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870. L’Aura, i cakra, il pensiero, la mente, la meditazione

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L’Aura, ciò che viene chiamata tale, è in relazione con “hiranyaloka”, l’“aureo mondo”, cioè la sfera sottile nell’ordine universale. L’Aura, quindi, è intima con ciò che designa il piano formale sottile di tutta la manifestazione nell’ordine universale, il cosiddetto “Uovo cosmico”, l’“Hiranyagarbha” (assimilato al prana cosmico). Possiamo dire che nell’ordine universale Hiranyagarbha corrisponde alla totalità sottile-energetica quale “germe” della realtà grossolana; nell’ordine individuale viene rappresentato dal corpo sottile “luminoso” e dalla condizione di sonno con sogni (svapna). Hiranyagarbha è la sede della consapevolezza suprema nella sommità del capo, conosciuto come sahasraracakra. È in sahasrara che si manifesta il simbolo di Siva (Sivalingam) che ha il potere di conferire la conoscenza, lo jyotirlinga (jyotisa è la “luce” quale simbolo di conoscenza), il linga di pura luce bianca che simboleggia la consapevolezza astrale illuminata. Chi medita in sahasrara e percepisce tale linga è risvegliato ed evoluto (ad una elevata posizione coscienziale); anche chi medita in ajnacakra e percepisce un linga nero, itarakhya linga, dai contorni ben definiti è risvegliato ed evoluto (ad un diverso ma buon livello e grado di coscienza); chi invece vive ancora in uno stato di coscienza di vita istintiva può percepire in muladharacakra un linga nero fumoso, dhumra linga, dai contorni non distinti. 
In realtà, il tipo di linga che si manifesta (che sarebbe il proprio corpo sottile, corpo astrale, lingasarira) nel tentativo di meditare corrisponde alla posizione coscienziale raggiunta dal meditante: nel linga nero fumoso, in muladhara, si riscontra uno stato non molto evoluto dal punto di vista spirituale (una mente-antahkarana non ancora evoluta che presenta la mancanza di un concetto reale di stessi); nel linga nero, ben definito, in ajna, si riscontra il risultato di un elevato risveglio spirituale (raro), un tipo di evoluzione molto importante; nel linga di pura luce bianca, in sahasrara, si può riscontrare la fase della fine del viaggio spirituale, l’apice del raggiungimento (rarissimo).
In questo piano sottile universale-individuale risiedono i kosa, quei corpi sottili che generano l’Aura mediante i sottilissimi canali fatti di prana chiamati “nadi” e i cakra, quei centri focali di energia-prana nell’ambito dell’individualità. Le “nadi” costituiscono la struttura (intelaiatura) luminosa-energetica in relazione al corpo sottile (corpo astrale, lingasarira) dell’essere individuato. La tradizione esoterica parla dell’esistenza di 72.000 nadi, di cui le principali sono tre nadi poste parallelamente alla colonna vertebrale, la susumna (che passa lungo il midollo spinale e attraversa la regione della testa fino alla sommità del capo) al centro, la ida (che parte dal muladharacakra e sfocia nella narice sinistra) e la pingala (che parte dal muladharacakra e sfocia nella narice destra). In dettaglio nadi ida parte nell’uomo dal testicolo destro e nella donna dall’ovaia destra; nadi pingala dal testicolo sinistro e dall’ovaia sinistra e si uniscono con la nadi susumna in muladhara. Questa particolare unione viene chiamata muktatriveni. Lungo la nadi susumna sono disposti i principali cakra.
Le nadi formano una vasta rete sottile di comunicazione e di collegamenti che portano il prana, avanti e indietro, in ogni direzione.
Ida nadi è il canale dell’energia mentale; pingala nadi è il canale dell’energia vitale; susumna è il canale dell’energia spirituale. Tutti e tre originano in muladharacakra. I canali ida nadi e pingala nadi partendo da muladhara si incrociano in corrispondenza di ogni cakra fino all’ajnacakra sulla fronte (considerato il gurucakra, l’Occhio del divino dalla potente luce bianca), mentre susumna nadi passa per il centro di ogni cakra. Susumna è un canale che la maggior parte degli enti planetari hanno addormentato, al di là delle sciocchezze new age che circolano. Per quanto riguarda i canali ida e pingala sono semiaddormentati nella maggioranza; del tutto risvegliati in un numero ristretto; risvegliati verso i cakra inferi oltre muladhara un certo numero di enti posti sotto influenza dalla contro-iniziazione.
Kundalini al momento opportuno è lungo susumna che sale per dischiudere i vari cakra e far accedere agli stati di coscienza, di volta in volta, superiori. I cakra si può dire siano determinazioni della sakti-energia kundalini che risiede (“arrotolata” come un serpente) alla base della colonna vertebrale, nel muladharacakra, addormentata ma pronta a “risvegliarsi” (dal suo risveglio può dirsi che un ente planetario si è risvegliato spiritualmente).
I cakra principali, funzionali al risveglio spirituale della coscienza, sono muladhara (istinto di lotta vitale; svadhisthana (istinto procreativo); manipura (coscienza sensitiva); anahata (coscienza universale); visuddha (coscienza empirica); ajna (coscienza unitiva); sahasrara (coscienza dell’essere supremo). È nel sahasrara che la coscienza del jiva si risolve alla fine nell’atman.

Il risveglio di ajnacakra innalza e completa il sadhana del ricercatore spirituale, predisponendolo per sahasrara: in ajna confluiscono le nadi ida, pingala e susumna. È la potente luce bianca di ajna risvegliato che permette di percepire le forme dei corpi sottili (lingasarira, corpi astrali). È ajna che permette la telepatia, le intuizioni, tutte le forme di veggenza e l’invio di messaggi senza problemi di spazio-tempo. Con il risveglio di ajna la meditazione fa sorgere la potente luce bianca che si leva dalla mente e la volontà (da citta) entra nell’intelletto-buddhi per ottenere tutte le conoscenze desiderate.

Eppure esistono anche dei cakra, che possiamo chiamare a buona ragione inferi, che risiedono al di sotto di muladhara: atal, vital, sutal, rasatal, dharatal e mahatal. Chi finisce per cadere nelle pratiche di un oscuro esoterismo deviato (della contro-iniziazione) precipita verso questi cakra (kundalini anziché ascendere dal muladhara in su fino al sahasrara inverte la rotta verso le dimensioni oscure).

Il jiva è l’anima individuale (jivatman), un raggio dell’atman (Spirito) che è della stessa natura del Brahman (Assoluto). Il jiva è immortale mentre i veicoli-corpi funzionali all’ahamkara (l’ego, il senso dell’io-mio) sono aleatori.

I kosa, a cui accennavamo sopra, sono degli involucri energetici-luminosi che velano, rivestono l’atman, lo circoscrivono in successione e concentricamente.
Questi kosa sono: anandamayakosa, che costituisce il corpo della beatitudine, la mente inconscia o inconscio (karanasarira, che corrisponde allo stato di sonno profondo, susupti); buddhimayakosa o vijnanamayakosa, che costituisce il corpo sottile (lingasarira, corpo astrale, la consapevolezza delle dimensioni psichica e causale), la mente subconscia (stato di sonno con sogni, svapna); manomayakosa, che costituisce il corpo mentale (che corrisponde sempre allo stato di sonno con sogni, svapna, mente subconscia); pranamayakosa che costituisce il corpo pranico (che corriponde allo stato di veglia, jagrat), la mente conscia (consapevolezza delle funzioni fisiche grossolane); l’ultimo, annamayakosa, che costituisce il corpo fisico-grossolano (sthulasarira, che corrisponde allo stato di veglia, jagrat, consapevolezza del corpo fisico grossolano).
L’Aura è il risultato di tali complesse combinazioni.

La maggior parte degli enti planetari sono consapevoli principalmente del piano fisico-grossolano; per percepire gli altri strati più sottili necessita uno sviluppo che può avvenire o per fattore karmico, o tramite le pratiche di un “percorso realizzativo”, o sadhana (come ad esempio lo Yoga).
È pranamayakosa che pervade e sostiene la vita in ogni cellula del corpo fisico-grossolano (sthulasarira). A sua volta pranamayakosa (il corpo pranico) è sostenuto dalle dimensioni più sottili di manomaya, vijnanamaya o buddhimaya e anandamaya.
Manomayakosa, come dimensione mentale, svolge molte funzioni simultanee e mantiene insieme, integrati, annamaya e pranamaya, i due kosa più grossolani.
È manomayakosa che trasmette le esperienze e le sensazioni del mondo esterno a buddhimayakosa (il corpo intuitivo) e le influenze sottili di anandamayakosa (il corpo causale) e di buddhimayakosa ad annamayakosa (il corpo fisico-grossolano).
Manomaya si comporta come un messaggero tra ciascun corpo-veicolo.
La mente ha la possibilità di muoversi avanti e indietro nel tempo: infatti nella meditazione profonda il tempo cessa di esistere. Buddhimayakosa (il corpo dell’intuizione) è più sottile di manomayakosa e infatti lo pervade.
È quando il risveglio arriva al livello di buddhimayakosa che si fa importante perché comincia a far sperimentare la vita a livello intuitivo, fa vedere la realtà fondamentale oltre la semplice manifestazione grossolana. È questo livello di risveglio che inizia lo sviluppo della saggezza. Anandamayakosa appartiene alla dimensione più sottile, quella finale, è il corpo causale-trascendentale; è dimora del prana più sottile che viene direttamente dal Brahman.
Anandamayakosa è la soglia del samadhi, la dimora del sé cosmico, del paratman.

Molte sono state le sciocchezze dette sull’Aura, negli ultimi trent’anni, fino alla vendita dello spray per la pulizia o l’espansione dell’Aura: tutto secondo il perfetto filone-new age che non ha prodotto né iniziati, né discepoli avanzati, né qualificati per un sentiero spirituale vero. Solo un certo numero di mammalucchi (non l’antica milizia mediorientale) alienati ma non trascendentali. Nonostante tutto ha dato a molti possibilità di stimolo alla vera “ricerca della verità”, anche se poi in pochi hanno risposto a quello stimolo. Molti i “precipitati” in ambiti psichici oscuri che ancora pagano le conseguenze a livello di salute psico-fisica e di disturbi comportamentali e comunicazionali. Diversi hanno conosciuto, per colpa di pratiche improprie spacciate per buone possibilità spirituali, la possessione, alcuni quella di tipo fisica, altri di tipo mentale (esseri incorporei quali asura o demoni che approfittano di chi con certe pratiche si rende fragile, esposto e così viene messo sotto influenza).
Vogliamo rassicurare: non è l’interessarsi all’Aura, ai suoi costituenti e ai suoi processi che mette a rischio, neanche cercare di prendere consapevolezza della sua esistenza e delle sue funzioni. Ci riferivamo a certe pratiche che si sono diffuse in molti decenni con la moda del new age: pratiche che preferiamo in tale ambito non menzionare.
Scegliere la luce e tutto ciò che è luminoso non è difficile.
Lavorare spiritualmente sulla propria Aura produce risultati concreti riscontrabili.
Innanzitutto è indispensabile sapere, essere consapevoli dell’esistenza dell’Aura che circonda ogni ente planetario, anche animali, piante e pietre, ma con funzioni diverse.
Quali sono le funzioni dell’Aura?
L’Aura avvolge e compenetra i veicoli-corpi fisici-grossolani, sottili e causali, protegge, dona sensibilità, fa passare le correnti universali ma soprattutto permette gli scambi fra l’Anima e tutti gli esseri degli “Infiniti mondi” della manifestazione universale.
L’Aura di un ente planetario corrisponde alla sua reale posizione coscienziale raggiunta (il suo livello di risveglio spirituale o al suo livello di sonno della coscienza, di oblio) quindi è in relazione con le capacità sviluppate e il karman portato nel suo invisibile bagagliaio karmico.
L’Aura gestisce lo scambio costante fra l’individuo e le forze della natura (influenze cosmiche, planetarie, zodiacali). Proprio perché l’Aura corrisponde alla posizione coscienziale dell’ente planetario riceve questa o quella forza cosmica o non ne riceve affatto. Il livello di coscienza determina il livello di purezza, di sensibilità, di colore-qualità. L’Aura è un potente sistema tecnologico al servizio dell’Anima (jivatman) in grado di captare ogni messaggio, ogni onda, ogni forza.
L’Aura di un ente planetario evoluto, risvegliato, sarà luminosa, potente e in grado di proteggere dalle influenze nefaste; quella di un ente planetario ordinario, addormentato o semiaddormentato nella coscienza, non è in grado di proteggere e farà passare l’influenza nefasta con il rischio di scuotere o far cadere ancor di più la coscienza.
L’Aura è il risultato di tutte le emanazioni dell’essere completo (corpo fisico-grossolano, sottile, causale, buddhico e atmico): ecco perché corrisponde al livello e grado di coscienza spirituale dell’ente planetario.
I veri discepoli accettati di un Maestro, non quelli che si immaginano di esserlo, vengono presi letteralmente nella sua grande Aura capace, nello stesso tempo, di proteggerli e di penetrarne l’Aura per immettere in loro vita spirituale (semi nel cuore, hrdayacakra).
È la “qualità” dell’Aura che fa di un discepolo un “centro vivificatore” che manifesta influenza spirituale in chi vi entra in contatto (che si sentirà più calmo, rilassato, in pace, ispirato, più illuminato).
Le Aure degli enti planetari che vivono nell’oscurità influenzano negativamente ciò che è attorno a loro, tendono a distruggere quello che c’è di buono negli altri: una specie di servizio alla contro-iniziazione.
I pensieri di angoscia, di rabbia, di odio, di competizione agguerrita, d’invidia, di gelosia creano delle nube oscure nell’Aura che abbassano il livello vibrazionale e di luminosità e aprono alle influenze nefaste: queste oscure nubi sono i cosiddetti pensieri-forma che si strutturano e appesantiscono, per la loro natura-qualità, la vita.
Chi svolge una vita caotica, disordinata, senza un minimo di disciplina o organizzazione, piena di cedimenti e debolezze crea un’Aura del tutto scompigliata, tanto da non fare penetrare le positive forze spirituali eventuali, ma spalancano la porta alle forze nefaste che mettono volentieri il loro nido al suo interno.
Un’Aura luminosa attrae ulteriore luce e maggiore purezza.
Una mente concentrata sulle questioni spirituali fa brillare ed espandere maggiormente l’Aura ed attrae facilmente situazioni armoniche e di ampia bellezza, nel visibile e nell’invisibile.
Una disciplina improntata sulla spiritualità rende luminosa, forte e potente l’Aura, uno scudo protettivo ed un’antenna captativa di forze cosmiche.
L’Aura è ciò che recinge, proteggendolo, l’ente planetario e nello stesso tempo è ciò che lo proietta verso l’infinito, lo espande, lo mette in contatto con le grandi Intelligenze cosmiche. Nell’essere risvegliato questo è possibile e molto altro ancora.
Il “ricercatore della verità” deve lavorare sulla propria Aura, con i mezzi semplici della creatività o mediante le conoscenze e le tecniche esoteriche: entrambi possono funzionare e dipende dalla sincerità e dalla qualità dell’intenzione. Egli deve essere consapevole che la propria Aura pur essendo di chiara luce bianca esprime i sette colori del prisma, secondo il livello e il grado della propria posizione coscienziale. Anche senza avere la capacità di “vedere-sentire” i sette colori che si esprimono nell’Aura ma avendo piena fiducia nella loro esistenza (pur non essendone ancora consapevole nel vedere-sentire) possono essere “immaginati” che escono dall’Aura, dopo aver circolato in essa tramite le nadi e i cakra, e si spandono nello spazio. È un ottimo esercizio che prepara per il giusto momento in cui la maturazione della “qualificazione” conquistata permetterà effettivamente di “vedere-sentire” i colori e non solo. I colori sono quelli del prisma.
Infatti, anche se all’inizio la pratica è un processo di pura immaginazione, col passare del tempo si trasformerà nella effettiva visione reale. Una volta sviluppata la visione sarà possibile dirigere ogni corrente di particelle di luce, far circolare il prana-luce come flusso o saette di luce. Risvegliare il prana significa aprirsi ad un’infinità di possibilità.

L’immagine completa è semplice: vedere i colori circolare, poi uscire dall’Aura e spandersi all’esterno nello spazio e vedere sé stessi circondati da un cerchio luminoso, un complesso di luce che respira, inspira ed espira, si contrae e si espande con tutto l’universo con immenso amore (la forza cosmica unitiva).
Ovviamente, ogni esercizio di questo tipo è bene sempre accompagnarlo con lo sforzo di sviluppare delle “qualità” e delle “virtù” quali la pazienza, la generosità, la bontà, l’umiltà, la giustizia, la rettitudine, la pace, la non-violenza, il distacco, eccetera.
Lo sviluppo della non-possessività (aparigraha) si manifesta nell’Aura come “forza mentale” (cittasakti) che apre la porta all’atma-sakti, la “forza spirituale”.
A volte può capitare, anche se per casi rarissimi, che qualcuno sviluppi spontaneamente, senza alcuno sforzo, una particolare “qualificazione”, dovuta a fattori di una complessa situazione del suo karman passato, quella di “ojha”, cioè di “guaritore pranico”. Tutta la sua Aura assume la funzione per azioni guaritrici: significa, in realtà, che pranamayakosa, il suo corpo pranico, ha assunto la funzione di ojha.

Per conoscere sé stessi e gli altri, il mondo, la natura, l’universo è sempre necessario conoscere la mente (antahkarana). È la mente che concretizza il pensiero nella materia (mondo grossolano): per questo bisogna conoscerla e saperla usare.
Tutto nella vita dipende dalla mente e dalla sua comprensione. La mente ha quattro funzioni: la mente empirica (manas); il senso dell’io-mio (ahamkara, l’ego); l’intelletto (buddhi); la mente subconscia (citta). Un pensiero nasce come “vortice” (vrtti), modificazione, onda, nella sostanza mentale (cittavrtti).
Dalla comprensione della mente dipendono gran parte delle soluzioni possibili. Il pensiero bisognerebbe conoscerlo sin dal suo nascere nella mente ed in quale dominio è pronto ad esercitare la sua influenza. Il pensiero è potente, ovvero onnipotente, ma se lo si usa in un dominio non attinente alla sua natura risulta un pensiero inefficace.
I pensieri hanno tutti una loro natura ed un campo specifico in cui poter operare, mediante elementi sottili appropriati. Il pensiero è una forza ma anche una materia sottile capace di operare in un dominio molto lontano dalla materia fisica densa.
La natura vorticosa, vibrazionale del pensiero non ha nulla di materiale: il cervello bio-computer è la stazione che capta vibrazioni, onde, lunghezze d’onda. Il pensiero emesso non tocca la materia densa visibile ma tocca e fa vibrare gli elementi sottili in noi stessi, negli altri e nel mondo che ci circonda, nel momento in cui il pensiero si trasforma in “messaggio” da trasmettere e così avvengono come delle registrazioni-comunicazioni. Avvengono cambiamenti nel piano sottile.

Lo strumento più potente che produce grandi trasformazioni sull’Aura è la “Meditazione” (dhyana). La meditazione influisce sulla mente-antahkarana e sull’Aura (tutto il sistema sottile). La meditazione non è il pensare concentrato per risolvere qualche problema, per trovare soluzioni alle preoccupazioni. Essere pensosi non significa meditare. Raccogliersi in sé stessi è un buon inizio, eventualmente pregare o rivolgersi a qualcosa di “Superiore”, piano piano predispone. Raccogliersi solo nei momenti di grande preoccupazione non crea le condizioni ideali per la meditazione, per una vera meditazione.
Ritirarsi all’interno di sé stessi significa ripararsi, cercare sollievo nelle regioni sottili e invisibili dell’essere.
Il pensiero, la mente, l’Aura, i cakra sono la grande ricchezza a disposizione dell’ente planetario disceso-caduto-nato in questo mondo del divenire.
La pratica della meditazione è qualcosa a cui bisogna abituarsi consolidandola: non basta una volta ogni tanto o accumularne un certo numero per poi diradare. Non serve a nulla. Poco tempo tutti i giorni, con intensità, è molto efficace. La meditazione è un’attività del pensiero: può essere con “seme” o “senza seme”. In quei momenti nulla deve ostacolare il lavoro del pensiero. Quando si comincia a meditare si sta come in una zona intermedia, cioè con un mondo sopra sé stessi e un mondo al dì sotto: in quella zona intermedia si muovono, si agitano delle sfere, delle energie, dei poteri, delle entità.
Il meditante agita le onde del mondo del pensiero: può costruire o anche distruggere. Chi si pone in tale “posizione coscienziale”, esperto o meno, ignorante o erudito esotericamente, consapevole o totalmente inconsapevole, egli comunque smuove delle energie, delle forze: per il bene e la luce o per il male e l’oscurità, secondo il livello o il grado di coscienza risvegliata o mantenuta obliata. Nella posizione coscienziale meditativa si mettono in moto forze a livello chimico-fisico, a livello sottile-mentale, a livello spirituale. Nello stato di meditazione si prende “contatto” con certe regioni che fanno scattare certe forze corrispondenti, queste, alla “posizione coscienziale” del meditante.
La maggior parte non sa cosa mette in moto, pratica una meditazione incosciente e meccanica: segue uno schema consegnato da qualcuno o di cui ha sentito parlare, recita parole o mantra, senza sapere e comprendere cosa sta contattando. Questa superficialità è spesso sfruttata dalla contro-iniziazione che crea schemi appositi, infiltrando sillabe o intere parole all’interno di mantra, di cui i più non sono in grado di comprendere l’insidia.
Le forze che vengono smosse agiscono nella mente subconscia (citta) ma non solo, praticamente in tutto l’essere e in tutta la natura (agendo su quelli che vengono chiamati “campi morfogenetici”): tutto ciò sia nel bene sia nel male.
Meditare non è chiudere gli occhi e pensare di farlo. Neanche vagabondare con i pensieri più contradditori è meditare. È la meditazione profonda che permette di diventare padroni di sé stessi, di conoscersi e di conoscere ogni cosa, di sviluppare veramente le qualità e le virtù necessarie per accedere alla Supercoscienza.
La meditazione dovrebbe elevare fino alle regioni divine e invece per molti avviene un blocco. Perché? Perché non hanno fatto un lungo lavoro di preparazione, non hanno sviluppato la capacità del “distacco” e così il “passato” (gli errori) si presenta nel momento meno indicato: quello della meditazione che dovrebbe elevare e liberare.
Un vero “ricercatore della verità” si prepara a lungo, si purifica (non si intende in senso morale ma a livello di veicoli-corpi, grossolani e sottili), si rende leggero, carico solo di elevate vibrazioni ascensionali.
La preparazione alla meditazione è fatta di un lungo apprendistato di preghiere, di mantra, di concentrazione (dharana), di contemplazione, finché si è pronti per avviare la meditazione vera e propria che comincia a sciogliere certe catene.
La vera meditazione è quella fatta senza cercare alcun vantaggio, senza mirare ad un qualche profitto ma a realizzare Dio-Brahman. Coltivare il “Silenzio” (“Mauna”, gradito a Siva, il dio-Maestro dello Yoga) aiuta nella meditazione. Negli stadi avanzati della sadhana il “Silenzio-mauna” rappresenta un segno distintivo dell’effettiva statura della posizione coscienziale raggiunta, quella del jnanin (colui che sta diventando o è già diventato identico alla pura conoscenza-coscienza-consapevolezza). Il muni (o maunin, “chi dimora in mauna”, assorbito nella coscienza dell’atman) o jnanin è assorbito nella onnipervadente consapevolezza di Turiya-Brahman. Alcuni speciali “qualificati” ricevono maunadiksa, cioè l’iniziazione conferita attraverso il Silenzio-mauna.
La meditazione, considerata da Patanjali il settimo mezzo del rajayoga, è il mezzo potente che può far passare dalla concentrazione (dharana) al costante flusso di consapevolezza verso l’oggetto della meditazione.
La meditazione consolidata nella pratica del ricercatore spirituale prepara il samadhi (sama = identità; adhi = trascendente), un flusso ininterrotto di consapevolezza priva di fluttuazione o decadimento.
La natura del samadhi sarà in relazione al contenuto di coscienza del meditante. Con il samadhi, sotto qualunque specie, termina ciò che viene chiamato il o la sadhana (percorso realizzativo) e inizia la presa di una supercoscienza. Il samadhi è la realizzazione del -atman.

Una delle pratiche semplici e sicure per sviluppare la percezione di pranamayakosa che vale, ovviamente, anche per la percezione dell’Aura, è la “respirazione psichica”, ovvero l’integrazione del respiro fisico con la consapevolezza. Effettuare l’atto respiratorio naturale, sotto forma di esercizio, lo rende un processo efficace tramite la forza di volontà e di concentrazione: una consapevole “respirazione psichica”.
Diventare consapevoli del respiro senza cercare di influenzare il normale ciclo respiratorio è un modo molto efficace e potente per risvegliare la percezione di pranamayakosa. In tale forma di esercitazione si uniscono l’esperienza grossolana e l’esperienza psichica.
Ci vuole molta pratica e tanta pazienza.
Esistono, poi, molte altre pratiche che richiedono l’impegno di un vero e proprio “percorso realizzativo” (sadhana): l’ingresso nelle Stanze della conoscenza esoterica.

È bene sapere, sia per un principiante sia per un praticante consolidato, che il momento più spirituale del giorno è tra le 4 e le 6 del mattino, il periodo sattvico che viene chiamato Brahmamuhurta, il più favorevole per il sadhana. È in tale periodo che avvengono spontaneamente, se c’è già a monte una predisposizione, eventi-manifestazioni spirituali speciali (particolari percezioni, illuminazioni, contatti di natura superiore, ecc.). Meditare o praticare alcune tecniche di pranavidya in tale periodo porteranno certamente dei buoni risultati e avanzamenti.

Il prana, non bisogna dimenticare, provenendo direttamente dal Brahman (il grande mistero per i più), è l’unico mezzo che connette il corpo grossolano (sthulasarira) all’Anima (jivatman) ed il solo in grado di favorire una possibilità di ritorno consapevole, dopo la caduta-discesa-nascita e l’incatenamento nel samsara, al Brahman, all’Assoluto Metafisico, alla Realtà trascendentale.

 

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