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876. Teoria e Prassi Alchemica da Vidya

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L’Alchimia affonda le sue radici nell’antico Egitto, nei Misteri Egizi, si tratta della Tradizione Ermetica – da Ermete Trismegisto.

È una tradizione prettamente occidentale.

Anche Platone fa uso del linguaggio alchemico quando, ad esempio, parla di sciogliere l’Anima dal corpo e farle mettere le ali per tornare in Patria.

L’Alchimia è sostanzialmente questo: far mettere le ali al Mercurio.

In Europa, nel nord della Spagna, esiste tutt’ora una località, San Giacomo di Compostela, che è stata un luogo di incontro di molti ricercatori e iniziati, è stata un vero crogiuolo, data la sua saturazione energetica, favorevole alla precipitazione di feconde intuizioni.

Si effettuavano dei veri e propri pellegrinaggi verso tale località; lungo il percorso vi erano disseminate delle postazioni di ristoro e alcuni ritenevano che tali alloggi simboleggiassero il suggello di precise iniziazioni, che venivano prese lungo la “Via”.

Vi giungevano confraternite Ebraiche, Cristiane, vi facevano capo grandi Cabbalisti e Alchimisti, potremmo ricordare Basilio Valentino, Raimondo Lullo, Nicolò Flamel.

Dal momento che, all’epoca, molto facilmente si poteva essere accusati di eresia e condannati, ciò che ha contraddistinto la trasmissione dell’insegnamento alchemico è stato l’uso dei simboli e tale simbologia, soprattutto minerale, se da un lato ha protetto gli “addetti ai lavori”, indicando loro, senza fragore, un preciso cammino interiore, dall’altro, per quelli più dominati dal senso dell’io, ha stimolato l’emergere della chimica utilitaristica, della spagiria; in pratica ha spinto alla ricerca dell’oro volgare e, appunto in tal senso, si è parlato, con tono quasi dispregiativo, dei cosiddetti “soffiatori di fornelli”, per distinguerli dagli autentici alchimisti.

Tali simboli accompagnano il ricercatore lungo il cammino, fungendo sia da stimolo coscienziale, sia da conferma del buon andamento del lavoro, quando magari si palesano in particolari esperienze interiori o in sogno.

La stessa parola “simbolo”, dice il dizionario, deriva dal greco simbolon (σύμβολον) e indica le due metà o parti corrispondenti di un oggetto, che venivano conservate da due diverse persone, al fine di potersene servire come segno di riconoscimento; altri significati sono: segno divino, parola d’ordine, segno distintivo, ecc… Ciò ci suggerisce l’ulteriore possibilità di risveglio allorquando,tacendo la mente, il simbolo stesso tocca e ridesta la sua parte corrispondente, quiescente nella nostra interiorità, mettendo in moto la reminiscenza platonica.

Il vero simbolo, per la sua stessa origine “non umana”, incarna una verità, un principio, che possono essere colti solo attraverso l’uso dell’intuizione. Il simbolo eleva al di sopra delle categorie mentali del tempo e dello spazio ed essendo sintetico racchiude differenti verità a seconda del livello, o sistema di coordinate, a cui lo si vuole riferire.

Il simbolo “apre” l’accesso al divino e, nel momento in cui una coscienza è pronta a recepire il messaggio superiore, avviene spontaneamente la trasmissione, si convibra con il simbolo, le distanze sono annullate.

Nel Magistero alchemico troviamo altresì una precisa correlazione delle varie fasi dell’opera con i “colori” che i metalli assumono quando vengono “puliti”: avremo così che all’annerimento (nigredo) segue il candeggiamento (albedo) e a questo l’arrossamento (rubedo) e se il nero è l’assenza di colore, di luce, il bianco è purezza, luce non scomposta in colori e il rosso è il culmine del colore, il massimo ardore, l’essenza stessa.

Tenendo pure conto che fra i tre colori principali potremo distinguervi una gradualità progressiva nel passare dall’uno all’altro, ad esempio per passare dal bianco al rosso procederemo attraverso le sfumature del giallo, dell’arancio, ecc. fino ad arrivare al rosso porpora, ecco ritornare, per analogia, l’importanza dell’uso di un “Fuoco lento” graduale.

Il simbolismo più ricorrente, tuttavia, nel magistero si rifà ai pianeti che, a loro volta, sono correlati a dei metalli.

Il Mercurio, pianeta-metallo, sta a indicare la chiave dell’opera, potremo dire l’influsso spirituale, la grazia che penetra nel mondo della coscienza individuale e la scioglie dalla sua coagulazione metallica, è il Dio Ermes dei misteri Orfici, il messaggero degli dèi.

La prima fase del magistero minore, dominata da Saturno-Piombo, corrisponde all’annerimento, alla putrefazione e alla mortificazione, solitamente rappresentata da un corvo, da un teschio e anche da una tomba: del metallo ignobile, dopo la calcificazione, resta una cenere liberata da ogni umidità; la coscienza deve essere strappata dai sensi e rivolta verso l’intimo e si vive la “notte profonda” fino a conoscere la propria essenza immutabile.

La seconda fase porta il nome di Giove-Stagno; la forza psichica, staccatasi dal proprio “coagulamento” nella coscienza corporea, da terra è diventata acqua e aria (sublimazione).

La terza fase, dominata dalla Luna-Argento, è il coronamento del magistero minore, le potenze purificate sono ora amalgamate in uno stato di indivisa purezza: è la Trasfigurazione.

Queste tre fasi, se osserviamo la simbologia dei rispettivi pianeti, evidenziano un movimento ascendente; infatti la Luna all’inizio era sotto la croce in Saturno, poi si era unita alla sua trave orizzontale in Giove e infine dominata da sola.

Tali fasi corrispondono altresì alla spiritualizzazione del corpo, mentre le successive tre fasi, del magistero maggiore, corrispondono alla “corpificazione dello spirito”.

Alla fine del magistero minore l’anima ha riconquistato la purezza originaria e ora è pronta a ricevere l’illuminazione dello spirito (magistero maggiore).

La quarta fase – la prima del magistero maggiore – è sotto il segno di Venere-Rame, il Sole appare sopra la croce; la quinta è dominata da Marte-Ferro e indica la discesa dello spirito nella coscienza umana; la sesta fase, il compimento del magistero maggiore, è espresso dal Sole-Oro che, a differenza di come è raffigurato in Venere e Marte, qui porta l’indicazione del centro, a significare la forma perfetta, il coronamento dell’Opera.

Abbiamo quindi un’alchimia che si rivolge alla realizzazione della piccola Opera (piccoli misteri) e della grande Opera (grandi misteri) e, mentre la piccola Opera è, come abbiamo accennato, equiparabile alla trasfigurazione di Gesù sulla montagna, la grande Opera riguarda la realizzazione dell’Unità.

Volendo tuttavia rifarci alla divisione classica dell’alchimia diremo che si divide in quattro tappe:

  1. rettificazione del Mercurio,
  2. fissazione del Mercurio,
  3. separazione del Mercurio rettificato,
  4. congiunzione del Mercurio con lo Zolfo.

Potremo considerare le prime due fasi dell’Opus strettamente congiunte e interpenetrantesi, in quanto la diminuzione della potenza dei fuochi fatui determina, di contro, una sempre maggiore stabilità del Fuoco mercuriale.

Questi fuochi fatui sono riconducibili a tre potenti energie condizionanti, che a loro volta trovano espressione nei tre cakra inferiori, che condividiamo con gli animali: si tratta del desiderio-emozione-passione, dell’energia creativa sessuale e dell’autoaffermazione.

È imprescindibile rettificare la “sostanza” onde acquisire quel grado di Dignità, di superiore statura, che consenta il prosieguo dell’opera.

Questa fase, definita preliminare, non deve indurci in inganno e farci sottovalutare l’enorme importanza di questa solarità da riconquistare; infatti l’io ha sete di esperienze individuate ma “lungo la via la fretta è cattiva consigliera” ci è stato detto e ci viene continuamente ripetuto.

Ecco la gradualità, il procedere calmi e senza fretta, il giusto dosaggio del Fuoco, per proseguire senza rischi alla trasmutazione del solido in liquido e di quest’ultimo in aeriforme o, il che è lo stesso, del tamas in rajas e di questo in sattva.

In queste successive trasmutazioni ci viene raccomandata grande attenzione all’aspetto umidità.

Che cos’è questa umidità? È la forza-desiderio e qui si impone la distillazione, il recuperare gradualmente, ma persistentemente, quest’energia imprigionata e costretta nella sete di esperienze, nel movimento caotico; si tratterebbe di scindere tale amalgama, di estrarne l’essenza, la parte immortale e renderla libera dalle brame imprigionanti.

Occorre fermarsi e non concedersi alle richieste dell’io accattone, spossando la sete che esige sete o, per dirla con la Qabbālāh, chiudendo le porte di Yesod-Malkuth.

Questo riflesso di coscienza incarnato, affinché possa mettere le ali e volare, deve essere risvegliato e sottrarsi al dominio dei guṇa, all’amalgama dei metalli vili e riconoscere il proprio Padre, l’Oro, la propria origine.

Questa separazione del Mercurio dal Piombo, questo sciogliersi dall’elemento saturnino trasforma con gradualità il Mercurio stesso da lunare in solare per cui cambia totalmente la sua direzione: non si protenderà più per gratificare le istanze individuate ma, rinunciando a scendere, non concedendosi alla fugacità e allo stordimento delle esperienze egoiche, favorirà la morte alchemica prima e, subito dopo, come Mercurio rettificato, traendo forza da se stesso, prenderà una nuova direzione, intraprendendo il volo verso lo sposo divino, lo Zolfo incorruttibile.

Tutto questo cammino, nell’ultima parte appena accennato, è caratterizzato da due “azioni” che si ripetono nei punti strategici: si tratta del “solve” e del “coagula”, parole-simbolo con insito il potere vibratorio di veri e propri Mantra.

Si tratta quindi di dissolvere e di coagulare, di soluzione e di integrazione e tale processo opera a diversi livelli: potremo avere la padronanza sui quattro elementi fisici – solve et coagula nei riguardi del corpo fisico ed eterico -, potremo ancora procedere con il solve et coagula nei confronti del corpo prāṇico e kāma-manasico – conquistando il cosiddetto corpo astrale dell’occultismo occidentale – ma solo al livello del solve et coagula del corpo kāma-manasico avviene la vera morte dei Filosofi, o il passaggio dall’individuale all’Universale o, ancora, il coronamento della piccola Opera, da dove poi procedere alla seconda fase, risolvendo il Fuoco mercuriale stesso, nello Zolfo (grande Opera).

tratto da Vidya
Periodico – Anno XXVIII – Febbraio 2000

 

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