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55. L’Uomo e l’Anima di Sri Aurobindo

Lunedì 01 Agosto 2011 07:00 Rosario Castello
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Dio non può tralasciare di piegarsi verso la natura né l’uomo di aspirare alla divinità. È l’eterno rapporto del finito con l’infinito. Quando sembrano sviarsi l’uno dall’altro, essi si allontanano per prepararsi a un nuovo e più intimo incontro.
Nell’uomo, la natura del mondo ridiventa cosciente di al fine di fare il più grande salto verso il suo possessore. È questo possessore che, senza saperlo, essa possiede, che la vita e la sensazione, possedendolo, rifiutano e , rifiutandolo, cercano. La natura del mondo non conosce Dio solo perché non conosce se stessa. Quando conoscerà se stessa, conoscerà una gioia di vivere perfetta.
Il segreto è il possesso nell’unità e non la perdita nell’unità. Dio e l’uomo, il mondo e l’”al di là” diventano una cosa sola quando si riconoscono tra loro. La loro separazione è la causa dell’ignoranza, nello stesso  modo che l’ignoranza è la causa della sofferenza. Sin dal primo momento l’uomo cerca senza vedere, e non sa di cercare il suo Sé divino, poiché il suo punto di partenza sta nell’oscurità della natura materiale, ed anche quando comincia a vedere, per lungo tempo rimane cieco a causa della luce che cresce dentro di lui e che l’acceca. Anche Dio non risponde che in modo oscuro al suo tentativo. Egli cerca la cecità dell’uomo e ne gode come delle mani di un bambino che cammina incerto verso sua madre. Dio e la natura sono come un ragazzo e una ragazza che giocano, innamorati l’uno dell’altra, essi si nascondono e fuggono quando si vedono, per poi cercarsi, inseguirsi, farsi prigionieri.
L’uomo è Dio che si nasconde alla natura per poterla possedere con la lotta, l’insistenza, la violenza, la sorpresa. Dio è l’uomo universale e trascendente che, nell’essere umano si nasconde alla propria individualità. L’animale è l’uomo mascherato da una pelle villosa, che cammina a quattro zampe. Il verme è l’uomo che si attorciglia e striscia verso lo sviluppo della sua umanità. Anche le forme brute della materia sono l’uomo in un corpo appena abbozzato. Tutte le cose sono l’uomo, sono la Purusa (l’Anima).
Che cosa intendiamo per UOMO? Un’anima non creata ed indistruttibile che ha preso dimora in un corpo mentale e che possiede un corpo costituito dai suoi propri elementi.
L’incontro dell’uomo con Dio deve sempre significare una penetrazione, un entrare del divino nell’uomo, ed una immersione dell’uomo nella divinità. Ma quest’immersione non ha la natura di un annientamento. L’estinzione non è il risultato di tutta questa ricerca e di questa passione, della sofferenza o dell’estasi. Il gioco non sarebbe mai cominciato se tale doveva essere la sua fine.
La gioia è il segreto. Impara a conoscere la gioia pura e tu imparerai a conoscere Dio.
Quale fu il principio di ogni cosa? L’esistenza che si moltiplicò per la sola gioia di vivere e che s’immerse in innumerevoli miliardi di forme per poter ritrovare se stessa nell’infinito.
E quale ne è il punto di mezzo? Una divisione che si sforza di raggiungere una unità multipla, una ignoranza che lotta per conquistare la conoscenza, un dolore che si tormenta per raggiungere l’estasi. Tutte queste cose sono delle forme ignote e delle vibrazioni pervertite.
E quale sarà la fine di ogni cosa? Se il miele potesse gustarsi e gustare tutte le sue gocce in una volta sola, e se tutte le sue gocce potessero gustarsi scambievolmente, e ciascuna gustare l’intero favo come essa stessa, quella sarebbe la fine per Dio, per l’anima dell’uomo, per l’Universo.
L’amore è la tonica, la gioia è la melodia, il potere è l’accordo, la conoscenza è il suonatore, il tutto infinito è insieme il compositore e l’ascoltatore.
Noi non conosciamo che le discordanze preliminari, che sono tanto terribili quanto l’armonia sarà grande. Ma tutti arriveremo al punto della quiete dell’Eternità.

Traduzione, per la rivista “L’Età Dell’Acquario” (maggio-giugno 1987), di Aminta del Boca