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652. Gli Insegnamenti del Ramayana di Sri Candrasekharendra Sarasvati

Lunedì 08 Febbraio 2016 00:00 Rosario Castello
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La grandezza del Ramayana è chiaramente descritta in un verso il cui significato è che quando il Paramapurusa di cui parlano i Veda si incarnò quale figlio di Dasaratha (Rama), anche il Veda si manifestò nella forma del Ramayana composto dal figlio di Praceta, cioè Valmiki.
Ci si potrebbe chiedere quale sia il contenuto e lo scopo dei Veda. I Veda contengono mantra o inni per l’esecuzione di vari riti-karman, dalla nascita alla morte. Per esempio, il Somayaga viene fatto eseguire da una persona con l’assistenza di più ritvik o esperti nei Veda; ai ritvik vengono fatti doni sotto forma di vacche, oro e altri oggetti prescritti ma il beneficio dello yaga ricade esclusivamente sul promotore o karta. Vi è un altro tipo di yaga, noto come Satra: un’offerta collettiva che si protrae per molti giorni; i suoi frutti sono condivisi fra tutti i partecipanti, inclusi i ritvik. Oggigiorno per satra si intende un luogo in cui le persone sono nutrite gratuitamente; il detto secondo cui in un satra ogni persona è padrona forse deriva dal carattere collettivo dello yaga conosciuto con questo nome.
I Veda contengono anche dei mantra per eseguire cerimonie volte al recupero della salute perduta, per superare difficoltà causate da nemici, ecc. Anche se i Veda, che si occupano di tutti gli aspetti della vita tradizionale, contengono molti argomenti del genere, essi rivelano, secondo le Upanisad, l’esistenza di un unico Essere supremo, il Paramatman. Il verso a cui ho accennato afferma che i Veda ci parlano del Paramapurusa.
Quali sono, dunque, le ingiunzioni dei Veda? È chiaro che il loro scopo è quello di aiutarci a realizzare il fine ultimo, vale a dire il Paramatman. Una persona che desidera diventare un buon lottatore deve regolare la dieta e le abitudini, e praticare regolarmente gli esercizi fisici atti a sviluppare la forza muscolare e la resistenza. Se una disciplina così dura è necessaria per uno scopo puramente fisico, quanto più rigorosa dovrà essere la disciplina per conseguire lo scopo spirituale della vita, vale a dire il conseguimento della Realtà ultima?
Attraverso un processo di intensa disciplina dobbiamo educare la mente a sviluppare l’equilibrio, così da non subire gli effetti del dolore e del piacere. Come la goccia di pioggia scivola via dalla foglia di loto, il dolore non potrà più influire su una persona che abbia educato la propria mente. Questo stato di perfezione mentale è conosciuto come yoga. Anche se il significato comune di yoga è quello di mettere insieme o riunire, quello filosofico è viyogam, o separazione dall’attaccamento. Ciò viene spiegato nei seguenti versi:

 “Quando, elevatosi fino a questo stato, comprende che non può esserci per lui profitto superiore a questo [stato]; quando, saldo in esso, egli non è più scosso neanche dalla sofferenza più grave: sappi che questo distacco [totale] da tutte le cose conflittuali nel mondo è chiamato yoga. Lo yoga però dev’essere praticato con incrollabile determinazione e con una volontà che non si lascia mai piegare” (Bhagavadgita: VI, 22-23).

 Un uomo che abbia realizzato la vera natura dell’atman non pensa più che ci sia qualche altra cosa più preziosa da raggiungere. In simile stato egli non è disturbato neppure da ciò che potrebbe sembrare come la più grande delle calamità. Tale distacco da ogni dolore è conosciuto con il termine di yoga; esso deve essere praticato con un proposito determinato e con una mente salda. È solo con la pratica della disciplina che la mente può essere purificata da ogni impurità e addestrata a rimanere ferma così da acquisire la capacità di una concentrazione su un solo punto. Che ognuno dovrebbe, grazie a un’educazione e a una disciplina appropriate, conseguire lo stato di yoga sopra descritto prima che l’anima lasci il corpo è indicato dal poeta Kalidasa nel Raghuvamsa, quando dice che dobbiamo essere capaci di morire con un sorriso sulle labbra perché se si muore senza versare lacrime, non avremo bisogno di piangere dopo che saremo morti, vale a dire, non dovremo più rinascere.
I Veda sono la fonte di tutti i dharma. Sri Rama era il difensore e la manifestazione del dharma, come viene affermato nel verso Ramo vigrahavan dharmah. Egli protesse il dharma con il coraggio della sua mente e la disciplina della vita. Quando si ritirò nella foresta, dove sarebbe rimasto per quattordici anni per onorare la promessa fatta da suo padre a Kaikeyi, la madre Kausalya gli offrì quale talismano proprio il dharma che egli proteggeva, affinché fosse il dharma stesso a proteggerlo da ogni pericolo.
Se vogliamo che un cane ci difenda dai ladri, dobbiamo prenderci cura del cane; allo stesso modo, il dharma ci proteggerà solo se ne avremo cura. Pertanto Sri Rama è divenuto un esempio per tutti noi; era dotato di pazienza e di calma mentale. Quando una persona forte e potente aderisce al giusto sentiero diviene un esempio per gli altri. Sivaji, grazie all’influenza del proprio guru Sri Ramdass, usava la forza e il potere di cui era dotato solo nel modo giusto; ad esempio, quando nelle sue battaglie venivano fatte prigioniere le donne dei suoi nemici, egli ne aveva gran cura e le riconsegnava ai famigliari senza aver procurato loro alcun male.
Il Ramayana ci insegna i principi essenziali dei Veda. Tutte le più elevate Scritture sono generalmente chiamate Veda. Il Paramapurusa di cui si parla nei Veda è purna, perfetta e piena incarnazione del dharma, e questo è Sri Rama. Il Ramayana ci offre l’insegnamento riguardo all’azione-karma, alla devozione-bhakti e alla conoscenza-jnana oltre a una modalità di vita secondo il dharma. Se avremo presente l’ideale rappresentato da Sri Rama riusciremo a superare difficoltà e pericoli ed eviteremo di finire sulla via sbagliata. Il ricordarsi del nome di Sri Rama (Sri Rama namah smarana) ci soccorrerà certamente nelle difficoltà quotidiane. Anjaneya (Hanumat), che praticò la ripetizione (japa) di questo mantra salvifico fino alla perfezione, è l’incarnazione della purezza e del coraggio che sono le cose di cui abbiamo maggiormente bisogno per acquisire la forza necessaria per affrontare con successo il viaggio della vita. Se prendiamo rifugio in Sri Rama e nel suo supremo devoto Sri Anjaneya, la nostra mente non diverrà preda del desiderio e delle passioni, ma potrà essere disponibile per il conseguimento della realtà indicata dai Veda.       

Sri Candrasekharendra Sarasvati   
tratto da L’Appello dell’Acarya
Edizioni Asram Vidya