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951. Dal punto di vista dei “poteri-siddhi”

Domenica 27 Ottobre 2019 00:00 Rosario Castello
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Un “ricercatore della verità”, aspirante alla Realizzazione-Liberazione verso l’universale oppure alla Realizzazione dell’individuato (scienza occulta), non può intraprendere un “sentiero realizzativo” senza avere una visione di insieme della costituzione integrale dell’ente planetario. Senza una tale visione-conoscenza è difficile che egli possa fare grandi passi.
Cos’è importante sapere?
È fondamentale sapere che un ente planetario è costituito di diversi corpi-veicoli e che lo spirito-anima (atman o purusa) incarnato è al centro di essi. L’incarnazione provoca, nell’incarnato, una identificazione con il corpo fino a farlo credere più un effetto che una causa. Questi corpi-veicoli sono soggetti alla nascita, alla crescita e alla morte.
L’individualità empirica dell’incarnato è costituita da tre dei cinque involucri-kosa: manomayakosa, pranamayakosa e annamayakosa.
L’ego-personaggio, la personalità, è formato da ciò che viene chiamato ahamkara (il “senso dell’io”), una specie di prisma che scompone l’unità principiale.
La persona universale è costituita dagli altri due involucri-kosa: anandamayakosa e buddhimayakosa.

Questi cinque involucri-kosa costituiscono i tre corpi di espressione:

Ogni involucro-kosa è condizionato dai sette cakra principali: muladhara, svadhisthana, manipura, anahata, visuddha, ajna e sahasrara.
I cakra e i kosa hanno a che fare con la manifestazione delle siddhi-poteri. Non bisogna dimenticare che il più alto potere-siddha è il risveglio dei cakra che offrono la Conoscenza. È l’unico potere che conferma l’avvenuta Realizzazione. Le altre siddhi-poteri, eventualmente manifestati, non sono un segno di avvenuta Realizzazione.
I poteri di chiaroveggenza e chiaroudienza di certi animali (gatto, cane, ecc.) non significano la loro realizzazione.
Un solo individuo può manifestare, in certe condizioni, una o più siddha ma non vuol dire che si tratti di un realizzato.
Le siddhi, in un “sentiero realizzativo”, possono essere un ostacolo per la manifestazione finale del samadhi.
Deve essere chiaro per tutti, per chi percorre un “sentiero realizzativo” per la Liberazione-moksa e per chi pratica l’Occultismo per lo sviluppo delle siddhi nel mondo oggettivo, che le siddhi-poteri sono inerenti ai veicoli inferiori che riguardano il piano oggetto della manifestazione universale, la prakrti. Per la manifestazione delle siddhi necessita l’attivazione dei cakra perché essi hanno corrispondenza con le ghiandole endocrine: muladhara-surrenali; svadhisthana-gonadi; manipura-fegato-pancreas; anahata-timo; visuddha-tiroide-paratiroide; ajna-pituitaria o ipofisi; sahasrara-pineale o epifisi.

Il muladharacakra offre il massimo della possibilità di risveglio grazie all’energia Kundalini, in esso “arrotolata” come un serpente e sempre pronta a salire (ascendere) lungo la centrale nadi susumna per potersi congiungere con sahasraracakra, dove risiede il principio Siva (la Coscienza senza qualificazioni che fa svanire l’apparenza del samsara).

L’ajnacakra, invece, offre come possibilità la sintesi degli altri cakra, cioè la determinazione individuale, oppure l’espansione nell’universale con la ovvia perdita dello stato individuato (questa è la vera Realizzazione-Liberazione). Quando l’ajna è collegato col visuddha lo spirito-anima incarnato (purusa) è condizionato dal processo individuato (svadhisthana e manipura); se è collegato, invece, col sahasrara trascende lo stato individuato e resta in collegamento con anahata dove risiede il purusa incarnato. I cakra hanno degli aspetti polari: visuddha è in polarità con svadhisthana; anahata con manipura. L’apertura del manipura mette la coscienza in comunicazione con il piano sottile inferiore (tajasa), cioè con il mondo astrale. L’apertura di svadhisthana espande la coscienza istintuale (qui operano coloro che si dedicano, come “pratica occulta” alla “magia sessuale, una via efficace se non viene distorta e degradata).
Anahata è la sede dello spirito incarnato (purusa); è questo centro che esprime l’amore mentre le emozioni-sentimenti vengono espresse dal manipura.

Sahasrara e muladhara esprimono, quindi, il “Cielo” e la “Terra”: sono congiunti dal “sutratma” (il “filo di coscienza”) che attraversa, integrandoli, tutti i vari stati di coscienza relativi.

Il “punto di vista” dell’osservatore-investigatore” occulto, che vuole comprendere-conoscere i fenomeni illusori del corpo sottile deve essere posto su quello del manas.
Le “pratiche” per la conoscenza occulta devono essere svolte nei “punti” giusti per non incorrere in spiacevoli errori, cioè a degli effetti fenomenici non previsti. La pratica occulta prevede, per ottenere dei risultati sul piano sottile, forme di concentrazione su “punti” del corpo fisico grossolano, punti lungo i percorsi venosi o nervosi, o punti di organi e sistemi.
Un esempio di pratica occulta semplice è quella chiamata nasigraka drishti, la mudra che porta a “guardare la punta del naso”, pratica che sviluppa il potere di concentrazione, risveglia muladhara conducendo il praticante entro i piani psichici e spirituali della coscienza. Un esempio di pratica occulta avanzata che, ovviamente, riguarda pochissimi individui è quella in cui ci si concentra sotto la calotta del capo (ghiandola pituitaria): sotto l’effetto della concentrazione, intensa e sostenuta, si apre una specie di “foro” di luce in cui si possono vedere i “Maestri di Conoscenza” che si trovano sui piani sottili superiori dell’hiranyaloka, la sfera sottile nell’ordine universale.
Praticando sul plesso solare (manipura) si entra in contatto con il piano sottile inferiore, dove risiedono gli enti individuati.
Risvegliando il veicolo buddhico (buddhimayakosa) si ottiene, per la sua appartenenza ad un ordine sovrasensoriale, il potere dell’illuminazione, la Conoscenza diretta senza l’ausilio degli strumenti della mente.
Si può tranquillamente sostenere che il Raja Yoga è una buona pratica per la “scienza occulta” e, quindi, per lo sviluppo delle siddhi-poteri per chi fosse interessato solo alla realizzazione dell’individuato e non dell’universale.
Per questo non si può essere un buon occultista senza una approfondita conoscenza della prakrti e dei suoi fattori qualitativi, cioè i tre guna: sattva, rajas e tamas. Se la “pratica” si concentra sui vari guna se ne ottiene la conoscenza che rivela la differenza che c’è tra la prakrti (con i suoi elementi costitutivi) e il purusa trascendente (pura coscienza non incarnata). Il riflesso del purusa, invece, è il riflesso incarnato (la coscienza condizionata incarnata).
Le siddhi-poteri derivano sempre dalla prakrti: ostacolano il samadhi ma sono poteri efficaci nell’esperienza oggettiva di una incarnazione nel mondo fisico grossolano.
I poteri acquisiti con le “pratiche” occulte non sono l’effetto di una raggiunta perfezione realizzativa. La pratica di pratyahara o la realizzazione di vairagya (distacco) concedono, alla coscienza incarnata, la possibilità di allontanarsi dal corpo fisico grossolano e porsi altrove. Il potere di trasferirsi dal corpo fisico grossolano al corpo sottile è dato dal controllo di Udana (flusso ascendente), una delle cinque funzioni del mahaprana. La coscienza incarnata, trasferitasi nel corpo sottile (lingasarira, corpo astrale) può essere libera di muoversi e operare senza i limiti del livello fisico grossolano (annamayakosa).

In molti si servono, per ottenere dei poteri, di droghe molto pericolose: le droghe danneggiano il corpo e lo spirito incarnato. Altri mezzi leciti sono i mantra, gli yantra e il tapas.

Se di potere-siddha si deve parlare quello vero, il più potente di tutti, che però è per pochissimi, è quello del samyama.
Il vero potere è quello che nasce dall’unico processo formato dai tre stadi: dharana-concentrazione; dhyana-meditazione e samadhi-stato trascendentale. Ognuno di questi tre stadi è capace di fissare la mente su un pratyaya. Il potere è quello del samyama formato dai tre stadi presi nel loro insieme. Padroneggiare samyama significa illuminare di Conoscenza la coscienza. Cos’è in effetti il samyama? È un procedimento mentale-coscienziale che dà Conoscenza diretta su qualsiasi cosa ci si concentri: cose interiori e cose esteriori, persino un solo bhuta (elemento grossolano o sottile, gli elementi primi della natura-prakrti). Ad uno stato avanzato del sadhaka-praticante facendo samyama sui “semi” karmici, che hanno sede nel corpo causale (karanasarira), si possono conoscere gli effetti che possono maturare.
Il samyama, concentrazione totale e profonda, se praticato correttamente conduce allo svelamento delle cose e, per forza di cose, alla Realtà Ultima. Si tratta di una penetrazione coscienziale che porta al di là di tempo-spazio-causa in riferimento all’oggetto di meditazione scelto.

Che si percorra una “via” per la Liberazione finale (moksa) o per lo sviluppo delle siddhi-poteri nell’individuato oggettivo (senza fare il passo successivo per la Liberazione), il “praticante occulto” deve conoscere Viraj o Virat, il piano grossolano dell’Essere. La coscienza individuata che è rivolta all’esterno esperisce Viraj attraverso la dualità esteriore di soggetto-oggetto nella condizione di veglia-jagrat.

Procedere sul “sentiero realizzativo” per conseguire la Liberazione-moksa significa dover sperimentare per forza il samadhi.
Sul samadhi altro non si può dire che è “contemplazione trascendentale” e che si può comprendere e conoscere veramente solo sperimentandola. È il superamento dello stato di concentrazione volontaria (dharana) e della meditazione (dhyana) che giunge, prima o poi, allo stato di unione chiamato samadhi. C’è un samadhicon seme” (sabija) e uno “senza seme” (nirbija). Quindi si può sperimentare un samadhi con “proiezione” (savikalpa) e un samadhisenza proiezione” (nirvikalpa).
L’esperienza effettiva di una delle due forme di samadhi conclude la sadhana perché si è giunti alla presa di consapevolezza del Brahman (dell’Uno-senza-secondo).

In qualità di aspirante alla Realizzazione-Liberazione, per tuffarsi nell’universale, anziché dedicarsi allo sviluppo delle siddhi-poteri bisogna dirigersi verso il kaivalya. Lo stato di Realizzazione è kaivalya, cioè lo stato della Coscienza priva di dualità. È tramite il discernimento (viveka) e il distacco (vairagya) dal mondo fenomenico, che è irreale, che si consegue la Liberazione integrale. La Realizzazione contempla l’indipendenza da ogni cosa, il distacco da ciò che non è atman-Brahman.
Il sentiero per la Realizzazione-Liberazione passa per la conoscenza della natura del jiva-io, della natura del Brahman nirguna e dell’identità atman-Brahman.

Per ogni “Via” intrapresa ci sono sempre cose da “sapere” e cose da “fare”.
Per ogni livello di coscienza (“posizione coscienziale” maturata) c’è sempre una “Via”, una possibilità. A nessuno è negata la possibilità di passare a “stati di coscienza” maggiori (superiori) se lo si vuole veramente e si è disposti ad accettare le “regole” necessarie che ogni livello-via richiede.

Concludiamo con qualche esempio di potere-siddhi o facoltà che si possono sperimentare nel mondo della realtà dei fenomeni nei tre stati di esistenza della prakrti, il causale-mentale, il sottile e il grossolano.

Si possono percepire i pensieri, gli stati emozionali-sentimentali, gli stati di sofferenza o di gioia-piacere, le intenzioni di altre persone, comprese le forme-pensiero stagnanti nelle loro aure. Si tratta non di “trasmissioni” ma di “connessione” con cui il percipiente condivide i contenuti interiori di un’altra persona, acquisendo ciò che l’altra mente sta vivendo-elaborando.

Si può percepire-prevedere, mediante una serie di flashback, il futuro, schegge o parti di esso (precognizione), di fatti che devono ancora accadere.

Si possono percepire-vedere cose non visibili naturalmente (chiaroveggenza) che stanno accadendo in un altro luogo, vicino o lontano (un incidente, la morte di qualcuno o un evento catastrofico collettivo).

Si possono percepire-vedere-sentire le forme-pensiero derivate da esperienze ad alta intensità emozionale legate ad un oggetto, ad una abitazione (casa, castello, reggia, ecc.), ad un luogo (psicometria). Con un semplice tocco della mano su un oggetto, o con il sostare per qualche tempo in un luogo, si cominciano a ricevere informazioni dall’oggetto o dal luogo, di fatti accaduti anche lontani nel tempo. È l’aura del percipiente ad entrare in empatia con il clima psichico ambientale.

Si può percepire, quindi, la registrazione (akasica) di quanto è accaduto in un ambiente: il percipiente vede muoversi attorno a , in forma tridimensionale, cose, personaggi ed eventi, ma senza alcuna possibilità di interagire con essi, perché sono solo immagini.

Si può percepire il corpo astrale (corpo sottile, lingasarira) di qualcuno morto da pochi istanti o dopo un certo tempo.

Si può percepire-vedere-sentire la presenza di disincarnati che non hanno ancora abbandonata la dimensione terrestre.

Si possono percepire degli asura-demoni che hanno delle intenzioni sinistre, come quella di mettere sotto influenza non umana qualcuno (per possederlo mentalmente o corporalmente).

Si può proiettare una parte della mente in un luogo lontano per visitare una persona, per vedere cosa accade in quel luogo, per poter leggere documenti o archivi segreti. È il tipo di facoltà ricercata ossessivamente dai servizio segreti militari americani, russi e cinesi.

Si può trasferire la coscienza dal corpo fisico grossolano (sthulasarira) al corpo sottile (corpo astrale, lingasarira) e muoversi liberamente nello spazio e nel tempo. È una facoltà per pochissimi.

E, naturalmente, molto altro ancora.