presente, immutabile e riconoscibile per i “pronti” che hanno conquistato la dovuta qualificazione. I Rami tradizionali da Essa derivati si sono contrastati e combattuti perdendo di vista il filo che unisce tutti i Rami dello stesso Albero (Tradizione Universale). Ogni Ramo non è altro che un’espressione formale di un’unica Realtà.
I vari Rami tradizionali dimenticano che differiscono, gli uni dagli altri, solo esteriormente, cioè nella sfera del mondo sensibile. Infatti è la Visione metafisica (dei “grandi misteri”, “paravidya”) che può risolvere le apparenti diversità, eliminando l’avidya-ignoranza dell’ente decaduto-disceso-incarnato.
I profani si rincorrono e si combattono per ignoranza metafisica ma un ente-discepolo della Conoscenza Suprema (Vidya) non può e non deve vivere di opinione (errata o relativa) ma di Verità.
Un ente-discepolo d’oriente o d’occidente, quindi, pur camminando su una “via” (la “parte”) a lui più consona deve sapere di doverla trascendere per giungere e comprendere l’”Intero”; solo la “prospettiva” superiore, cioè metafisica può condurre alla fine del “Viaggio”.
Eppure anche l’atteggiamento verso il Sacro si è differenziato tra i vari Rami: l’orientale ha mantenuto di più una naturale disposizione verso il Sacro ed una attitudine impersonale mentre l’occidentale, eccessivamente individualista, ha sviluppato un esasperato aspetto discorsivo, cioè un troppo stimolato intelletto che non è però la buddhi.
Comunque in questa tappa finale del Kaliyuga tutta la società umana mondiale è “caduta” in un oscuro materialismo dove tutti sono contro tutti: impera la divisione.
L’umanità si è distaccata dal Principio e così ogni concezione relativa è armata di arroganza e presunzione: dilaga la devozione all’ignoranza.
Così è l’ego che caratterizza l’Anima incarnata (Jivatman).

Eppure il Sentiero del risveglio interiore è in ciascun ente planetario per fattore naturale. L’ente planetario ordinario non pensa a se stesso quale a una essenza divina e spirituale e ciò lo porta a commettere errori di diversa natura. Egli si crede corpo, mente, emozioni, pensieri, personalità, l’insieme di tutto questo che relaziona con gli altri enti planetari. Si ferma a questo livello superficiale e non autentico: l’impalcatura-apparato di sensazioni-mente-emozioni. Ciascun ente planetario dovrebbe prestare attenzione, invece, a un livello più profondo, quello dove vive ciò che egli è veramente. Dovrebbe spostare l’obiettivo della propria attenzione verso l’essenza più profonda, quella vera, eterna, atemporale, quella che riconduce alla realtà assoluta del Regno Spirituale. si tratterebbe di spostare il baricentro verso la propria vera identità spirituale.

Il Regno Spirituale è quella Realtà oltre il tempo, lo spazio e il pensiero stesso che noi chiamiamo la “Sfera dell’Alto” (il puro “Regno Spirituale” di Dio).

Tutto ciò che è presente nella manifestazione è soggetto a fare esperienza, per risolversi e reintegrarsi oltre il piano del “nome” e della “forma”.

La Manifestazione Universale (Prakrti) è quella realtà costituita da tutti quegli “elementi”, grossolani e sottili, che ne fanno un’immensa espressione unitaria, visibile e invisibile: una realtà relativa di nomi, forme, quantità, stati molteplici nel mondo del divenire, del cambiamento, del mutamento. Noi la chiamiamo la “Sfera del Basso” (l’intera manifestazione universale, grossolana, sottile e causale, degli infiniti esseri degli infiniti mondi manifestati).

Quella nella Prakrti è solo un “esperienza”, un viaggio negli stati molteplici della coscienza: un viaggio nell’individuale e nell’universale.

Tutti gli “esseri” che prendono “nome” e “forma” (veicoli grossolani e sottili), in qualsiasi punto-luogo-condizione (localizzati) della Manifestazione Universale, sono gli “Esseri Luminosi delle Origini” decaduti (soggetti alla discesa-caduta-incarnazione) dalla “Sfera dell’Alto” alla “Sfera del Basso”, salvo eccezione per alcuni “mai-caduti” con il mandato di “aprire” vie ascendenti di ritorno (Avatara, Maestri, Iniziati), un’irruzione benefica del non-umano nella storia umana.

Tutta l’impalcatura della totalità sottile e grossolana è solo la possibilità di questo viaggio-esperienza della coscienza: uno scendere-estendersi nei mondi più grossolani e un ritirarsi-ritornare nei mondi sottili per, infine, trascenderli.

Ecco, quindi, l’instaurarsi di una Linea diretta, di Maestri, extra-storica di quanto viene chiamata la Tradizione Primordiale (Centro Spirituale Supremo dove risiede il Dipartimento dell’esoterismo). Questi Maestri lasciano, nel mondo del divenire, le loro “orme” (gli insegnamenti e i loro iniziati) per introdurre i semi, per le vie di ritorno alla “Sfera dell’Alto”, nel mondo umano (con la rivelazione del mistero della carne e del sangue della specie umana decaduta e oscurata intellettualmente e spiritualmente).
Un Maestro è la rappresentazione di Dio, del Regno Spirituale: è testimonianza della Realtà spirituale, quindi ponte per gli esseri umani addormentati nella coscienza. Un Maestro è l’orma di Dio che cammina sulla terra.

Con il processo della nascita un “essere” spirituale (Atman) che si incarna nella Manifestazione Universale, scegliendo il pianeta Terra, entra nella specie umana e diventa “essere umano” (un’anima vivente, Jivatman). Prima di nascere, e dopo la morte, un essere che passa ad un altro “stato di esistenza” non può chiamarsi “essere umano”. È con la nascita nel mondo terrestre che gli “esseri” diventano “esseri umani” (da Atman a dei Jivatman).

In questa ”esperienza” è fondamentale il risveglio, la presa di coscienza per recuperare lo smarrimento nella materia: l’intrappolamento nel samsara è la triste conseguenza del disperdersi nell’oblio. Aver creduto nella molteplicità, nella separazione, nella divisione, nella diversità è stato un “cadere” nell’Errore, nell’inganno che ha favorito la trappola samsarica, quelle catene della ciclicità dalle quali gli enti planetari non sono stati più in grado di recuperare stessi (il loro vero Sé sovrano).

Uno Spirito-Anima (Atman), incarnato nel mondo del divenire (come Jivatman), con l’esperienza della morte ha solo due “uscite” attraverso le quali passare dalla struttura corporea, grossolana e sottile, alla realtà non più umana: il Cakra della Corona (sahasrara), per chi ha raggiunto lo stato di Saggio (di Vidya) e il Cakra del plesso solare (manipura), per chi, anche se avanzato, ancora versa nell’ignoranza metafisica (avidya).

Esiste una costante immortale che non può nascere né morire e non può trasmigrare: è l’Atman, il puro Essere, lo Spirito puro.

La nascita e la morte sono solo cambiamenti di stato: la nascita in uno stato rappresenta la morte in un altro stato, così la morte a uno stato è, allo stesso tempo, la nascita in un altro.
Una modificazione di stato è contemporaneamente una morte e una nascita all’interno di un grande ciclo di esistenza (nella Manifestazione, Prakrti) dove giocano fattori mutabili che girano intorno ad un principio immutabile.
L’essere (Atman) che “nasce” non perde la sua identità essenziale e neanche viene alterata dal mondo dei mutamenti particolari e contingenti: l’identità essenziale resta immutata ma avvolta in una serie di “stati condizionati” che limitano, anche obliando le origini (la provenienza), nel mondo del divenire. Questa serie di “stati condizionati” è il principale motivo di attenzione, per una corretta operatività, all’interno di una Sadhana (sentiero spirituale consapevole).

Con la morte il Jivatman riassorbe in se tutte le facoltà che restano come possibilità e si ritrae nella propria sede, nel centro dell’individualità (Hrdaya Cakra) dove, al di là della Manifestazione (Prakrti), è identico a Purusa che provoca, con la sua sola presenza, le attività della Prakrti che manifesta il mondo. L’apparente distinzione è illusoria.
La Luce di Hrdaya Cakra (il Cakra dagli 8 petali a cui sono dediti i Saggi della Vidya, cioè i Rsi) illumina il passaggio dal quale l’Anima vivente (Jivatman) deve uscire, uscita dalla struttura illusoria per poter raggiungere i diversi stati contemplati: il punto d’uscita, ripetiamo, per i Sapienti (“conoscitore”, vidvan) è Sahasrara Cakra (il centro della Corona sopra la testa) mentre il punto d’uscita, per chi (“non conoscitore”, avidvan) non si è ancora liberato dalla maya (illusione-ignoranza in senso filosofico), è il Manipura Cakra (plesso solare, potere egoico).

Gli esseri umani non-liberati, che formano una folta moltitudine planetaria, possono definirsi dei “condizionati differenti” che si arrampicano sulle scale inesistenti delle illusioni che infliggono gratuita sofferenza.

Non tutti coloro che si sono risvegliati spiritualmente stanno allo stesso livello e grado: la conclusione del processo di risveglio è la “Liberazione” (Moksa o Mukti). Chi è rimasto vincolato, con la ruota del samsara, alla specie umana senza aver raggiunto lo stato di “Liberazione”, al momento della morte lo aspettano una serie di stati intermedi (non definitivi) da attraversare, come vere e proprie tappe di un viaggio (nel relativo sottile) dove effettuare conseguimenti che lo avvicinano sempre di più alle condizioni della “Liberazione” e ritornare (reincarnarsi, cioè l’Atman si riveste di un nuovo ego-corpo-personaggio) nel terrestre per proseguire l’opera inconclusa.
Vi sono cose che possono agevolare quando si è nello stato corporeo grossolano e altre quando ci si trova nello stato-struttura-sottile. Quando si entra nello stato di morte il Jivatman si ritrae per favorire agilmente l’abbandono della forma corporea grossolana. Non bisogna dimenticare che, per il fine supremo della “Liberazione”, le forme esteriori fungono da supporti, da mezzi per produrre risultati di un ordine però differente da quello a cui appartengono. L’essere quando è “essere umano” (anima vivente, Jivatman) ha bisogno di questi mezzi sia per la sua posizione coscienziale di decaduto sia per la sua stessa costituzione: il passaggio dallo stato individuale allo stato incondizionato è il fine.
Le forme esteriori come i riti e pratiche come quelle dello Yoga (per esempio, ma anche quelle della Qabbalah, ecc.) possono diventare, nella Manifestazione, possibilità permanenti e immutabili e considerandoli tali, creando un’esistenza positiva, si permette la trasposizione dell’individuale nell’Universale. Questi mezzi (riti o asana, mudra, mantra, yantra, bandha, pranayama, ecc.) formano un corpus di accessori quali supporti degli atti interiori che tendono ad ottenere un’illuminazione interiore per l’aspirazione dell’individuale verso l’Universale, verso una completa realizzazione metafisica.
Chi oltrepassa l’individualità non ha più bisogno di supporti per influire su una condizione ulteriormente superiore.
Lungo la sadhana, sperimentare certi stati superiori significa avviare il sadhaka-yogi-praticante ad una “Liberazione” graduale (Krama-Mukti). Sperimentare una “Liberazione” graduale comporta il vivere uno stato di “discontinuità” più o meno profonda. Il fatto è che non esiste, tra lo stato dell’essere non-liberato e quello dell’essere liberato, alcun rapporto del genere di quelli esistenti fra gli stati degli “esseri umani” ordinari. A volte, in certi casi del genere, viene sperimentata una grande sofferenza che però deve essere trasmutata perché la sua permanenza senza controllo può aprire fenditure rischiose.
La totalità dei corpi, grossolani e sottili, è necessaria al Jivatman ma, perché tutto l’iter del sentiero realizzativo sia davvero funzionale allo scopo supremo, è fondamentale prendere consapevolezza dell’intera struttura-sottile. L’impalcatura della struttura-sottile è determinata da migliaia di arterie (nadi) sottili e luminose (canali formati da prana specializzato) che costituiscono i corpi sottili, i Cakra, l’Aura che formano, insieme al corpo fisico grossolano (Deha), il Campo di Esistenza a disposizione del Jivatman, l’Anima vivente. Una di queste arterie principale (nadi) chiamata susumna (posizionata come canale centrale nel corpo, lungo il midollo spinale) attraversa il Cakra Coronale (sahasrara), regione corrispondente agli stati superiori dell’essere. Le altre due nadi che l’affiancano, importanti anch’esse, una a destra, pingala, e l’altra a sinistra, ida sono in relazione con i due occhi fisici, oltre le due narici per la respirazione-prana. Susumna, invece, è in relazione con l’occhio frontale di Siva che guarda al Continuo-Infinito-Presente.
Susumna è importantissima perché la Kundalini risvegliandosi ascende attraverso di essa se purificata giustamente.
È importante comprendere che gli organi sottili svolgono operazioni e manifestazioni grossolane nel corpo fisico: per questo si sente dire, a volte da alcuni Maestri, che lo Yoga svolge operazioni alchemiche. Nervi, plessi e molecole della chimica del corpo hanno un’intima relazione con il sottile. Inoltre è importante sapere che ogni operazione, svolta sul piano fisico-grossolano, dalla valenza sacra o profana, produce effetti, desiderabili o non desiderabili, sul “Lingasarira” (corpo sottile) che accompagna l’Anima nel suo processo di trasmigrazione perché rappresenta un essenziale elemento di connessione e continuità del divenire samsarico, in quanto non viene distrutto al momento della morte ma perdura fino alla completa soluzione della condizione di “essere umano” (dell’individualità).

Lo Spirito-Anima (Atman) incarnato-individuato (Jivatman) nel mondo naturale della Manifestazione Universale (Prakrti) prende cinque veicoli o rivestimenti, sottili e grossolani, per esprimersi. Cinque sovrapposizioni velanti, chiamati kosa, circoscrivono l’Atman in modo successivo e concentrico:

Il corpo sottile (lingasarira o suksmasarira) corrisponde allo stato coscienziale di taijasa e alla condizione di “sonno con sogni” (svapna) e si suddivide, come già detto, in tre guaine:

È importante comprendere taijasa: corrisponde al mondo sottile luminoso. Ha due sfere di influenza: taijasa inferiore, si potrebbe dire, perché è quella che viene esperita dall’essere individuato (cioè l’io empirico, l’ahamkara), e si tratta di un tipo di condizione che si estende sia sul piano fisico e oltre, fino al piano sottile inferiore; taijasa superiore perché corrisponde all’ordine universale (Hiranyagarbha), dimora del Jiva il cui veicolo-corpo è la buddhi mentre quello dell’io empirico è il manas (mente descrittiva).

Il corpo fisico-grossolano (sthulasarira) è composto dell’essenza trasformata e assimilata del cibo (annamayakosa) e corrisponde allo “stato di veglia” (jagrat).

Il corpo causale (karanasarira) nell’ordine individuale corrisponde all’ananda mayakosa, nell’ordine universale a Isvara (forma principiale): corrisponde alla condizione di “sonno profondo senza sogni” (susupti).

L’organo interno (antahkarana) è il fondamentale costituente del corpo sottile (suksmasarira o lingasarira). Il corpo sottile (lingasarira, corpo mentale-energetico-luminoso) è il veicolo che, come abbiamo più volte ripetuto, non viene distrutto al momento della morte ma accompagna l’Anima nel processo di trasmigrazione (estensione coscienziale), è un elemento di continuità fino alla soluzione dell’individualità (Jivatman).

L’organo fondamentale, a disposizione completa dell’Atman, è l’antahkarana, la mente nella sua interezza, cioè con tutte le funzioni attive e connesse, con tutte le sue possibili e diverse modificazioni (vrtti). Le funzioni necessarie sono: buddhi (intelletto puro, illuminato, percezione intuitiva, discernimento diretto e immediato); ahamkara (il “senso dell’io”, “ciò che fa l’io”; l’ego-corpo-personaggio); citta (memoria proiettiva, archivio delle tendenze o predisposizioni subconscie); manas (mente empirica selettiva, oggettivante).

Il corpo sottile, che noi diffusamente chiamiamo Lingasarira o Suksmasarira, è quello che in molti definiscono, anche senza comprenderne granché, “corpo astrale”.
Il corpo sottile è stato preso in molta considerazione da diverse tradizioni dell’antichità: éidolon per i greci; vajrakaya per i tibetani; rùach per i qabbalisti; ka per gli egizi; thankhi per i cinesi; ecc.
Il profano ha un’idea piuttosto vaga di ciò che sarebbe il “corpo astrale” e l’esperienza ad esso connessa chiamata “viaggio astrale” o “uscita fuori dal corpo”.
Il ricercatore serio e sincero, che sia solo uno studioso o praticante di una qualche disciplina, ha raccolto molte informazioni al riguardo ma, nella maggior parte dei casi, non ha una consapevole esperienza diretta dello stato di coscienza del corpo sottile (lingasarira).
L’esperienza del corpo sottile sarebbe del tutto naturale se gli enti planetari fossero esseri risvegliati spiritualmente, coscienzialmente desti e non soggetti ai limiti della coscienza addormentata. Si rende necessario quindi, più che mai, per gli enti planetari uscire dal sonno della coscienza e aprirsi alla Realtà. Inconsciamente, tutti nel sonno, tutte le notti vivono l’esperienza dello stato di coscienza del lingasarira ma la condizione di obliati in cui versano non permette loro di rendersene conto, di esserne consapevoli, di ricordare, cioè di registrarne l’esperienza tramite il sistema nervoso nel cervello.
Chi invece ha esperito sensibili gradi di risveglio ha, a volte, sottoforma di sogno più vivido di altri, la sensazione di aver vissuto la particolare “esperienza”. Molti di quei soggetti, chiamati “sensitivi”, fanno parte di questa categoria spontanea. Alcuni di loro, però, vengono a peccare di protagonismo e scivolano tra i sogni interpretati erroneamente, le illusioni autoindotte fino ai tristi inganni per frode nei confronti di quanti ascoltano tali esperienze anche a pagamento. Così le poche esperienze autentiche si dissolvono per cattiva condotta.
Pochissimi vivono questo tipo di “esperienza” (“uscita fuori dal corpo”) senza averla cercata, senza essersene interessati, senza poterla rifiutare. Si tratta di soggetti spontaneamente “pronti” per fattori karmici favorevoli: significa che alcune “parti” della struttura sottile, di cui abbiamo parlato sopra, hanno raggiunto le giuste credenziali spirituali. Con ciò non si vuol dire che siano in grado di controllare l’esperienza a piacimento né che la vivano serenamente, anzi, in molti, la vivono attraversando periodi di preoccupazione e di paura (da superare per un effettivo salto evolutivo).

Le scuole iniziatiche autentiche (poche) non tutte sono interessate a diffondere la conoscenza del lingasarira e delle sue possibilità esperienziali. Quelle che lo fanno seguono scrupolosamente i propri discepoli indicando loro tutti i mezzi accettabili ma consegnando, a ciascuno, quello più appropriato secondo la funzionalità dei guna dello sperimentatore. Tra le rare modalità utilizzate c’è quella in cui il discepolo viene raggiunto sul piano sottile, di notte nel sonno o anche di giorno durante lo stato di meditazione profonda, e accompagnato nel suo lingasarira a fare l’esperienza (agli inizi nello “spazio”, a breve distanza dal corpo grossolano (sthulasarira) e successivamente a grandi distanze; e infine anche nel “tempo”, prima nell’immediato presente e in seguito nel passato, prossimo o remoto).
Gli iniziati addestrano bene alcuni “predisposti” per affidare loro compiti speciali (in senso iniziatico). La Fratellanza Sarmoun, la Fratellanza dei Silenziosi e poche altre, addestrano, lungo le ere, un certo numero di alti discepoli per mantenere il “filo” di luce iniziatico su tutte le dimensioni dell’esistenza.

Tutto il nostro dissertare su tali aspetti, microcosmici e macrocosmici, non ha nulla di straordinario rispetto alla vera natura delle cose. Lo straordinario è visto da chi ha dimenticato la vera natura di tutte le cose. Ribadiamo, però, l’importanza di risvegliarsi a sé stessi per interrompere la corsa cieca verso la dispersione continua nel samsara: la presa di coscienza diventa l’esperienza del “solve”.
Non c’è nulla da sviluppare ma tutto da risvegliare, da ricordare semplicemente e recuperare una consapevolezza che appartiene da sempre a sé stessi.
Risvegliarsi significa riconoscersi Spirito-Anima (Atman), risvegliarsi all’ascolto della Verità (Satya) che in ciascuno riposa.

 

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