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1045. L’uomo moderno: vittima del Tempo e della Velocità

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“... allora che cosa è il tempo? Se nessuno me lo domanda lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più”.
Sant’Agostino, Le Confessioni, libro XI

 

Sin dalla più remota antichità gli uomini hanno sempre dissertato sul “Tempo” e anche oggi la scienza ha elaborato molte teorie. Ciò che è avvenuto nell’uomo moderno è la sopraffazione del condizionamento del tempo sull’uomo. L’uomo è come posseduto dal demone del tempo che lo affretta, lo fa correre senza pensare e gli fa associare il tempo alla corsa, alla frenesia, alla velocità, al progresso, al futuro. Niente di più errato. Il cattivo esempio viene dato da certi politici che dimostrano, con le frasi sciocche che lanciano come mantra trainante della loro propaganda, di non avere nessuna vera concezione del tempo: parlano e si comportano come se fossero all’interno di un cartone animato.

I Greci definivano il tempo come Chronos quando volevano indicare lo scorrere dei minuti, Aiòn quando si riferivano alla vita come durata e Kairos quando volevano indicarne la natura “qualitativa” e “soggettiva” (indeterminata e indefinita).
La concezione più antica del tempo, trasmessaci dai greci, ma di origine orientale, è quella circolare (visione di tipo ciclico) che vedeva gli eventi ripetersi costantemente.
La tradizione cristiana invece farà prevalere la concezione lineare del tempo in cui esso è legato alla creazione del mondo (un inizio e una fine).
Senza dimenticare i presocratici che sostenevano le fasi alterne di formazione e dissoluzione del mondo. Il Timeo di Platone affronta per la prima volta il problema del tempo in tutta la sua complessità. Aristotele (IV sec. a.C.) cerca di definire la natura del tempo collegando la nozione di tempo all’anima o all’intelletto.
Chronos era una divinità potentissima, figlio di Urano e Gea e il mito lo rappresentava come un gigante che divorava i propri figli, finchè non viene spodestato da Zeus.
Kairos invece ultimo figlio di Zeus, rappresentato con le ali ai piedi.

Il tempo ciclico, non bisogna dimenticare, è concetto cardine della filosofia indiana e buddhista, con il concetto di samsara (“divenire ciclico esistenziale”) ma proprio anche della civiltà greco-romana.
Non si procede “di attimo in attimo” o “di millennio in millennio” (lungo una retta senza fine) ma “da attimo ad attimo”, “da millennio a millennio” in un circolo che ha un inizio ed una fine per poi ricominciare.
L’India antica divide il tempo in “cicli del mondo”, ovvero in quattro yuga-ere: il krta yuga (l’età dell’oro o della luce) il treta yuga, il  dvapara yuga e il kali yuga. Ma senza dimenticare il livello morale ed il benessere esistente in ognuna della quattro ere-yuga. L’”ordine morale”, il dharma, nella prima era-yuga era nella sua pienezza fino a declinare man mano nelle altre ere-yuga per sparire nel kaliyuga (l’era dell’oscurità) l’era attuale in cui vive l’uomo moderno (dell’egoismo, della violenza, delle guerre, della depravazione, della corruzione, ecc.).

I quattro yuga costituiscono un mahayuga (grande yuga) che dura complessivamente 4.320.000 anni umani, cioè 12.000 anni divini, e alla fine del quale l’universo si dissolverà (pralaya, dissoluzione) e avrà luogo una nuova creazione. Mille mahayuga, cioè 4.320.000.000 anni umani, sono un kalpa, cioè un giorno e una notte di Brahma.

L’uomo moderno, quindi, è ammalato di velocità: tutta la sua vita è condizionata dall’assillo del tempo, del correre, del far presto, dell’essere veloce per non perdere il futuro. Il futuro arriva sempre a prescindere dalla velocità o della lentezza riflessiva.

L’uomo percepisce inconsciamente i propri limiti che però rifiuta razionalmente e per questo si agita, si muove continuamente alla ricerca di “qualcosa”, senza sapere “che cosa”: cerca di esorcizzare la propria irrequietezza cercando sempre qualcosa o di realizzare ciò che pensa possa soddisfarlo. Non trova mai soluzione definitiva e continua la sua ricerca in preda ad una frenesia indomabile: egli guarda sempre fuori di , nel divenire, dove si corre ma mai dentro di sé dove potrebbe gustare la calma, la lentezza, la riflessione, la meditazione.

L’uomo è soprattutto vittima intrappolata, visti i conti che deve fare ogni giorno con il proprio corpo fisico, del “Tempo” e dell’illusione di raggiungere la “massima velocità” in ogni cosa. Egli, sin dall’antichità ad oggi, ha tentato in tutti i modi possibili di superare-compensare questo suo limite. Non potendo raggiungere fisicamente la velocità sperata corre con i suoi pensieri, con le sue costruzioni mentali che gli hanno permesso di creare strumenti come la ruota, il vapore, l’automobile, il missile, il pc, lo smartphone, il computer quantistico (che in tre minuti fa test da 10.000 anni), ecc.. È, infatti, l’avvento dell’epoca industriale che gli ha dato grandi opportunità ma non tutto quello che ha potuto costruire, in funzione della velocità, è stato cosa buona e giusta.
L’uomo moderno è ammalato patologicamente, è ossessionato dal tempo che non riesce ad afferrare e così conosce l’ansia, l’angoscia di non riuscire a fare tutto quello che vorrebbe. È questo stato angosciante che gli fa dire continuamente di “non avere mai tempo”. Si tratta di un mantra comune diffusosi anche nel mondo del lavoro dove le diverse risposte sono spesso disastrose, avendo condizionato sottoposti e dirigenti all’ossessione della produzione veloce ed efficace.
L’uomo moderno ha fato della velocità un valore inquietante che ha eliminato quel tipo di “pausa che si chiama “riflessione”, l’unica in grado di alimentare la saggezza che ormai è quasi del tutto venuta a mancare.
Gli uomini moderni, che hanno perso il vero senso della civiltà, corrono come disperati, come posseduti da un demone chiamato “tempo” e ovunque seminano disastri in nome della fretta, del correre, dell’essere veloce. Fare disastri significa fare del male ma non riescono a guarire da questa follia: produrre in fretta per consumare sempre più in fretta e continuare a produrre sempre più in fretta.
L’arrivo della pandemia, del lockdown e dello smart working hanno dato l’illusione che la situazione si fosse capovolta: una reclusione in casa che solo illusoriamente ha dato la sensazione che tutto si potesse rallentare rispetto a prima. Invece i limiti personali di ognuno, quelli non visti e non riconosciuti, sono emersi e così sono venuti meno tutti i normali riferimenti contrattuali e le persone, come ubriachi, hanno cominciato a lavorare di più di quanto previsto, anche la sera tardi, il sabato, la domenica e in molti durante le ferie. Una vera intossicazione della coscienza, del senso critico, della capacità di discernere-discriminare di cui hanno approfittato sia le aziende sia i dirigenti per incrementare la propria carriera. Più è aumentata la passività fisica più è aumentata la velocità del pensare che produce frenesia, preoccupazione, ansia, angoscia, ira e depressione. Nessun rallentamento, nessuna calma riflessione.
L’uomo moderno ha accelerato, al limite del patologico, i propri ritmi di vita. La velocità ha fatto perdere il senso che si può cogliere nelle cose che si vedono, la possibilità di assaporare le gioie della creatività nelle sue infinite espressioni.

 

Chi vuole avvicinarsi alla perfezione divina non si preoccupa del tempo: lavora con elementi che appartengono a un’altra dimensione, e dice a se stesso: «Anche se per questo dovesse occorrermi l’eternità, non mi fermerò. Anche se non dovessi riuscirci, continuerò. Finché cammino, sono vivo!». La vita professionale, sociale e individuale obbliga gli esseri umani a tener conto del tempo, e per alcuni può diventare un’ossessione: ci sono gli appuntamenti ai quali si deve arrivare puntuali, gli orari di lavoro, quelli dei treni, degli aerei, quelli di apertura e chiusura dei negozi o delle amministrazioni ecc. Per non parlare poi del tempo che si deve cercare di economizzare poiché, come si suol dire, “il tempo è denaro”. Il tempo regna sugli esseri umani. Nella vita spirituale, invece, il tempo non deve contare. L’essenziale è l’obiettivo. E anche se la meta da raggiungere rimane inaccessibile, poco importa: bisogna continuare ad avanzare senza preoccuparsi del tempo”.

Omraam Mikhael Aivanhov

 

 

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