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105. Le Strofe del Samkhya di Isvarakrsna

Lunedì 17 Ottobre 2011 00:00 Rosario Castello
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Le Strofe del Samkhya” sono un compendio (IIV-V secolo d.C.) di un trattato precedente e più esteso. Le Strofe hanno autorità e notorietà e sono attestate da numerosi commentatori tra i quali il più antico è Gaudapada (di questa edizione a cura di Corrado Pensa e Raniero Gnoli).

Di seguito quattro Strofe:

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Strofa 12.

I tre elementi costitutivi hanno come natura propria, rispettivamente, il piacere, il dolore e l’offuscamento; e, rispettivamente, hanno il potere di illuminare, attivare e limitare. Vicendevolmente si sopraffanno, vicendevolmente si sostengono, vicendevolmente si producono, vicendevolmente si accoppiano, esistono l’uno in funzione dell’altro.

Gli elementi costitutivi sono il sattva, il rajas, il tamas; e di essi il primo è essenziato di piacere, il secondo di dolore, il terzo di offuscamento. “Hanno il potere di illuminare, attivare e limitare”. Per “potere” si intende qui la capacità intrinseca; perciò diremo che il sattva è capace di illuminare, il rajas di attivare, il tamas di limitare ossia di fissare una cosa. Dunque la natura degli elementi costitutivi è quella di illuminare, attivare, fissare. “Vicendevolmente si sopraffanno”, eccetera. Si sopraffanno vicendevolmente nel senso che si manifestano con le loro proprie caratteristiche: piacere, dolore, eccetera. Il che significa che quando prevale il sattva, esso con le sue caratteristiche, sopraffà il rajas e il tamas e si presenta, in conseguenza, come quello che è essenziato di piacere e di luce; quando prevale il rajas esso, con il dolore e l’attività che sono le sue caratteristiche, sopraffà il sattva e il tamas; allorchè prevale il tamas esso, costituito com’è di offuscamento e di fissità, sopraffà il sattva e il rajas. Gli elementi costitutivi, poi, si sostengono vicendevolmente come accade nella combinazione di due atomi; e sono produttivi l’uno dell’altro a quel modo che una massa di argilla produce un vaso. E si accoppiano, infine, vicendevolmente così come si accoppiano un uomo e una donna. “Il sattva – così sta scritto – si congiunge col rajas, il rajas col sattva; il tamas è detto poi congiungersi con entrambi” (Devibhagavata, III, 8). Il senso è, dunque, che gli elementi costitutivi si collegano l’un l’altro. Essi esistono l’uno in funzione dell’altro; non per altro fu detto: “Gli elementi costitutivi si svolgono negli elementi costitutivi” (Bhagavadgita, III, 28). A quel modo che una donna virtuosa e di belle forme è fonte di ogni piacere ma procura dolore alle altre mogli di suo marito e offuscamento a coloro che l’amano, non diversamente il sattva fa entrare in funzione il rajas e il tamas. E come un sovrano che è assiduo nel proteggere i sudditi e nel punire i malvagi fa nascere piacere nei buoni e dolore e offuscamento nei cattivi, allo stesso modo il rajas fa entrare in funzione il sattva e il tamas. Similmente il tamas, mercè la sua intrinseca natura che è quella di coprire, fa entrare in funzione il sattva e il rajas. Le nuvole, per fare un esempio, coprendo il cielo recano piacere al mondo; allo stesso tempo sollecitano, con la pioggia, l’attività dei contadini; generano infine offuscamento negli amanti separati. Cosicché gli elementi costitutivi esistono l’uno in funzione dell’altro.

Strofa 66.

(L’Anima), una, è indifferente come uno spettatore di teatro; (la natura), una, cessa la sua attività, quando sa di essere stata vista. Malgrado il contatto esistente tra i due, non sussiste movente alla creazione.

“(L’Anima), una, è indifferente come uno spettatore di teatro”. La parola “una” applicata all’anima vuol dire “pura e liberata”. “Quando sa di essere stata vista”, smette la sua attività la natura, che è “una” nel senso che essa è la causa sola e prima dei tre mondi; non può darsi una seconda natura, poiché solo con diversi corpi si possono avere diversi generi. Sicché, cessata l’attività della natura nei rispetti dell’anima, pur dandosi tra di essi un contatto a causa della loro onnipervadenza, non c’è tuttavia creazione che sia determinata da tale contatto.

“Malgrado il contatto” risultante dalla loro onnipervadenza “non sussiste movente alla creazione”, avendo ormai la creazione portato a termine il suo scopo.

Duplice è infatti il movente della creazione: l’apprensione degli oggetti dei sensi, quali il suono e tutti gli altri e l’apprensione della differenza tra gli elementi costitutivi e l’anima. Allorché questi scopi sono stati raggiunti non c’è più movente per la creazione o meglio per una nuova creazione.

Come il rapporto tra creditore e debitore è in funzione del pagamento del denaro e, saldato il debito, pur sussistendo un legame tra loro, non rimane alcun vincolo d’interesse, allo stesso modo non c’è più alcun movente per la natura e l’anima. Infine, si potrebbe domandare: Se è vero che, sorta la conoscenza, ne consegue la liberazione dell’anima, per quale motivo accade che io non la ottenga?

Strofa 67.

Ottenuta la perfetta conoscenza, la virtù e le altre forme divengono improduttive, tuttavia per effetto degli impulsi karmici il corpo permane ancora, così come accade col movimento della ruota.

Infatti accade che anche essendo ottenuta la conoscenza dei venticinque princìpi, pure, “per effetto degli impulsi karmici” per uno yogin “il corpo permane ancora”. E in che modo questo si verifica? “Così come accade col movimento della ruota”, cioè così come accade al vasaio il quale, avendo messo in moto la sua ruota, modella il vaso ponendo una massa d’argilla sopra questa ruota, e, fatto il vaso, mette da parte la ruota che gira ancora per gli impulsi precedenti. “Ottenuta la perfetta conoscenza”, vale a dire per quegli in cui è sorta la perfetta conoscenza, “la virtù e le altre forme divengono improduttive”, cioè le sette forme vincolanti sono bruciate dalla perfetta conoscenza. Come dei semi bruciati dal fuoco non possono germogliare, non altrimenti queste forme vincolanti, quali la virtù e le altre sono rese impotenti. Allorché tali forme divengono improduttive per il corpo, a causa degli impulsi karmici, permane ancora. Ma perché – ci si chiede – la perfetta conoscenza non distrugge altresì la virtù e il vizio della vita presente? Appunto perché sono presenti; sono comunque distrutte subito dopo. Tutto il karma futuro viene bruciato dalla conoscenza, qualora beninteso costui esegua le azioni rituali. Venuto meno il corpo, con l’eliminazione degli impulsi karmici è raggiunta la liberazione.

Di che genere è questa liberazione?

Strofa 69.

Questa segreta conoscenza intesa a compiere il fine dell’anima e nella quale sono considerate nascita, durata e dissoluzione degli esseri è stata rettamente esposta dal sommo veggente.

“Il fine dell’anima” è la liberazione; avendo ciò per iscopo “questa segreta conoscenza … è stata rettamente esposta” cioè giustamente spiegata “dal sommo veggente”, il venerabile saggio Kapila; in tale conoscenza “sono considerate” cioè esaminate “nascita, durata e dissoluzione” ossia l’essere, l’apparire e il disparire degli esseri, dei prodotti della natura; dalla riflessione su di essi si sviluppa la perfetta scienza che consiste in un conoscere discriminativo dei venticinque principi. “Il Samkhya, strumento di liberazione dal trasmigrare, è stato esposto da Kapila; esso consta di settanta strofe con il commento di Gaudapada”.

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I “punti” esaminati dalle “Strofe” sono stati trattati in modo più esteso dallo “Sastitantra” (“Trattato dei sessanta argomenti”, di cui si fa menzione nella karika 70.

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da “Le Strofe del Samkhya” – con il commento di Gaudapada –
“Samkhyakarika” di Isvarakrsna – Edizioni Asram Vidya