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128. Immaginare d’aver capito di Claudio Lanzi

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Bisognerebbe, innanzitutto, spiegare cosa significano capire o comprendere. Al primo termine è attribuibile il senso di avere, mentalmente o psichicamente. Al secondo quello di avere compiutamente, o avere insieme; mi auguro comunque che tali sottili arguzie semiologiche decantino meglio nell’Atanor dei prossimi paragrafi.

Credere d’aver capito, senza aver compreso, è comunque un capitombolo, caratteristico di chi si limita a scimmiottare un processo logico deduttivo, cercando di infilarsi le stesse pantofole mentali di colui che ha innescato, per primo, il processo deduttivo.

In genere si capisce una piccola parte di una verità; spesso quella che è più vicina alla memoria e che facilita i processi associativi o magari quella che, emotivamente, ci gratifica di più o ci spaventa di meno.

Se per caso fossimo capaci di cambiare riferimenti mentali precostituiti, ci accorgeremmo, assai spesso, di aver avuto soltanto una piccola percezione della realtà e che la stessa, sotto un altro profilo è … completamente diversa.

Ciò vale per i procedimenti di logica (alla faccia dei razionalisti e dei cartesiani) e per buona parte di quelli immaginativi.

Anche questi ultimi, infatti, sono di norma veicolati dalle necessità egoiche che fanno coincidere il giusto col comodo ed il piacevole col bello. Io immagino, quindi, ciò su cui trovo maggiori supporti onirici (reperibili tra i meandri del mio archivio inconscio) oppure ciò su cui, comunque, proietto desideri, paure, tabù.

Al filosofo amante della logica, la mente propone invece decine di sistemi più o meno Aristoltelico-Tomistico-Cartesiani. E così ognuno sposa la filosofia più consona all’esperienza, al tempo in cui vive, al riferimento sociale, all’ambiente religioso, culturale ecc.. E si assicura un magnifico sonno spirituale.

Dicono i saggi:

“Levatevi da sotto il sedere lo sgabello delle certezze (o dei dubbi, che a volte sono più solidi delle certezze) e gettatevi dalla finestra nell’indeterminato!!”.

Ogni presunzione di scienza morirà, e sarà evitato uno dei più colossali ostacoli alla crescita interiore, consistente appunto nello sdraiarsi in ciò che si presuppone di aver capito e che ci trasforma in accaniti ed imbecillissimi difensori dei nostri sistemi mentali.

Non è però così facile, soprattutto oggi, rinunciare alle certezze fornite da un sistema. Spesso, coloro che ci provano, sprofondano nell’angoscia e finiscono per supplire al “biberon” mentale degli indottrina tori di professione, con palliativi tipo droga, fumo, televisione, rumori ipnotici varii, ecc. ecc. (trasformano cioè, in modo progressivo, un semplice sonno in … coma irreversibile).

A questo disastro porta una società in cui la parola educare ha perso il suo originale significato di tirar fuori, sostituendo con una serie di metter dentro, cioè di inscatolamenti di tipologie, senza alcun riferimento tradizionale, all’interno della persona, gonfiandola di modelli da imitare. Cresciuti e irreggimentati in tal modo a base di Coca Cola, mass media e (a seconda della connotazione sociopolitica) di rock, Fidel Castro e centri sociali, oppure di malintesi inni celtici e svastiche, oppure delle melensaggini musicali del cattolicesimo associazionista, i giovani che provano un brivido di risveglio si trovano, quanto meno, confusi. Non riconoscono, infatti, tra i modelli indotti, alcuna istanza archetipica e principiale, nascosta nella loro bistrattatissima coscienza.

Ognuno di noi soggiace a dei bioritmi che lo portano ad essere più o meno sveglio, più o meno efficiente, più o meno intelligente, nel ciclo del mese, dell’anno, del giorno.

Un buon praticante d’una Via spirituale dovrebbe accorgersi di tali defaillances e compensare i cali d’efficienza con un aumento dell’attenzione.

Purtroppo ciò non accade molto spesso e così sono sufficienti una malattia, un dolore fisico, una angoscia esistenziale a distrarci e a scombinare completamente l’armonia dei nostri poveri e tanto decantati centri sottili.

Una delle cause più frequenti e devastanti di tale perdita di centralità ha origine nella sottovalutazione della disciplina e nella sopravalutazione di .

È proprio questo che porta a credere che sia sufficiente capire e che ciò equivalga a comprendere.

A volte il grande salto di qualità, quello che cerchi da tanto tempo, è proprio nella ripetizione di un gesto, nel risentire, per la centesima volta, una battuta, anche la più banale e ridanciana, nel sentire lo stesso passo filosofico, che ti sembra di aver ascoltato centinaia di volte. Ma attenzione: è questa volta, e solo questa l’occasione per trovare quel quid in più, che ti può dare la chiave della tua trasformazione.

In una disciplina autentica, la Verità si occulta dove meno te l’aspetti. Non è nella preghiera che sai dire tanto bene, nella pratica in cui ti sei specializzato. Non è nella colta risposta alla tua domanda, trovata tra le pagine di un libro o tra le parole del conferenziere o del predicatore di turno.

Se fosse così semplice basterebbe fare tante domande per diventare illuminati!

Non credere di aver già sentito tutto. Se stiamo facendo qualcosa che ha un valore e se ci riconosciamo nel valore spirituale di ciò che stiamo facendo, non dobbiamo dare nulla per scontato.

Dicono i Maestri (quelli veri) che noi non sappiamo proprio ciò che crediamo di sapere meglio. Lì impazza la nostra ignoranza.

Ne consegue che dovremmo essere spaventati a morte dall’idea di poter credere di aver imparato qualcosa.

A volte, invece, possiamo addirittura cercare di mostrare al prossimo ciò che crediamo di sapere, o meglio, ciò che la memoria ci fa credere di aver compreso. Perché abbiamo il bisogno di un testimone che ci assicuri della nostra sapienza. E lì ci gonfiamo come tacchini, mostriamo le penne, facciamo la ruota e … siamo fregati.

I monaci cistercensi, come i pitagorici, come i templari, rileggevano umilmente migliaia, milioni di volte, lo stesso salmo, lo stesso paragrafo. Perché? Per fare mantram? Per esercitare la memoria? Per placare la mente ed esercitarla su pensieri elevati? Per masochismo? Per devozione?? NO! A che serviva allora, ripetere e rileggere (o ascoltare e riascoltare)?

Serviva a cercare quella parolina risolutiva, quel senso riposto e nascosto fra le parole consuete, quel suono, quel mistero che sorregge il segreto del Graal!!!

Nessuno ti dirà mai la Verità con parole nuove, con gesti nuovi!

La Verità e la novità sono nelle parole vecchie. Nei gesti vecchi che divengono nuovi per colui che cambia modo di guardare. Nei passi che hai già fatto milioni di volte. Spesso con fervore ma assai più spesso svogliatamente, con fretta, con approssimazione, con l’idea di far meglio dopo, con l’idea di fare, poi, qualcosa di diverso per conto tuo. La chiave del … Paradiso è lì.

Presta attenzione. Presta attenzione. Presta attenzione.

E forse, prima o poi, ciò che ti sembrava di aver capito ti apparirà nuovissimo. Ciò che credevi ormai ovvio, ti apparirà sotto un nuovo aspetto.

Se ogni giorno, alla stessa ora, guardi lo stesso pezzetto di muro, davanti al tuo naso, ti accorgerai, di volta in volta, di qualche nuovo particolare. Col tempo ne scoprirai un’infinità. E quando ti sembrerà di averli visti tutti, scoprirai che cos’è la vista d’insieme. E quando avrai scoperto l’insieme cercherai di vedere dentro il muro. Poi attraverso il muro. Poi ti domanderai se si tratta veramente di un muro o no. E così via.

Approfondire non vuol dire gettarsi continuamente in acque diverse ma andare sempre più giù, nelle acque che si crede di conoscere.

Quando scopriamo che qualcosa è facile, comprensibile, piacevole, risolutivo delle nostre angosce e delle nostre ignoranze, diffidiamone. Spesso si tratta di un sonnifero di tipo diverso da quello al quale siamo abituati, ma sempre di sonnifero si tratta.

tratto da “Maleducazione Spirituale” di Claudio Lanzi – Simmetria edizioni


Testi di Claudio Lanzi Consigliati:

Edizione Simmetria – La Danza delle Hore; Sentieri Spirituali; Maleducazione spirituale; L’anima errante; Intelletto d’Amore; Misteri e Simboli della Croce; Ritmi e Riti.

Edizioni Mediterranee – La porta ermetica di Rivodutri (insieme ad A. M. Partini)

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