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575. Itihasa: “ciò che accadde realmente”

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La Tradizione Primordiale ha assunto due espressioni:

1 la smrti: la Tradizione “rammentata” di ordine umano sottoforma di racconti epici;

2 la sruti: la Tradizione “udita”, cioè la Conoscenza di ordine non umano (rivelata direttamente e trasmessa per audizione). È quella Conoscenza che è stata “ascoltata” dai rsi (i saggi dell’antichità) come Suono Divino.

Le Conoscenze della Tradizione “rammentata” vengono raccolte negli Itihasa, ovvero “ciò che accadde realmente”, o “così certamente fu”.

Degli Itihasa fanno parte il Ramayana (la storia di Rama composta dal saggio Valmiki) e il Mahabharata (il più lungo poema della storia mondiale composto dal saggio Vyasa) nel quale troviamo la Bhagavad-Gita.

Il primo e più importante libro tra quelli designati come smrti è il Manavadharmasastra (“Il Codice delle Leggi di Manu”).

Bisogna sapere che questi testi pur avendo la forma di poemi epici non sono affatto frutto della fantasia: in essi è stata raccontata e trasmessa storia vera.

I Veda, ad esempio, trasmettono nella forma di poema una raccolta di conoscenza filosofica, scientifica, politica ed artistica.

Nell’antichità, si sa, in tutte le culture del mondo la storia veniva trasmessa oralmente, cantandola e narrandola in modo epico.
Gli aspetti simbolici e allegorici dei racconti hanno una causa storica espressa in mito.

Il Ramayana è un meraviglioso poema che viene attribuito al saggio Valmiki, poema terminato, secondo studi recenti, nel II secolo d.C. La storia contenuta è molto più antica, trova le sue origini in tempi remoti. Nessuno, comunque, può datare la storia di Rama, un avatara: non per questioni legate alla sua veridicità ma per la sua antichità. Certe storie sono state raccontate di millennio in millennio senza interruzione.
Secondo il poema stesso, il Regno di Rama (archetipo del governo perfetto), è esistito nel treta yuga (l’età dell’argento) secondo la visione dei cicli vedici: in termini di anni mortali all’incirca un 20 milioni di anni fa.

In cosa consistono questi cicli?
Si tratta di ere cosmiche (“periodo di tempo del mondo”) in cui viene a svolgersi la Vita nell’ambito della Manifestazione universale e della loro conclusione mediante la dissoluzione totale, per poi ricominciare.
Yugadi è l’”inizio di una era”.

Una grande era cosmica, mahayuga o manvantara, è detto “periodo di Manu”, cioè il periodo sottoposto ad un preciso Legislatore (l’immagine riflessa di Brahma, il Legislatore primordiale e universale). Manu è un Principio: il prototipo dell’Uomo. Egli assegna la Legge (il Dharma) ad un ciclo di esistenza dell’umanità.
I Manu dei sette manvantara succedutisi finora:
Svayambhuva, Svarocisa, Auttami, Tamasa, Raivata, Caksusa, Vaivasvata (l’attuale).

Questo “periodo di Manu”, ciclo dell’umanità, comprende 4 yuga-ere:
1 l’età dell’oro krta o satya – l’era perfetta o della verità;
2 l’età dell’argento treta;
3 l’età del bronzo dvapara;
4 l’età del ferro kali – l’era dell’oscurità intellettuale e spirituale.

14 manvantara, “ere cosmiche”, formano un Kalpa (detto “giorno di Brahma”), un ciclo universale tra due pralaya (la dissoluzione della manifestazione universale).

Pralaya è la dissoluzione esteriore universale, quella formale che corrisponde a quanto si intende nell’individuale per susupti, cioè “stato di sonno profondo senza sogni” (corrispondente al piano causale – karanasarira – ), uno dei tre aspetti della condizione di esistenza (in cui può trovarsi il jiva), insieme a jagrat, lo “stato di coscienza di veglia” (cioè lo stato in cui la coscienza è esteriorizzata sperimentando la dualità-dvaita, nel corpo fisico grossolano – sthulasarira – ) e svapna, lo “stato di sonno con sogni” (corrispondente allo stato di coscienza di taijasa e al corpo sottile luminoso lingasarira).

Nell’attuale siamo nel 7° manvantara il cui Manu è Vaivasvata, cioè vivasvat, il “nato dal Sole”, ma è conosciuto anche come Satyavrata, potente epiteto di Yama. Vaivasvata è il settimo dell’intero ciclo dell’attuale manifestazione del mondo (kalpa), designato “era del cinghiale bianco” (“Shweta-varaha-kalpa”).

Ogni yuga ha il suo yugadharma, il “dharma relativo allo yuga” (in quanto gli esseri umani in base alle loro specifiche debolezze e malvagità emanano corrispondenti mali).

Un mahakalpa, il grande ciclo cosmico, comprende 100 kalpa, cioè un anno di Brahma.

In sintesi: 4 Yuga formano un mahayuga, 71 mahayuga formano un manvantara,
14 manvantara o 1.000 mahayuga formano 1 kalpa e 100 kalpa formano un
mahakalpa.

Si tratta del gioco di piccole ere all’interno di quelle più grandi. Alla conclusione di un ciclo più grande la manifestazione si dissolve per poi, dopo un lunghissimo periodo, ricominciare da capo.
Il periodo della dissoluzione, il totale riassorbimento di un intero ciclo universale, si chiama mahapralaya (o prakrtapralaya) e in termini di anni mortali terrestri corrisponde a 311.040.000.000.000 di anni: comincia con la morte di Brahma, l’essere creatore.

Nell’oggi esistono molte prove a sostegno di quanto viene riferito nel Ramayana, prove che l’ufficialità non prende in considerazione ma che esistono come ritrovati archeologici, studi geologici e ricerche sottomarine. Il potere ufficiale ha interesse a negare tali prove perché contrasterebbero, accettandole, le tesi darwiniane utili alla manipolazione delle coscienze in atto nel mondo. Ma queste prove cominciano ad essere veri e propri riscontri, come quella fatta dalla NASA nel 2002 che con un satellite spaziale è riuscita a fotografare il famoso “ponte di Rama”. Si tratta di una struttura rocciosa su cui si è depositata una formazione corallina che collega l’India con lo Sri Lanka. Nel Ramayana si racconta che si costruì questo “ponte” per volere di Rama. Questi resti della struttura oggi sono una realtà anche se c’è discordanza tra le diverse fonti di studio per la datazione.

La storia di Rama insegna che nonostante esista la realtà ciclica delle epoche d’oro e delle epoche oscure si può comunque vivere come ci si trovasse nell’età dell’oro, il satyayuga; applicando la giusta conoscenza, sociale e spirituale, si potrà realizzare un’umanità serena e perfetta.
Il Ramayana contiene gli insegnamenti che il saggio Vasistha (uno dei rsi che “videro”, “compresero” e “trasmisero” gli inni del Rg Veda) comunicò a Rama stesso: l’importanza di tenere la mente fissa sulle realtà spirituali, perché nello “stato di veglia” si cade facilmente nelle forme illusorie di Maya. Lo Yogavasistha (testo chiamato anche Ramagita) è la stupenda opera di filosofia vedanta che comprende gli insegnamenti di Vasistha a Rama.
Tra gli insegnamenti spicca il fatto che quando il corpo muore il Jivatman (l’essere vivente), prosegue la sua esperienza mentre gli ignoranti che rimangono lo piangono, perché pensano che l’essere si sia estinto per sempre. Vasistha spiega che tutte le anime sognano di nascere e morire grazie all’energia materiale del Signore, fino al completo risveglio nel mondo spirituale e che bisogna sapere che l’Origine di tutte le energie eterne è Dio in persona (Sri Bhagavan), che resta sempre nella gioia suprema. Comprendere questo fa essere lieti per sempre.
Nel Ramayana, quindi, è contenuta l’immensa saggezza vedica, quella saggezza eterna di cui un barlume è apparso oggi, per tutti, con quello che è stato in grado di dimostrare la fisica quantistica.

Gli insegnamenti contenuti nel Ramayana vengono ripresi e ancor di più esaltati nel Mahabharata.

Il Mahabharata è il poema composto dal saggio Vyasa, di cui la Bhagavad-Gita ne è un capitolo, in cui si narra la guerra svolta tra i Pandava e i cugini usurpatori Kaurava che sfocia nella famosa battaglia del Kuruksetra dove l’avatara Krsna trasmette, ad Arjuna, l’insegnamento iniziatico della “giusta azione”.

Questa saggezza millenaria, nel Ramayana e nel Mahabharata, ha avuto il potere di produrre grandi anime illuminate fino ad oggi.

Il Mahabharata racconta, ovviamente, una storia più recente (sui cinquemila anni). Anche la figura di Krsna è storica, al di là di quello che ne pensano molti detrattori della spiritualità. Della città di Dvaraka, fondata da Krsna stesso, si sono scoperti interessanti ritrovamenti archeologici.
La figura del re-avatara Krsna è molto importante per la nostra epoca perché con la sua morte si è dato inizio all’”età del ferro”, il “kaliyuga”. L’astronomo del V secolo d.C., Aryabhata, sostiene che la morte di Krsna si sia verificata il 18 febbraio del 3013/3012 a.C.
Tutto il Mahabharata è ricco di tracce storiche ormai inequivocabili grazie a moltissimi studi che mettono in difficoltà gli storici ufficiali che tentano ancora di negarne l’avvenuta presenza. È stato localizzato anche il luogo della famosa battaglia del Kuruksetra, una pianura del nord dell’India, nell’attuale stato di Haryana (150 km a nord di Delhi). Non tutti sanno che quanto affermano i Purana è stato accertato, come riguardo alla capitale del regno dei Pandava che venne spostata da Hastinapura a Kaushambi dopo un alluvione del Gange: tale alluvione è stato confermato da seri studi archeologici e geologici così come è stato dimostrato anche lo spostamento del corso del fiume sotterraneo Sarasvati (che a Prayaga, celebre luogo di pellegrinaggio che oggi si chiama Allahabad, si unisce alla Ganga e alla Yamuna in quanto posti nella stessa confluenza delle correnti fluviali). Molto prima dell’avvento degli Arii in India esisteva un’antica civiltà; in quei tempi le acque del fiume Sarasvati erano abbondanti ed in esse i rsi svolgevano pratiche ascetiche, alla stregua di quanto avviene nel Gange oggi. Questo finché un cataclisma ne provocò la scomparsa, evento che determinò l’investitura e il trasferimento della “santità” al Gange.          
L’”età del bronzo” (dvaparayuga) appartiene a Krsna, al Kuruksetra e alla sacralità di Sarasvati; nell’”età del ferro” (kaliyuga) la sacralità appartiene al Gange.
Nell’oggi i riscontri astronomici sulle vicende del Mahabharata sono sconcertanti (individuati i momenti delle eclissi solare e lunare a conferma della battaglia del Kuruksetra e il passaggio di una grande cometa – Halley – ).

Tutti gli Itihasa splendono lungo i millenni, con la loro eterna saggezza, radicandosi nella coscienza dei popoli in ogni regione del pianeta.

Il Ramayana insegnando l’Unione-Unità (tra Sita e Rama) rivela il segreto per non avere alcun problema nell’umanità. Il male si presenta nella fragilità provocata dalla separazione, dalla frammentazione, dalla presunzione della “parte” di pensare di poter fare a meno di essere tutt’uno col “Tutto”: l’Uno-senza-secondo è vittorioso per sempre. Senza Unità è inevitabile la caduta nelle Tenebre. Rama insegna che senza la Conoscenza del Divino e la sua applicazione nella vita si finisce per smarrirsi, cadere nell’Oscurità. Rama consegna all’umanità la conoscenza del distacco dagli avvenimenti e l’illuminato strumento delle regole del Dharma che possono realizzare la Fratellanza Umana come inconfondibile legge cosmica.

La Bhagavad-Gita come faro millenario offre un insegnamento pratico: insegna a saper agire. Il “profano” vive (per l’io e con l’io), nella sua ignoranza metafisica, per il frutto del godimento (dell’io); il “Sadhaka” deve apprendere, dall’insegnamento, ad avere la consapevolezza di agire per il non per l’io.

 

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