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555. Metafisica di Raphael

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Aristotele caratterizza la metafisica come “scienza o conoscenza delle cause e dei princìpi primi o supremi”.
Causa (αἰτία) e principio (ἀρχή) di una cosa non sono altro che il perché della cosa medesima, la ragion d’essere della cosa; sono ciò per cui la cosa è ed è quella che è. Le cause e i principi, pertanto, si possono definire come le condizioni o i fondamenti delle cose, in quanto sono ciò su cui si fondano e condizionano le cose; se si tolgono le cause e i princìpi si tolgono, immediatamente, le cose stesse. Se a una stoffa-tessuto si tolgono i fili, scompare la stessa stoffa. L’atomo è il fondamento della materia. Ma nella definizione di Aristotele abbiamo parlato di princìpi primi o supremi.
“Quando si possiede la conoscenza delle cause e dei princìpi di qualche cosa (come negli esempi citati), si possiede sempre una scienza della cosa, ma non necessariamente scienza metafisica. La “scienza metafisica” si ha quando si conoscono certe cause e certi princìpi. Quali? Appunto quelli supremi, quelli primi, o ultimi.
Se, ancora, si studiano le ragioni dei numeri e dei rapporti numerici si avrà la scienza aritmetica; se si studiano le cause e le ragioni dei fenomeni celesti, si avrà la scienza astronomica; se si studiano le cause e i princìpi dei fenomeni atmosferici, si avrà la scienza meteorologica; quando si studiano i fenomeni emotivi, mentali, istintuali dell’individuo, si avrà scienza psicologica. Quando allora si avrà scienza metafisica? Non quando si studiano e si conoscono le cause e i princìpi che valgono solo per “zone” particolari della realtà, ossia solo per gruppi di cose, quindi limitatamente a “settori” circoscritti dell’essere; ma, e questo è il punto decisivo, quando si studia e si determinano quali sono le cause e i princìpi di tutte quante le cose senza distinzione, di tutta la realtà senza restrizione, vale a dire di tutti gli enti. Ecco quali sono le cause e i princìpi “primi” o “supremi”, cioè l’oggetto peculiare della metafisica: le cause e i princìpi che condizionano tutta quanta la realtà, quindi le cause e i princìpi su cui si fondano gli esseri nella loro totalità.
Così la metafisica è scienza del perché ultimo di tutte le cose, è scienza delle ragioni supreme della realtà, perciò “è scienza”, dice Aristotele, “superiore a tutte le altre scienze particolari” (Aristotele, La Metafisica, a cura di Giovanni Reale, vol. I. Loffredo, Napoli) che propongono verità particolari e non universali.
Un’altra definizione di metafisica data da Aristotele è questa: scienza dell’essere in quanto essere, e di ciò che all’essere in quanto tale compete.
Scrive Aristotele:

“C’è una scienza che studia l’essere in quanto essere, e le proprietà che gli competono in tanto tale. Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera l’essere in quanto essere in universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte. Così fanno ad esempio le matematiche” (Aristotele, Metafisica).

Ciò dimostra che la specialistica dell’oggi risulta essere antimetafisica e questo implica perdersi nel particolare.

“Le scienze particolari si restringono dunque a una determinata parte dell’essere; la isolano dal resto, e ne indagano le proprietà e i caratteri. La metafisica, invece, ha come oggetto di indagine la realtà, non in quanto questa o quella determinata realtà, sibbene la realtà considerata in quanto tale, la realtà in quanto realtà, l’essere totale in quanto essere totale, integrale, assoluto.
Le “supreme” o “prime” cause valgono per tutta la realtà e per tutto l’essere e, per converso, le cause della realtà come realtà o dell’essere in quanto essere non possono essere se non cause prime o supreme e non già cause particolari: se così non fosse, esse rimarebbero valide solamente per questo o quel settore dell’essere, e non per l’essere come tale” (Aristotele, La Metafisica. Op. cit.).

A questa Causa suprema, a questo Assoluto, molti filosofi hanno cercato di dare una dimostrazione teoretica, razionale, anzi, come tanti materialisti, essi hanno sostenuto che tutto ciò che non è oggetto di dimostrazione razionale non è conoscibile. Noi possiamo dire che se la Realtà suprema si potesse esprimere in una dualità, perdendo ovviamente la sua identità di Unità, allora tale realtà duale si dimostrerebbe razionalmente. La mente, operando in termini di soggetto e oggetto, avrebbe in tal modo la possibilità di conoscere l’altro da , cioè il secondo, o l’oggetto del conoscere. Ma siccome la Realtà è una e una sola, tutti codesti filosofi, per quanto ne abbiamo potuto dissertare, non l’hanno potuta conoscere e dimostrare.
Se ammettiamo l’Essere come una unità assoluta, dovremo convenire che esso non può essere conosciuto né dimostrato con la mente duale o di relazione.
Ma se l’Essere non può essere dimostrato, e tuttavia è ritenuto esistere come Unità indivisa, allora può essere solo realizzato. La non realizzazione dell’ente nell’unità implicherebbe ammettere la dualità (io-Essere), e ciò invaliderebbe il nostro precedente asserto.
Tutto ciò che invece si dimostra come manifestato, essendo un secondo o altro dall’Essere, può essere oggetto di dimostrazione; e se ancora non sono state dimostrate verità di ordine del “sottile” o del sovrasensibile è perché l’ente umano non ha aperto in sé, allo stato attuale, altre finestre percettive che potenzialmente possiede.
Il mondo intelligibile va percepito, compreso ed espresso con mezzi di ordine sovrasensibile, questo è ovvio. Solo il mondo o la sfera del sensibile materiale, o corporale, può essere percepito e conosciuto con mezzi fisici, materiali, e con i cinque organi sensoriali.
Dunque nell’ultima verità possiamo solo in termini di Realizzazione coscienziale perché la Verità ultima verte sull’Intero dell’Essere, sulla totalità, poiché essa reintegra l’apparente molteplicità nell’Unità senza secondo.
Occorre però precisare che vi sono diversi gradi o aspetti di Realizzazione. Il termine realizzazione significa rendere attivo, effettuare; quindi possiamo parlare di realizzazione psicologica che implica attualizzare l’armonia o l’unità mente-psiche-corpo dell’ente sensibile; possiamo parlare di realizzazione dell’intelligibile che implica attualizzare o effettuare l’unità con l’intelligibile o sovrasensibile; possiamo parlare di realizzazione ontologica che implica attuare l’Uno principiale o l’Essere in quanto prima espressione dell’Uno-senza-secondo; infine, possiamo parlare di Realizzazione metafisica che porta in attualità il Non-Essere o l’Assoluto o l’Uno-senza-secondo o l’Infinito, di là dal sensibile corporeo e concreto e dall’intelligibile non-formale. È l’Uno-Uno di Platone.
Noi sappiamo che vi sono diversi gradi d’iniziazione, gradi che rispondono a differenti stati di realizzazione dell’Essere totale. Ogni Ramo tradizionale ha i suoi gradi che possono ovviamente differire da quelli di altri Rami tradizionali, soprattutto nel numero.
Certo è che quello metafisico è il più alto grado iniziatico, e comporta, da parte del neofita, non solo trascendenza del sensibile formale, ma persino quella dell’intelligibile principiale o dell’Ente ontologico o “Mondo delle Idee”. In altri termini, tale realizzazione trascende, come si suol dire, il mondo degli uomini, quello degli Dei e dello stesso Dio-Persona principiale (avyakta).

Raphael
tratto da Fuoco dei Filosofi (pag 15)
Edizioni Asram Vidya

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