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331. Sepher Yetzirah (Introduzione) di Georges Kahy

Venerdì 01 Febbraio 2013 00:00 Rosario Castello
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Sepher Yetzirah
Il Libro cabbalistico della formazione

 

Fra tutti i libri della Qabbalah, il Sepher Yetzirah, o “Libro della Formazione”, è senza dubbio il più breve, il più antico e il più misterioso. Si tratta di un trattato di cosmologia che rappresenta la creazione di tutte le cose attraverso la permutazione delle lettere. La sua importanza è tale che tutte le cerchie di cabbalisti vi hanno fatto riferimento nei secoli, elevandolo a pilastro fondamentale della Qabbalah. La lettura di questo trattato richiede solo qualche minuto, ma la sua comprensione richiede anche una vita intera. L’autore anonimo di questo testo ha saputo, in poche righe velate di mistero, esprimere quanto molti altri non sono mai riusciti a dire in svariati tomi. L’enigma del libro si è andato amplificando a causa di una dozzina di versioni divergenti del testo e dell’impossibilità di datarlo esattamente. La tradizione orale lo fa risalire ad Abramo e lo riporta a tempi biblici e talmudici, mentre gli storici si dividono sulla sua data di redazione. Gershom Sholem e Louis Ginzberg lo pongono fra il 200 e il 400 dell’era cristiana, Adolphe Jellinek al primo secolo, e Heinrich Graets tra l’800 e il 900. È vero che un Sepher Yetzirah era stato citato in epoca talmudica, ma non assolutamente certo che si trattasse dello stesso libro di cui parliamo ora. In realtà non abbiamo nessun codice o commento al testo che possa provare che sia stato scritto prima del terzo secolo.
Come per il Sepher ha-Zohar e il Sepher ha-Bahir, gli storici della tradizione non riescono a mettersi d’accordo. Possiamo però affermare che se lo Zohar è stato davvero scritto da Simeon bar Yohai e il Bahir è opera di Nehunya ben ha-kanah, allora il Sepher Yetzirah può effettivamente essere stato redatto in tempi biblici. Di contro se, come affermano gli storici, Moses de Leon è l’autore dello Zohar e il Bahir è opera di un cabalista provenzale del XII secolo, allora il Sepher Yetzirah deve essere datato intorno al sesto secolo. L’analisi delle diverse versioni del testo mi ha spinto a pensare che, benché conciso, sembra essere il risultato della fusione di tre piccoli testi scritti in epoche diverse. Il Sepher Yetzirah così come lo conosciamo è citato dal VI secolo e i primi commenti noti risalgono al X secolo. Al momento si possono recensire novanta commenti. Sin dall’inizio i commentatori hanno provato ad affrontarlo come un testo filosofico, ma la maggior parte dei maestri di Qabbalah ne fornisce una lettura a più livelli: contemplativo e magico.
Ogni lettore che affronta lo studio di questo trattato capisce che si trova davanti un codice che richiede una interpretazione. Per sollevare il velo di questo mistero è necessario imparare a staccarsi dalla logica quotidiana e immergersi nella tradizione alla quale si appoggia il libro. Una delle caratteristiche delle storie del Midrash è che non contengono il metodo per comprenderle, cosa che riporta forzatamente a un codice di riferimento conosciuto solo all’interno di una cerchia di iniziati. Così, non solo il linguaggio particolare del Sepher Yetzirah ricorda quello del Midrash, ma il suo contenuto si armonizza perfettamente con questo tipo di letteratura la cui vocazione è, tra l’altro, quella di “colmare le lacune” attraverso insegnamenti enigmatici comprensibili unicamente a chi li sappia leggere. I codici linguistici sono ricettacoli della tradizione e strumenti della trasmissione del sapere, atti a seguire i cambiamenti delle civiltà. La terminologia caratteristica del Sepher Yetzirah, la cui interpretazione non è affidata a un’autorità canonica, è assai diversa da quella della letteratura rabbinica abituale e comporta interpretazioni e traduzioni molto diverse. La sua ricchezza, così come la sua difficoltà, permette di comprendere meglio i primi cabbalisti mediterranei del XII e del XIII secolo, che utilizzavano questi strumenti particolari per penetrare la conoscenza dei testi. Posquières, nel sud della Francia, fu la culla della famiglia di Abraham ben David, il cui figlio, Isacco il Cieco, fu il maestro diretto o indiretto dei membri della cerchia di Gerona e dei loro discendenti. Il nipote di Isacco, Asher ben David, si recò a Gerona per stabilirvi la scuola di Qabbalah. Abbiamo pochi dati biografici sui membri della scuola di Gerona; ciononostante, le poche fonti esistenti indicano una grande vicinanza spirituale nonché familiare tra i suoi membri, la cui forza non era il numero. Il loro fine non era di formare un vasto movimento popolare, come si evince da una lettera di Isacco il Cieco alla cerchia nella quale esprime l’indignazione suscitata dalla condotta di due discepoli, Ezra e Azriel, che esponevano pubblicamente argomenti la cui importanza richiedeva una discrezione totale. Le preoccupazioni del cerchio di Gerona erano essenzialmente cabbalistiche e non affrontavano mai temi legali o etici.
Il commento di Isacco il Cieco al Sepher Yetzirah cita per la prima volta il libro delle Cronache (29:11) per elencare i nomi delle sette Sephiroth inferiori: “A Te, Signore, si addicono la grandezza (Gedulah), la potenza (Geburah), la bellezza (Tiphereth), l’eternità (Netzach) e la gloria (Hod), perché tutto quello che sta in cielo e in terra è tuo. Ti è proprio, o Signore, il regno (Malkuth) e l’elevarti al di sopra di tutto”. È ancora Isacco che presenta per la prima volta il concetto di Ein Sof, termine che indica il divino infinito e inconoscibile, fuori da qualsiasi capacità cognitiva. Per lui i due aspetti divini accessibili sono il Pensiero e il Verbo. Isacco e suo padre, detto anch’esso Rabad (appellativo formato con le iniziali del nome), dichiararono di aver ricevuto la grazia della conoscenza attraverso una rivelazione diretta del profeta Elia. Il nonno di Isacco, Rabbi David, presidente del tribunale rabbinico, trasmise i misteri della scienza esoterica a suo figlio Rabbi Abraham ben David di Posquières (Rabad), padre di Isacco. Isacco trasmise a sua volta la conoscenza a suo nipote Asher ben David e ai suoi discepoli Ezra e Azriel di Gerona che la passarono a Nahmanide e da lì ad altri esoteristi. La chiave di comprensione del Sepher Yetzirah si trova in questa trasmissione.
Non sappiamo se Isacco, il quale in diversi testi dei suoi discepoli è citato come “il pio”, fosse davvero cieco, o se l’appellativo Sagui Nahor, che significa anche “abbagliato”, non stesse a indicare i suoi poteri di veggenza. Di Isacco d’Acco vari testimoni affermavano qualche anno dopo che egli “non vedeva attraverso gli occhi del corpo” al punto che Recanati gli attribuiva poteri straordinari quali la visione dell’aura e dell’anima, la conoscenza delle reincarnazioni (ghilgulim), la capacità di predire la durata della vita e la salute delle persone.
L’altro nome che i suoi discepoli gli attribuivano era Av ha-Qab-balah, il Padre della Qabbalah. Questa disciplina, insegnata da Isacco e successivamente da Azriel e Nahmanide, ed estesa poi in Catalogna, si trasforma in una conoscenza sistematica, oggetto di molteplici ipotesi. La scuola di Gerona studiava e sviluppava alcuni argomenti,  ancora allo stato embrionale, contenuti nel Sepher Yetzirah, quali il concetto delle Sephiroth. Si può affermare che la terminologia e le idee di base del pensiero di Gerona siano state riprese da tutte le generazioni di cabbalisti, che accolsero così questa eredità spirituale e intellettuale. Le due figure principali della Scuola di Gerona che commentarono il Sepher Yetzirah furono senz’altro Nahmanide e Azriel. Il primo fu un talmudista universalmente riconosciuto dalla sua generazione, che conosceva varie lingue e scienze e che si guadagnava da vivere come medico.
Contrariamente ai cabbalisti di Castiglia, gli scritti di Nahmanide imponevano una grande prudenza nella rivelazione dei segreti. La sua produzione letteraria fu immensa e mostra la vastità della sua erudizione. Lo studio del Talmud in Spagna fu totalmente trasformato grazie al suo commento. Gli elementi essenziali del suo pensiero furono elaborati durante il suo esilio in Terra Santa, a seguito della famosa disputa di Barcellona nel 1263. Per quanto riguarda il suo commento al Sepher Yetzirah solo una parte del primo capitolo è stata conservata (v. Appendice 1), ma la sua importanza può essere compresa attraverso le affermazioni di Rashi: “Sappiate che tutte e ognuna delle parole di Nahmanide erano di fuoco. Le genti arrivavano da ogni regione della Catalogna per consultarlo e per ascoltare i suoi insegnamenti, paragonabili a quelli che Mosè ricevette da Yhwh”.
Gli scritti di Rabbi Azriel, discepolo diretto di Isacco e maestro di Nahmanide, sono considerati da alcuni eruditi come i più importanti della cerchia di Gerona. Il suo stile di scrittura, più chiaro e diretto di quello degli altri discepoli di Isacco, lascia pensare che cercasse di incoraggiare la perennità della disciplina e una sua maggiore diffusione. Curiosamente il suo commento al Sepher Yetzirah fu erroneamente attribuito a Nahmanide, fino a che Gershom Scholem non riconobbe il suo stile di scrittura.
La Qabbalah si divide in tre categorie alle quali il Sepher Yetzirah si adatta benissimo: è speculativa, contemplativa e magica. La Qabbalah speculativa si è andata costruendo intorno alle teorie dello Zohar e ha conosciuto il suo apogeo nel XVI secolo con la scuola di Safed di Moses Cordovero e di Isacco Luria. Questo aspetto della Qabbalah è il più diffuso e fornisce la grande maggioranza dei testi quali le Sephiroth, le lettere, le anime e gli angeli vengono considerati attraverso l’intelletto e la meditazione.
La Qabbalah contemplativa, che ha ricevuto il suo impulso nel XIII secolo attraverso Abraham Abulafia (1240-1296), opera attraverso una forma di meditazione basata sull’impiego dei Nomi divini e le permutazioni delle lettere. Il Sepher Yetzirah vi gioca un ruolo fondamentale perché rivela le chiavi della meditazione e le tecniche di combinazione delle lettere (tseruf) di cui il contemplativo ha bisogno per raggiungere i più alti livelli di coscienza. I testi sono molto meno noti.
La Qabbalah magica poggia sui medesimi criteri della Qabbalah contemplativa: i Nomi divini e la combinazione delle lettere si trasformano in incantesimi che dominano le forze naturali. I metodi somigliano spesso a quelli della Qabbalah contemplativa ed è capitato a individui contemplativi di indurre stati mentali particolari, che a loro volta hanno liberato alcuni poteri simili a quelli ricercati dai maghi.
Prima di Abraham Abulafia, il commento di uno dei principali cabbalisti, Isacco il Cieco (1160-1236), mostra che è possibile estrarre alcune tecniche meditative dal libro, il quale a sua volta non ha contenuti filosofici bensì espone metodi di meditazione dal sottofondo magico. Tali metodi permettono di rafforzare il potere della concentrazione che, una volta ben padroneggiata, consentirà di attivare fenomeni simili a quelli magici. Le tradizioni talmudiche affermano che il Sepher Yetzirah può essere utilizzato per creare un essere vivente, che più avanti sarà chiamato Golem. Questa sorta di androide mistico è considerato un’opera esteriore nella Qabbalah magica, e interiore e mentale in quella contemplativa. Non si tratta più allora di creare ma di riformare l’essere spezzato dalla caduta e di restaurarlo nella perfezione. Nel XIII secolo Yehudah ben Nissim scriveva che agli adepti del Sepher Yetzirah “era dato un esemplare del Sepher Raziel”, un testo magico contenente sigilli, figure magiche, incantesimi e nomi divini.
Il Golem fu citato per la prima volta nella letteratura ebraica nella storia dei due saggi che si dedicarono ad affrontare i misteri del Sepher Yetzirah. Uno era Rava (299-353), fondatore e maestro dell’Accademia babilonese di Mehuza, al quale si attribuiscono le parole: “Se un giusto lo desidera può creare un mondo” (Sanhedrin 65b). L’altro era Rav Zera, noto come il “Santo di Babilonia” (Hullin 122a), le cui capacità di concentrazione erano tali che riusciva a camminare nel fuoco senza bruciarsi. Tutti i mesi si metteva alla prova per verificare l’integrità dei suoi poteri, ma poteva capitare che gli altri saggi lo deconcentrassero e che si bruciasse: per questo era anche noto come: “il piccolo uomo dai piedi bruciati” (Bava Mezia 85b). Rava e Rav Zera lavorarono insieme per tre anni e meditarono sul Sepher Yetzirah; quando finalmente riuscirono a padroneggiarne il contenuto crearono un vitello e lo macellarono per servirlo durante un banchetto di celebrazione del loro successo. Persero allora tutti i loro poteri e dovettero lavorare altri tre anni per recuperarli.
Il Talmud (Sanhedrin 65b) narra che “Rava creò un uomo” e lo inviò a Rav Zera. Quando questi si rese conto che l’androide non poteva rispondere alle sue domande capì di aver a che fare con un Golem e gli disse: “Ritorna alla polvere”. Il Sepher ha-Bahir (196) spiega che il mutismo del Golem era dovuto al fatto che Rava era ancora prigioniero del peccato e che non poteva pertanto rivaleggiare con i poteri del Creatore: solo Dio può creare un uomo che parla. Questa storia ha una connotazione mistica e racchiude richiami ad altri insegnamenti. L’espressione “Rava creò un uomo” è un gioco di parole in ebraico: “Raba Bara Gbara”, una frase le cui tre parole sono formate dalle stesse lettere. È probabilmente l’origine del celebre Abracadabra, formula derivata dall’ebraico Abra kadabra, che significa “creo come parlo”. Il tema della creazione attraverso la parola è il concetto alla base del Sepher Yetzirah.
Le versioni a noi note del Sepher Yetzirah sono in maggior parte costituite da sei capitoli, ma alcuni antichi commentatori parlano di soli cinque capitoli, mentre Saadiah Gaon (882-942) ha operato con una versione araba strutturato in otto capitoli. Il verità il libro potrebbe accontentarsi di quattro capitoli: Le Sephiroth; Le lettere; Il simbolismo delle lettere; L’essere, lo spazio e il tempo. Si potrebbe anche pensare che si tratti di quattro libri riuniti perché nel suo primo capitolo il testo parla a lungo delle Sephiroth, che non sono più citate in quelli successivi. Il secondo capitolo è dedicato a un’analisi generale delle lettere, le cinque famiglie fonetiche e le 231 porte, citate solo in quella sede. Dal terzo al quinto capitolo le lettere sono divise in tre categorie: madri, doppie e semplici, in rapporto all’universo, l’anno e il tempo, e in parallelo con l’astrologia. Il sesto capitolo sembra invece indipendente dalle altre sezioni e introduce i concetti di spazio, ciclo e cuore che saranno ripresi dal Bahir.
Possiamo immaginare che queste quattro parti abbiano date di redazione diverse, e le più antiche possono risalire al periodo talmudico. Durante la trasmissione del Sepher Yetzirah si è reso necessario integrare il testo con annotazioni e commenti a margine, il che potrebbe probabilmente spiegare le differenti versioni.
Varie fonti attribuiscono il Sepher Yetzirah a Rabbi Akiva, famoso rabbino del primo secolo. Coloro che sostengono questa tesi ritengono che il libro sia frutto di una polemica contro una Gnosi anti-ebraica, sostenuta da scritti provenienti dalla Siria, alla quale Rabbi Akiva reagì vivacemente. Questa reazione portò l’esoterismo ebraico a preferire le Sephiroth agli Eoni, Chokmah alla Sophia, Ruach al Pneuma. Tuttavia dobbiamo riconoscere che vi è un parallelo simbolico tra la Qabbalah e la Gnosi, e il Sepher Yetzirah contiene numerose analogie con gli scritti gnostici del II secolo. Se si studiano gli scritti di Marco, un discepolo palestinese di Valentino, si finisce col chiedersi se questi testi non corrispondano tra loro punto per punto. Entrambi descrivono la creazione del mondo con l’aiuto di un alfabeto strutturato simbolicamente. Il Sepher Yetzirah confuta però l’idea gnostica del Demiurgo, mostrando un Dio unico alla testa delle dieci forze essenziali.
Il Sepher Yetzirah si autoattribuisce al Patriarca Abramo e già dal X secolo Saadiah Gaon scriveva: “Gli antichi affermano che sia stato Abramo a scriverlo”, opinione d’altronde sostenuta dai primi commentatori. Secondo Saadiah il sapere contenuto nel Sepher Yetzirah fu insegnato da Abramo, ma a quell’epoca gli insegnamenti non erano ancora stati raggruppati in un libro. Altri commentatori hanno negato tale paternità del testo, affermando che se il libro fosse stato scritto da Abramo sarebbe stato incluso o citato nella Bibbia. D’altro canto, numerosi cabbalisti pretendono che vari passaggi della Bibbia citino il libro in modo velato.
I primi commentatori del Sepher Yetzirah erano filosofi eminenti e il primo commento conosciuto fu scritto nel 931 da Saadiah Gaon, uno dei più importanti filosofi e maestri religiosi del suo tempo. Poi venne l’Hakmoni di Shabbatai Donnolo nel 946 sulla “versione lunga”, mentre dieci anni più tardi Dunash ibn Tamin compose il suo basandosi sulla “versione corta”.
In questa sede non era possibile tradurre e commentare una dozzina di versioni differenti del Libro della Formazione; ho dunque scelto di presentare i quattro testi più significativi e più conosciuti. La mia scelta si è indirizzata sulla versione “Gra-Ari”, la versione corta, la versione lunga e la versione di Saadiah Gaon. L’ordine proposto non è quella di data dei manoscritti, ma del più diffuso utilizzo tra i cabbalisti. La versione “Gra-Ari” è nota come quella più autentica, è la meno nota delle quattro.

tratto da “Sepher Yetzirah” di Georges Lahy – Edizioni Venexia