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856. Lo Yoga per la salute mentale: prove neurobiologiche di B. N. Gangadhar

Martedì 12 Giugno 2018 00:00 Rosario Castello
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Introduzione
Nel novembre 2014 le Nazioni Unite hanno accordato alla disciplina yoga uno status ufficiale, dichiarando il 21 giugno Giornata Internazionale dello Yoga, celebrata per la prima volta l’anno successivo in tutto il mondo. Quasi tutti i Paesi hanno aderito, organizzando alle 7.00 del mattino sessioni di gruppo, creando così nuovi record per il numero di persone che hanno praticato yoga all’aperto. Fino ad allora considerato da molti, se non da tutti, come un rituale religioso, lo yoga è diventato uno stile di vita consueto. Da strumento di trascendenza spirituale si è trasformato in una pratica mondana per una vita e una salute migliore. Questa transizione è passata attraverso alcune pietre miliari. La prima è stata Swami Vivekananda, cui va il merito di aver introdotto, alla fine dell’800, questo concetto in Occidente. Alla metà del ’900, la Meditazione Trascendentale, con articoli fondamentali pubblicati in prestigiose riviste scientifiche, ha fornito una base logica per questa disciplina nel mondo moderno. Più di recente, guru di yoga contemporanei, provenienti da scuole diverse, hanno reso popolare questa materia, che ha attratto l’attenzione del pubblico in generale. Lo yoga si è evoluto quale pratica salutare oltre che spirituale.
Alcune università hanno anche formulato dei piani di studio dedicati a questa disciplina, sia a livello di laurea sia di laurea specialistica; inoltre sono state fondate università esclusivamente dedicate ad essa. Si sono aggiunte anche specializzazioni come la terapia yoga e un’università ha perfino istituito un corso post-laurea. Anche un dottorato di ricerca sullo yoga è oggi possibile. Alcune riviste pubblicano ricerche scientifiche sullo yoga, si sono formate associazioni di professionisti e, periodicamente, vengono svolte conferenze sul tema.
Sono stati stanziati finanziamenti a sostegno di ricerche sullo yoga sia a livello nazionale sia internazionale. Per esempio, il Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Governo dell’India ha avviato un piano chiamato SATYAM per finanziare la ricerca su yoga e meditazione. Il Governo indiano ha creato anche il Ministero dell’AYUSH per i sistemi di yoga e medicina indiani. È stato inoltre istituito un consiglio centrale per ulteriori ricerche su questa disciplina. Gli Istituti Nazionali che finora si erano dedicati soprattutto all’allopatia hanno costituito delle sezioni dedicate allo yoga all’interno del settore della medicina integrata.

L’esperienza dello yoga
Yoga deriva da yui che significa “collegare”, “amalgamare”, “unire”. Esso unisce la consapevolezza del singolo con la consapevolezza cosmica (samyoga yoga ityukto jivātma paramātmanah). Per raggiungere ciò, una serie di procedure devono essere integrate nel proprio stile di vita. Gli sforzi costanti (sādhana) portano al compimento del viaggio verso l’unificazione. In questo percorso il praticante (sādhaka) otterrà numerosi benefici, compresa una migliore salute fisica e mentale. La persona sperimenta questa “salute migliore” in vari modi, tra cui il più elevato è la trascendenza spirituale. Solo pochi ci riescono e mantengono questa esperienza per il periodo di tempo desiderato. Per molti, l’esperienza, seppur molto rassicurante, manca del fattore trascendentale. Sentirsi rilassati e connessi sono le sensazioni più comuni. Altri riportano benefici fisici come un miglioramento dell’agilità, della flessibilità, del sonno, del livello di energia e così via.
A un’adolescente che studiava ingegneria ed era una praticante regolare di yoga ho domandato che cosa l’avesse attratta in questa disciplina e perché centri commerciali, film e feste non le interessassero. Ella ha risposto che si sentiva “connessa”. “Connessa a cosa?”. “All’insegnante e ai compagni di yoga”, mi ha detto. Mi raccontò anche che si sentiva “connessa” ai suoi compagni di classe, alla sua famiglia e al mondo in generale, e che si sentiva rilassata, praticando lo yoga.
La “mente connessa” diviene anche più salda e questo spiega la chittavrtti nirodhah (ridotte oscillazioni della mente), come afferma il secondo aforisma di Patañjali nei suoi Yogasutra. Del resto, la padronanza della propria mente è il maggior risultato dello yoga (manah praśamopāyah iti yogah).
Non stupisce quindi che professionisti della salute mentale si siano frequentemente avvalsi di questo effetto per aiutare i loro clienti colpiti da depressione/ansia. Il Signore Krishna è chiamato yogāchārya, poiché ha usato ciò (la padronanza della mente) per aiutare il disperato Arjuna a uscirne.
Abbiamo indagato sui meccanismi biologici o le correlazioni di questi effetti, “essere rilassati” e “essere connessi”.

Yoga, rilassamento e biologia
Il rilassamento è uno stato mentale in cui si è liberi dall’ansia e dalle preoccupazioni, dai pensieri ricorrenti, così spiacevoli; uno stato che aiuta a pensare più chiaramente, con una migliore capacità di concentrazione e risoluzione dei problemi. Anche il corpo è in sintonia con questa sensazione poiché i muscoli sono rilassati; esso conserva l’energia, ma è allo stesso tempo pronto a entrare in azione in modo più efficiente. Alcune correlazioni biologiche possono essere ritenute come effetti dello yoga. Ecco alcuni dati sperimentali.
L’ansia e lo stress contribuiscono alla depressione, a sua volta associata a cambiamenti fisiologici, tra i quali l’aumento costante e rilevante dei livelli di cortisolo (chiamato anche ormone dello stress) nella circolazione. Questo produce vari effetti a cascata, tra cui la perdita di neuroni. Gli studiosi di sanscrito hanno affermato, molto appropriatamente: “La pira brucia il defunto, mentre la preoccupazione brucia il vivente” (chitā dahati nirjeevam,chintā dahati jeevanam).
Molti ricercatori, compresi quelli del nostro team, hanno scoperto che i livelli di cortisolo crollano dopo aver praticato yoga. Lo abbiamo riscontrato in pazienti affetti da depressione e anche in quelli con dipendenza da alcol. In essi l’entità del calo del cortisolo era legata alla forte diminuzione del livello di depressione. Il miglioramento della depressione a seguito della pratica yoga portava i pazienti a eseguire in modo migliore attività cognitive, com’è ulteriormente indicato da un aumento del potenziale dell’ampiezza cognitiva misurata sullo scalpo. Quando si è depressi, l’ampiezza è inferiore a quella dei soggetti sani.
È stato ipotizzato che la diminuzione dello stress e il sentirsi rilassati/migliori praticando lo yoga siano mediati dall’acido ƴ-amminobutirrico (GABA), un neurotrasmettitore che inibisce i neuroni del cervello. Medicinali con proprietà simili sono stati usati per trattare l’agitazione, disturbi emotivi e perfino l’insonnia. Per esempio, le benzodiazepine facilitano il funzionamento del GABA. È oggi possibile misurare direttamente i livelli GABA del cervello grazie a una procedura complessa. La risonanza magnetica spettroscopica (MRS). Nei soggetti sani i livelli di GABA aumentano dopo una sessione di yoga. Abbiamo studiato ciò usando un approccio diverso.
Quando inviamo un breve impulso di energia magnetica attraverso lo scalpo, la regione cerebrale sottostante si attiva, stimolando a sua volta il muscolo, lontano ma corrispondentemente collegato (per esempio, il muscolo della trachea). Ciò è reso evidente da segnali elettrici nel muscolo, che si misurano usando l’elettromiografia (EMG). Reagendo a questa stimolazione magnetica, il cervello compensa anche generando sul muscolo effetti inibitori, che portano al silenzio elettromiografico. È un effetto di breve durata (circa 100 millisecondi) mediato dal GABA. Tale breve inibizione è chiamata periodo corticale silente (CSP) (anche se il silenzio è nell’attività elettrica del muscolo corrispondente, a cui è collegato il cervello). In individui stressati o depressi il periodo corticale silente è più breve e questo presuppone che l’attività GABA si sia abbassata. Dopo quattro giorni di pratica yoga i pazienti affetti da depressione riportano un miglioramento del 25%. È interessante notare che è stato osservato un significativo prolungamento del CSP (che si è avvicinato a quello dei soggetti sani). Anche in questi ultimi, un corso yoga di 4 settimane (circa 20 lezioni), ha prodotto una significativa estensione del CSP. Questi effetti indicano un potenziamento della trasmissione GABA collegata al rilassamento/riduzione dello stress portato dallo yoga.
In quale parte del cervello sono più rilevanti questi effetti? Tutti noi abbiamo un centro cerebrale, chiamato amigdala, per ciascuno dei due emisferi. Si tratta di una struttura minuscola, ciascuna con un diametro non superiore a pochi millimetri. L’amigdala è responsabile delle nostre emozioni. Aggressività, ansia o depressione sono il risultato di un aumento dell’attività dell’amigdala. Quale effetto produce lo yoga su questo? Abbiamo verificato se qualche pratica yoga abbia un’influenza su di essa. Recitare l’OM è stato associato alla “disattivazione”, tra le altre, di questa struttura. Questa “disattivazione” della zona “limbica” nel cervello, e quindi l’attenuazione dei centri “emozionali”, ha pertanto come risultato una sensazione di quiete e serenità. È noto che recitare l’OM è parte integrante della maggioranza delle pratiche yoga. È probabile che l’agevolazione della trasmissione GABA possa anche essere collegata alla disattivazione del sistema limbico.

Yoga, senso di connessione e neuroni specchio
Oltre al senso di “rilassamento”, lo yoga ci fa “sentire connessi”. Questa sensazione di connessione può essere descritta in modi differenti: “sentirsi connessi” all’insegnante, ai compagni di yoga, alla famiglia, ai colleghi e così via. Alcuni guru dello yoga usano il termine vasudhaiva kutumbakam, che significa “il mondo è una famiglia”, per descrivere ciò che si prova mentre si fa yoga. Senza dubbio questa esperienza ha una sua validità visto che molti praticanti si trovano concordi su questo. Esiste un meccanismo biologico che lo spieghi? Lo yoga si è rivelato utile nel trattamento della schizofrenia, che porta i pazienti a essere meno emotivi e ad allontanarsi dalle persone e dalle responsabilità. Lo yoga ha nettamente migliorato questi sintomi chiamati “negativi”.
I pazienti schizofrenici hanno anche dei deficit nella cognizione sociale: sono meno in grado di capire gli altri, le loro emozioni e i loro interessi; sono meno accurati nel riconoscere le espressioni sul viso degli altri. I pazienti sono quindi “disconnessi” e tendono a vivere nel loro mondo. Gli scienziati hanno notato un comportamento simile nei bambini affetti da autismo. In entrambe le condizioni è implicata la carenza di un ormone, l’ossitocina, la cui somministrazione tramite spray nasale o nebulizzazione si è dimostrata promettente nella correzione di questi deficit della cognizione sociale.
Nel nostro laboratorio abbiamo constatato che lo yoga aumenta i livelli di ossitocina e migliora anche le capacità sociali. I pazienti erano più precisi nel riconoscimento delle emozioni facciali, se avevano praticato yoga, rispetto a quelli che non l’avevano ancora fatto. Che lo yoga sia una terapia per la produzione autogena dell’ossitocina?
Quali sono le proprietà di questo ormone? È ipotizzato che migliori l’attività dei neuroni specchio nel cervello, a loro volta ritenuti responsabili della preparazione di altri centri a rispondere, più spontaneamente e appropriatamente, agli stimoli. Ciò può avvenire solo se l’individuo è in grado di riconoscere gli stimoli sociali. Nuovamente, questa sensibilità è presente solo se c’è un legame emotivo, una “connessione” con la fonte degli stimoli. Abbiamo condotto degli sperimente per scoprire se lo yoga faciliti ciò, aumentando l’attività dei neuroni specchio.
Quando è presente uno stimolo emotivamente significativo, i neuroni specchio facilitano la pronta reazione alla risposta. Ciò è dimostrato da un maggior riscontro elettromiografico (EMG) a un impulso magnetico applicato a livello transcranico. Abbiamo cercato di capire se questa risposta fosse maggiore dopo un periodo di pratica dello yoga ed effettivamente è stato così, sia nei soggetti sani sia in quelli schizofrenici. Abbiamo misurato questa attivazione cerebrale usando una tecnica sensibile, la spettroscopia funzionale del vicino infrarosso. Essa può esserre rilevata se la regione del cervello contenente i neuroni specchio viene irrorata da un maggiore afflusso di sangue, in risposta all’attivazione. L’aumento dell’afflusso sanguigno, e quindi l’attivazione, era dimostrabile in risposta a uno stimolo sociale rilevante; l’attivazione era maggiore dopo la pratica dello yoga in confronto al valore iniziale di riferimento. Questi dati sperimentali supportano l’ipotesi che lo yoga faciliti i neuroni specchio e prepari la strada per la connessione sociale. È interessante ribadire che la radice di “yoga”, la parola yui, significa “amalgamare”, “unire”. Esso connette e fonde la coscienza del singolo (ātmā) con quella cosmica (paramātmā). Mentre questa è la trascendenza ultima, l’esperienza iniziale di connessione può essere indicativa del dischiudersi di questa trascendenza. Può lo yoga connettere altri “ātmā” localmente, prima di espandersi alla connessione cosmica? Ciò è stato sperimentato e questo ha validità concorrente. I nostri esperimenti con i neuroni specchio e l’ossitocina forniscono una conferma esterna spiegando il meccanismo (anche se in modo preliminare).
Ci si aspetta che, fornendo un fondamento biologico allo yoga, si “convincano” i professionisti della salute mentale che seguono un approccio basato su dati comprovati. È necessario raccogliere ulteriori dati di ricerca, preferibilmente conducendo studi multicentrici di natura longitudinale.  

B. N. Gangadhar
tratto dalla Rivista Italiana di Teosofia ANNO LXXIV, N. 6, Giugno 2018

 

 

Il dottor B. N. Gangadhar è professore emerito di psichiatria e direttore del Nimhans di Bangalore (India).

Discorso tenuto il 31 dicembre 2017 in occasione della Convenzione Teosofica Internazionale di Adyar, Chennai (India). Tratto da The Theosophist, vol. 139.4, gennaio 2018, pagg.19-23.

Traduzione di Lucia Berton e Patrizia Calvi