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422. Logica e Trascendenza di Frithjof Schuon

Sabato 09 Novembre 2013 00:00 Rosario Castello
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Presentiamo, di seguito, l’Introduzione allo stupendo libro di Frithjof Schuon, “Logica e Trascendenza”, Edito dalla Mediterranea, che consideriamo un capolavoro.

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Gli scritti che si collocano fuori della scienza e della filosofia moderna generano associazioni d’idee assai sovente inadeguate; l’opinione più generale cioè le classifica subito in categorie considerate a torto o a ragione quasi peggiorative, quali l’”occultismo”, il “sincretismo”, lo “gnosticismo”, l’”intellettualismo”, l’”esoterismo”.
Per ciò che attiene alla prima nozione, ricorderemo anzitutto che il termine “occulto” trae la sua origine dalle vires occultae, ossia dalle forze invisibili della natura, e dagli occulta, dai segreti derivanti dai misteri antichi; in realtà l’occultismo moderno si riduce grosso modo allo studio dei fenomeni extrasensibili, studio tra i più aleatori per il suo carattere del tutto empirico e l’assenza, appunto, di qualsiasi dottrina di base. L’occultismo va dalla mera sperimentazione alle speculazioni e pratiche pseudo religiose; da questo a designare “occultismo” ogni dottrina o metodo davvero esoterico il passo è breve ed è stato fatto per ignoranza, indifferenza o negligenza, e senza scrupolo né vergogna da coloro che hanno interesse a uno svilimento simile. Come se si definissero occultisti i veri mistici col pretesto che s’occupano pure dell’invisibile.
Osservazioni analoghe convengono alla nozione di “gnosticismo”; ci basterà ricordare qui la distinzione tra la gnosi in e lo gnosticismo storico ed eretico, specie quello di Valentino. Che nell’interno di ciascuna religione vi sia una gnosi, in principio o di fatto e a una qualsivoglia fase di dispiegamento, è nella natura delle cose e non può quindi essere discusso quasi che si trattasse d’invenzioni umane o di concomitanze storiche. La gnosi coincide con l’”esoterismo”, con la differenza tuttavia che questo comporta altresì una dimensione di mistica volitiva ed emotiva, nel genere della bhakti indù. Solo il grado di gnosi rappresenta un esoterismo pressoché assoluto; il grado d’amore è un esoterismo relativo e condizionato – sebbene si tratti di metodo, poiché l’amore in sé è anche una dimensione della conoscenza, al pari della bellezza – e quel grado forma come un ponte tra la gnosi e la credenza religiosa comune, l’exoterismo. Il Cristianesimo ha trasposto la Legge delle prescrizioni sul piano interiore, e con essa la messianicità medesima, donde il malinteso fondamentale tra la religione giudaica e cristiana; il Cristianesimo nascente s’è opposto al Giudaismo legalistico e formalistico – però non all’Essenismo – al modo che lo “spirito” s’oppone alla “lettera”, all’occasione e in un determinato aspetto, o l’essenza può contrapporsi alla forma. Spezzando la cornice formale del Mosaismo in nome dell’essenza, tale messaggio ha avuto la funzione d’esoterismo, ma fu un esoterismo d’amore, suscettibile di diventare a sua volta un exoterismo in concreto, senza dover né poter perdere per questo le sue virtualità esoteriche, comprese quelle di gnosi.
Le parole “mistica” e “misticismo”, che non possiamo passare qui sotto silenzio, sono tra quelle di cui spesso s’abusa attribuendole a tutto ciò che è interiore e intuitivo, qualunque ne sia il piano. In effetti, questi termini designano ogni contatto interiore, non soltanto mentale, con realtà divine in maniera indiretta o diretta, ed è normale che tali vocaboli ricordino in primis una spiritualità d’amore poiché sono europei e l’Europa è cristiana. L’associazione d’idee con l’”irrazionale” è certo impropria; l’intuizione spirituale non è irrazionale, bensì soprarazionale. A buon conto ci pare che l’unico uso legittimo possibile della parola “mistico” sia da un canto quello fatto tradizionalmente dalla teologia, e dall’altro quello che s’impone per estensione, ovvero in relazione all’etimologia, e da noi poc’anzi segnalato; questo uso è privo d’attinenza, va da sé, con le intenzioni malevole o coi semplici abusi di linguaggio.
Abbiamo prima accennato alla nozione di “sincretismo” attribuita a sproposito a qualsiasi sapere spirituale che dia conto, in considerazione della verità percepita direttamente, di nozioni appartenenti a tradizioni diverse; ora una cosa è fabbricare una dottrina riunendo bene o male idee sparse, e un’altra è riconoscere la Verità una in dottrine differenti, in base a ciò che chiameremo volentieri la sophia perennis. Molto vicino all’accusa di sincretismo è il rimprovero d’interpretare nozioni straniere e in apparenza poco note alla luce di nozioni conosciute: di far entrare per esempio idee estremorientali nei modelli europei o semitici; questo rimprovero può essere talora legittimo, è l’evidenza stessa, ma questo rimprovero può essere talora legittimo, è l’evidenza stessa, ma non lo è per forza ogni qualvolta si spieghi una nozione estranea per mezzo di una nozione familiare, dal momento che la Verità è una e l’umanità lo è altrettanto. Ammettere che tale idea mongola non abbia l’uguale esatto nel pensiero dei Bianchi non equivarrebbe assolutamente a pretendere che essa sia loro inaccessibile, o sia inesprimibile nel caso contrario in termini sanscriti, semitici o greci; non c’è senza dubbio parola europea per rendere in modo adeguato l’idea nordamericana di wakan, di manito o d’orenda, ma ci corre assai a che un Europeo non la possa cogliere, oppure descriverla nel proprio linguaggio: per quanto misteriosa sia quella nozione sulle prime – come il suo quasi equivalente giapponese kami – basta una serie di testimonianze concordanti per avvedersi che il wakan è una sorta di teofania pressoché indiretta, un’epifania di un dato “genio” a un tempo cosmico e meta- cosmico; e quando ci si pone in un’ottica metafisicamente “panteistica” – tale termine dovendo essere compreso nel contesto in una maniera positiva – si tenderà a vedere nei fenomeni il “genio” che va oltre la loro accidentalità ed è, mediante questa, un testimone del Cielo. Non bisogna però dirci che per capire Pellerossa e Giapponesi il nostro cervello di Bianchi non ci sia più d’aiuto alcuno; atteso che l’umanità è terribilmente una, e se nonostante questo i modi di pensiero divergono – ma non in assoluto! – le passioni e le debolezze sono di una monotonia esasperante.
Circa il rimprovero d’”intellettualismo”, esso vuol dire che ogni interpretazione la quale dà un senso ai simboli è artificiale nella misura che quel significato è profondo, la qualcosa corrisponde a pretendere che in origine ciascuna religione si sarebbe ridotta a concetti il più possibile grossolani e la nozione stessa di simbolismo sarebbe “intellettualista” o “spiritualista”, pertanto in autentica e fattizia. È inutile che insistiamo sull’inanità di questa ipotesi presentata come certezza; basta che diamo qui notizia della sua esistenza.
Ritornando alla nozione d’”esoterismo”, aggiungeremo che essa è del tutto estrinseca e, per necessità, sempre poco attendibile per i non esoterici; è una nozione pro domo, e se l’exoterismo – la religione esclusivista e letteralista – fatica a riconoscere l’esistenza e la legittimità di una dimensione simile, lo si comprende per ragioni differenti.
Tuttavia nel momento ciclico in cui viviamo la situazione è tale che il dogmatismo esclusivo – non diciamo il dogmatismo in sé, giacché i dogmi sono necessari quali fondamenti immutabili, ma hanno appunto dimensioni interne e inclusive – stenta a mantenersi e abbisogna, lo voglia o no, di alcuni elementi esoterici, a rischio d’aprirsi a errori ben più problematici della gnosi. Questa scelta erronea, purtroppo, è fatta: si cerca l’uscita da talune impasse non dal lato dell’esoterismo, bensì da quello delle ideologie filosofiche e scientiste più false e perniciose, e si sostituisce l’universalismo spirituale, di cui si costata alla rinfusa la realtà, con un sedicente “ecumenismo”, che è soltanto piattezza e sentimentalità e accetta qualunque cosa in maniera indistinta.
La posizione contraria, quella dei credenti legati solo alla lettera, è sempre possibile spiritualmente in un sistema chiuso che ignori gli altri mondi tradizionali, ma essa è alla lunga indifendibile e pericolosa in un universo dove tutto s’incontra e si compenetra; certuni hanno fatto notare, assai abusivamente, che per san Paolo “ciascun culto reso a un altro dio è un culto reso a Satana”, dimenticando però da una parte che san Paolo parlava di culti davvero pagani dei quali pullulava l’ambito mediterraneo e di cui aveva cognizione, e dall’altra l’impossibilità di ammettere che, quando si conoscono tradizioni e uomini d’Oriente, siano tutti destinati al demonio; e i milioni di Musulmani, per esempio, che si prosternano ogni giorno innanzi a Dio lo facciano invano, e questo da secoli. La teologia cristiana riconosce, di sicuro, che qualsiasi anima può salvarsi in segreto per mezzo della grazia di Cristo presente dappertutto e non adopera apposta la parola di san Paolo per i monoteisti mohammediani, ma non impedisce nemmeno che quell’attribuzione sia fatta; e questa vien fatta proprio da coloro che, rigurgitando a buon diritto un ecumenismo cieco e dissolvente, s’irrigidiscono tanto più nel loro esclusivismo in principio scusabile, ma in pratica aleatorio e irrealistico oggigiorno d’accostamento culturale. È diventato impossibile difendere con efficacia un’unica religione contro le altre anatemizzando tutte, e senza riserve; intestardirsi nel farlo – salvo vivere in una società rimasta medievale, ma allora il problema non sussiste – è quasi voler mantenere il sistema di Tolomeo contro l’evidenza di fatti astronomici controllati e controllabili. Non crediamo, d’altronde, che la solidarietà spirituale così imposta possa o debba implicare una reciproca comprensione perfetta, essa si può fermare a metà cammino, almeno per la gente comune, giacché è sempre possibile mettere tra parentesi questioni che non si possono o non si desiderano risolvere. Ciò cui miriamo, vi insistiamo ancora, non è l’idea – in realtà contraddittoria – di una comprensione metafisica e quintessenziale generalizzata, è solamente la possibilità di una comprensione sufficiente che permetta di salvare, da un canto, il patrimonio religioso contro le tentazioni dello spirito scientista presente in ogni dove e di realizzare, dall’altro, una solidarietà perfettamente logica e non sentimentalista tra tutti coloro che ammettono in modo tradizionale la trascendenza e l’immortalità.
Per prevenire i malintesi che le nozioni di “scuola” o di “tendenza” possono cagionare e in seguito ad alcune esperienze, crediamo di poter avvertire il lettore che non condividiamo per forza qualsiasi apprezzamento, conclusione o teoria che sono state espresse in nome di principi metafisici, esoterici o in genere tradizionali; in altre parole: non adottiamo nessuna tesi per il semplice motivo della sua appartenenza a tale o a talaltra scuola e vogliamo essere considerati responsabili solo di ciò che scriviamo. La questione di “scuola” ci fa del resto pensare a un’altra designazione di categoria, quella di “tradizionalismo”: al pari di quella d’”esoterismo” non ha di certo nulla di peggiorativo in sé, essa è anche meno discutibile e comunque molto più vasta dell’ultima, ma ricorda tuttavia de facto, e in virtù di un arbitrio molto detestabile, un’immagine destinata a disprezzare il suo contenuto, cioè la “nostalgia del passato”; ed è appena credibile ci si serva di solito di questa prospettiva stolta e disonesta come di un argomento contro posizioni strettamente dottrinali oppure soltanto logiche. A coloro che rimpiangono un determinato passato poiché conteneva certi valori vitali, si rimprovera di aderire a quei valori visto che sono collocati nel passato, o giacché si desidererebbe che vi si situino “in maniera irreversibile”; tanto vale dire che l’accettazione di un’evidenza aritmetica prova non il funzionamento normale dell’intelligenza, bensì una passione morbosa per i numeri. Se l’ammettere che il vero e il giusto sono una “nostalgia del passato”, è chiaramente un crimine o un’onta non avere quella nostalgia.
Lo stesso accade per altre accuse suscitate dall’idea di tradizione, quali il “romanticismo”, l’”estetismo”, il “folklore”; lungi dal difenderci di avere un’affinità con queste cose, le rivendichiamo invece proprio in quanto hanno una relazione sia con la tradizione sia con la natura vergine, restituendo quindi a esse i loro significati legittimi e per lo meno innocenti. Poiché “la bellezza è lo splendore del vero”; e siccome si può essere capaci d’accorgersene senza mancare di “serietà” – a dir poco – non dobbiamo scusarci d’essere in particolare sensibili a questo aspetto del reale.

tratto da “Logica e Trascendenza
di Frithjof Schuon – Edizioni Mediterranee

 

dello stesso autore, presso le Edizioni Mediterranee:
Unità trascendente delle religioni
Le stazioni della saggezza
Sufismo: velo e quintessenza
L’esoterismo come principio e come via
Dal divino all’umano
Sulle tracce della religione perenne
Sentieri di gnosi