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1010. Il Discepolo alla Realizzazione a chi deve ubbidire? di Raphael

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Ubbidienza deriva dal verbo ubbidire e può avere più di un significato. Uno di questi è: non opporre resistenza, seguire suggerimenti o imposizioni, assecondare o piegarsi all’ispirazione, all’opera, alla fatica di qualcuno, di qualcosa, ecc.
L’ubbidienza è un comportamento, è una modalità di muoversi, è un habitus; può investire l’aspetto formale di rapporto, quello psicologico e anche quello coscienziale, dipende da dove parte l’istanza dell’ubbidire. Essendo un comportamento, è un effetto, quindi può essere soggetta a modificazione. È molto importante capire che è un comportamento-effetto perché il fatto di essere ubbidienti o meno va rimandato a una causa motivante che gli sta dietro.
Per esempio, si può essere ubbidienti per debolezza psicologica, oppure perché si hanno determinati complessi o per ignoranza; si può ubbidire per un atto di dovere, di amore, di rispetto verso un superiore, e così via.
Queste modalità di ubbidienza non solo sono effetti, ma dipendeno anche da fattori esterni al soggetto; così l’ubbidienza è assentimento verso un’autorità che non è il soggetto stesso. Ciò implica che venendo meno l’oggetto esterno o la motivazione esterna, viene meno pure l’ubbidienza.
Spieghiamo meglio: l’ubbidienza può essere l’effetto di un “comando” interno oppure esterno al soggetto: possiamo comandarci di adempiere una certa azione, possiamo poi ubbidire o disubbidire a questo nostro comando, ma è un comando che parte da noi per noi stessi. Può essere invece un comando che viene dall’esterno, indipendentemente dalla nostra volontà-decisione.
Può ancora venire sì dall’esterno, ma poi lo facciamo nostro in perfetta libertà per cui è come se ci venisse dall’interno.
Ci può inoltre essere un comando di ubbidienza che non proviene da qualche persona, ma da determinate circostanze di ordine impersonale. Per esempio: un corpo sociale impone l’ubbidienza; non è qualcuno che vuole imporre, ma la necessità stessa delle circostanze di rapporto.
Quindi l’ubbidienza deriva da un ordine sociale, da certe circostanze. Da una persona, da noi stessi e possiamo anche aggiungere dall’universale natura mediante certe leggi. Una legge, umana o divina, implica ubbidienza, impone un comportamento e si presuppone che sia il simbolo del’armonia in quanto impone un ordine adeguato a un contesto sociale o universale.
Ora, il nostro intento come discepoli sulla Via è quello di vedere se è possibile trovare un fattore tramite cui l’ubbidienza diventi “risposta di crescita”, mezzo (non più effetto ultimativo) mediante il quale la coscienza si risveglia a certi riconoscimenti. Ricordiamo: una normativa (giuridica e no) mira a creare un comportamento che può investire semplicemente un aspetto formale oppure un coinvolgimento di tutto il nostro essere. Dipende, abbiamo detto, dalla sfera da cui parte la normativa.
Quindi, possiamo chiederci, c’è una via di soluzione sì da porre l’ubbidienza solo come mezzo di elevazione della nostra coscienza?
E il discepolo alla Realizzazione a chi deve ubbidire? Ci sembra ovvio che prima di tutto deve ubbidire alla “voce” della propria coscienza. Poi all’Insegnamento che reputa più idoneo alla sua sadhana (ascesi) infine al suo preciso dharma (dovere) di iniziando.
Innanzitutto dobbiamo dare credito alla voce più profonda che ci viene dall’Anima: la Realizzazione non la si fa per semplice curiosità, perché siamo stati spronati da altri o per far piacere a qualcuno, sia esso anche un Istruttore-iniziatore.
La Realizzazione è frutto di maturità non solo psicologica ma soprattutto coscienziale; è questa coscienza che deve sentirsi risvegliata al punto da sospingere sulla Via; potremmo parlare anche di vocazione, e ciò è un fatto estremamente personale.
Conseguentemente a tale atto, l’altro aspetto importante è l’Insegnamento: vi sono Insegnamenti a vari livelli che presuppongono adeguate qualificazioni. L’Insegnamento è sempre uno perché la Realtà è una, ma ogni discepolo, secondo il suo sviluppo coscienziale, comprende nel tempo-spazio solo porzioni o segmenti dell’intero Insegnamento.
Comunque, accettare un Insegnamento e poi, diciamo, non ubbidirgli costituisce un dato da meditare attentamente. L’ubbidienza qui è qualcosa che parte da un’accettazione conscia, volontaria, libera. Ora, se c’è libera accettazione di una Dottrina, frutto di discernimento e vocazione, il non ubbidire solleva parecchie perplessità. Un Insegnamento è diretto a qualcuno ed è tale se insegna qualcosa; ora, se lo si accetta perché lo si ritiene giusto e adeguato alla propria esperienza del momento, perché non si ubbidisce con tutto il cuore? Qui l’ubbidienza non è sotto forma di imposizione; una Dottrina spirituale non impone, indica piuttosto certe possibilità.
La via dell’Insegnamento può essere anche quella del Silenzio, del quale abbiamo alcuni esempi nelle Upanisad; infatti c’è più alto insegnamento di quello del Silenzio?
Ubbidire a una scelta consapevole significa ubbidire al proprio dharma. La parola dharma ha molte accezioni; noi la useremo per designare il “modo di essere” di un individuo, la legge che ha deciso di seguire e a cui dovrà ubbidire. Esso vario da persona a persona: il dharma di un aspirante non è quello di un discepolo accettato o di un iniziato o di un Maestro. Inoltre, il dharma cambia nel tempo-spazio fino a quando non si viene a incarnare il Dharma universale.
Il dharma coincide con il dovere più immediato dell’ente; non obbedire al proprio dharma significa tradire lo scopo della propria esistenza o incarnazione, significa non collocarsi nella giusta dimensione del rapporto di con se stessi, di sé con gli altri e di sé con il Dharma universale di cui ognuno dovrà manifestare la propria parte. L’ubbidienza è l’assenso consapevole all’imperativo della nostra Anima, all’Insegnamento che possono offrirci le condizioni per il nostro sviluppo e all’eventuale Istruttore, quale incarnazione vivente di quell’Insegnamento.
Così, per concludere questa semplice nota di meditazione, il discepolo impegnato dovrà ubbidire:

1 alla “voce” della propria coscienza;
2 all’Insegnamento prescelto;
3 al suo dharma più immediato.

Se riesce a far questo può ben dirsi che l’ubbidienza porterà dei frutti tangibili allo sviluppo del suo stato.

Raphael
tratto dal Capitolo Ubbidienza (pag.83) del libro Fuoco di Risveglio
Edizioni Asram Vidya

 

 

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