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450. Non c’è Morte e non c’è Fine

Martedì 28 Gennaio 2014 00:00 Rosario Castello
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“Scopo dell’uomo dovrebbe essere lo sviluppo delle sue facoltà spirituali, valendosi di un corpo e di una mente sani nonché di una stabilità sociale.
La scienza ha dato diverse interpretazioni dell’individuo: così esso è un’entità fisica e chimica che obbedisce a certe leggi di natura; la combinazione di determinati elementi ha generato la vita. secondo i biologi, l’uomo, al pari degli animali, mangia, cresce, si riproduce e dimora sulla terra. I sociologi si occupano di lui come di un individuo in rapporto con altri individui, dotato di certe caratteristiche sociali e culturali. Freud parla dell’uomo in termini di libido o di impulso sessuale. Nessuna di queste spiegazioni è completamente errata, ma sono tutte riduttive; esse trascurano un elemento importante dell’uomo: la sua Anima. In breve, le persone influenzate dalle scienze naturali pensano che egli sia un complesso psico-fisico che potrebbe anche avere un’Anima.
Le interpretazioni materialistiche e meccanicistiche lo hanno frammentato e hanno reso vuota la vita …”.

Svami Nikhilananda
tratto da “L’Uomo alla ricerca dell’Immortalità”, Asram Vidya

 

Per conoscere la Vita bisogna conoscere quello che viene chiamato il fenomeno della Morte. Molti enti planetari, del pianeta Terra, vivono esprimendo una evidente “paura” sia della “Vita” (“Ayur”) sia della “Morte” (“Mara”).
Quello in cui vivono gli enti planetari del pianeta Terra è Martyaloka, un “mondo mortale”, il mondo di cose periture, una sfera di esistenza relativa.

“Se conosci la nascita conosci la morte”, (e viceversa) dicono molti saggi indù. Nella saggezza popolare indù si aggiunge anche la considerazione che il luogo migliore dove conoscere in vita la morte è il cimitero (lo smashan). Il cimitero viene considerato il vero tempio quale luogo della Realtà Eterna.

Ci apprestiamo, con umiltà, a dissertare sulla Vita e sulla Morte: il Rebis.

“Qui viene al mondo la nobile e ricca imperatrice
I maestri la battezzan loro figlia. La quale poi prolifera
dà figli innumerevoli
immortali puri
e senza macchia. […]
Io ero madre
eppure resto serva
Ed ero fissa nella mia essenza. Mio figlio era mio padre
Come Dio Ha nel modo più essenziale stabilito.
La madre che mi ha partorito
da me è stata generata sulla Terra”.
Rosarium philosophorum, 1550

 

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Ma prima di proseguire è bene ricordare a tutti i sinceri Sadhaka che ogni verità va cercata nel cuore: il cuore annulla ogni barriera, ogni ostacolo, ogni classe perché fa restare solo quella Spontaneità, quella Bellezza, quell’Autenticità che è “Grandezza” e “Potenza” insieme …

Il Rebis esotericamente indica la necessità di guardare, attraverso una visione unificata, quanto sembra separato riguardo all’Immanenza e alla Trascendenza. La figura del Rebis rappresenta l’Essere Spirituale che ha raggiunto il sommo risveglio-perfezione (“l’Uno-senza-secondo”; “… quando il duo si è fatto uno”). È il ritorno all’Unità Originaria.

Ma cos’è la “Vita”?
Qual è il suo valore?
In qual modo può spiegarci il significato della Morte?

La Verità Eterna non ha contenitore (religioni che la caratterizzano), non ha forma e nome umani, si rivela solo al sommo risvegliato, l’unico in grado di tradurre in livelli e gradi di comprensione per le diverse percezioni dei sinceri Sadhaka. Molti sono i Sadhaka in grado soltanto ancora di comprendere mentalmente ma non di realizzare la Visione Unica della Verità Eterna.

La morte è al centro della vita e siccome, nell’esperienza del quotidiano, è una certezza, tutte le grandi civiltà del passato non l’hanno ignorata e se ne sono interessate anche le religioni, la scienza, l’arte e la cultura: hanno focalizzato l’importanza sullo sviluppo della consapevolezza che l’esistenza individuale ha, per forza, una “fine”. Eppure la maggior parte degli enti planetari ha paura della morte. L’incontro, nella vita di tutti i giorni, con la morte, specie quando sottrae una persona cara, non aiuta ad esorcizzarne il timore: l’individuo non riesce ad integrarla quale normalità, parte o momento di una ovvietà. Neanche i credenti in un aldilà, sono esenti dalla paura della morte. Abbiamo conosciuto alti prelati che si sono confessati in preda ad una inspiegabile (per loro), improvvisa paura della morte.
Gli enti planetari si suddividono tra gli irriducibili spaventati, i “consolati” che però non han certezza di un ipotetico aldilà e i pochissimi che non hanno paura perché sanno, hanno esperienza del loro sapere, hanno una percezione di una vasta realtà che manca in colui che ne è spaventato. Però nessuno può dimostrare niente ad alcuno: l’esistenza o meno di un’altra vita dopo la morte nessuno la può dimostrare ad altri. Solo il risveglio di una sensibilità sottile può far conoscere quanto le teorie non possono fare.
C’è un bisogno di speranza, molto utile quale supporto psicologico, ma anche come possibilità di un salto conoscitivo-percettivo: il flusso di pensieri riguardo la “continuazione” della vita oltre quel velo invisibile, può aprire corridoi esperienziali.
I molti vivono l’angoscia della morte in modo palese o nascosta.

Ma la Materia ha vita? Ha mai avuto vita? La sua realtà fenomenica si può chiamare Vita? Deve distinguersi la Materia vivente (organica) dalla Materia inanimata (inorganica)? Ad un qualche altro livello può non esserci distinzione in essa? La morte riguarda la Materia? La Materia è la tomba della Vita?

La morte suscita paura perché, per mancanza di conoscenza-consapevolezza, evoca la fine dell’esistenza di un individuo. Ma la Vita di un ego-corpo-personaggio karmico è solo l’increspatura di un onda dell’oceano.
La cultura dominante non aiuta chi ha paura perché è alimentata e sostenuta da ignoranza metafisica. La stessa definizione di morte cambia nel tempo insieme ai cambiamenti culturali, religiosi e scientifici.
Per un essere spirituale incarnato nella materia la morte (Mara o anche Mrtyu) è solo un evento che riguarda il corpo fisico grossolano, lo Sthulasarira: la morte è quel fenomeno chiamato Marana; il morire, l’atto o il momento della morte la cui conseguenza porta Mardana, cioè il disgregamento, la distruzione dello Sthulasarira. La morte e la dissoluzione di un organismo (di sangue e carne) subentrano nel momento in cui dal corpo fisico grossolano si è ritirato il prana. Significa che Pranamayakosa (il penultimo involucro che riveste l’Atman prima del corpo fisico-grossolano) non alimenta più Sthulasarira e che Annamayakosa (anna=cibo; kosa=veicolo), la guaina più esterna che cela l’Atman, non è più in grado di trasformare, elaborare, assimilare e sostenere quanto può diventare corpo fisico denso.

Ma perché si muore dal momento che si nasce nel mondo?
E allora qual è lo scopo della nascita?
Cos’è che fa in modo che un ente nasca?
Cos’è che fa in modo che un ente muoia?

Le domande di questa natura riportano tutte alla primordiale “caduta” spirituale. Ricordiamo che il mondo materiale è un mondo che non avrebbe dovuto esistere. L’originaria “caduta” spirituale non giustifica le successive “cadute”, nel mondo materiale del divenire, degli enti chiamati “esseri umani”. Sia nella “Sfera dell’Alto” sia nella “Sfera del Basso” c’è sempre stata la possibilità di scegliere diversamente.
Riconoscersi Essere Spirituale, Anima immortale, in questo mondo relativo, limitato, dell’Errore, è lo scopo della nascita: risvegliarsi completamente a ciò che si è realmente, cioè non il corpo né la mente, ma piuttosto l’Anima Eterna (Unità Suprema, Atman, Parampurusa, Brahman, ecc.).
L’ente planetario che nasce oltre che riconoscersi Anima Eterna deve trovare il modo di creare la condizione di ritorno alla “Sfera dell’Alto”: ciò può richiedere molte nascite e molte morti, esperienze necessarie per accelerare il processo risolutivo. L’ente planetario, nell’esperienza della nascita deve morire e ciò può accadere a qualsiasi età: quando accade significa che non ha altre esperienze da compiere al momento sulla Terra. Tutto questo processo è regolato dal Karma, la legge per cui ogni azione causa una reazione uguale e contraria: legge di causa ed effetto. Questa lunga catena di azione e reazione, legata alle innumerevoli reincarnazioni, è chiamata samsara la quale effettivamente sembra infinita ed eterna; è con il risveglio della consapevolezza che questa si comprende e si cerca di porvi fine. Dio non è mai stato crudele: solo l’ente planetario lo ha pensato, senza riconoscere il proprio Errore.
Liberarsi dal Karma significa liberarsi dal rna (debito karmico). La strada per questo conseguimento è lunga e dura, richiede molti sforzi, molti sacrifici per arrivare a comprendere il segreto della liberazione che sta nell’imparare a non identificarsi, non solo con il corpo ma con tutte le azioni compiute dal corpo. Con la continua identificazione dell’ego, che ripete i propri errori sotto forme diverse, vengono creati sempre più intrigati nuovi karma. Le Forze Involutive tendono ad oscurare gli ego: l’ego che risponde ai richiami dell’oscurità spinge l’ente planetario a far sì che le risposte comportamentali e comunicazionali siano quelle che impediscono il risarcimento dei debiti karmici maturati, cosicché si perpetui la creazione di nuovi karma, e la prigionia nel samsara è assicurata.
Una buona Sadhana infatti prevede Samprajanya, cioè la vigilanza sulla condizione del corpo (gli sarira, sia grossolani sia sottili) e della mente (Antahkarana). Una Sadhana corretta e stabile si trasforma in Marga, la “Via”, il sentiero realizzativo, il percorso iniziatico.
Il Sadhaka-Yogi-praticante realizza che deve usare al meglio il proprio corpo, per tutto il tempo che gli sarà possibile, perché è Martya, cioè “mortale”, destinato a morire.

Per tutti, ricercatori spirituali o meno, sarebbe fondamentale capire che i sistemi della coscienza, neurologici e fisiologici, esistono in relazione ad organismi sempre più sottili e superiori rispetto a quello che sembra evidente e finito nel corpo fisico grossolano, fatto di carne e sangue.

In presenza della morte l’Essere Spirituale continua ad esserci anche se le persone care vedono un corpo inanimato, cioè un corpo morto. È venuto meno il veicolo (il bio-computer) che lo faceva relazionare con gli altri enti: una relazione basata solo sui limiti dei cinque sensi fisici.

L’essere spirituale morto alla fisicità continua ad esistere, a vivere nel suo Corpo Sottile (Suksmasarira) e nel Corpo Causale (Karanasarira).
Il Corpo Sottile accompagna l’Essere Spirituale (l’Anima) nel processo di trasmigrazione (nel processo del divenire del samsara). Il Corpo Sottile non viene distrutto con la morte ma perdura fino alla soluzione dell’individualità dell’intero ciclo delle reincarnazioni necessarie. Ad ogni nuova reincarnazione l’Essere Spirituale prenderà un nuovo ego-corpo-personaggio karmico. Ogni reincarnazione, una nuova discesa nella materia grossolana, è un’ulteriore possibilità di avanzamento spirituale sulla via del ritorno, verso lo Stato Originario nella “Sfera dell’Alto”.

I profani non comprenderanno mai queste “questioni” sulla vita, sulla morte, sulla Sadhana, sulla necessità della liberazione spirituale (moksa).
Solo i ricercatori spirituali intuiscono, se non comprendono, l’importanza di percorrere un sentiero realizzativo ed ottenerne il successo mediante il corretto uso della Sakti e con essa realizzare l’Anima Universale, cioè Siva.
La morte è l’eterna realtà e Siva è il Distruttore, una reincarnazione della Morte. Siva può manifestarsi al Sadhaka come Mahakala (il “Grande Tempo”), nella sua funzione di “Distruttore” del mondo dei nomi e delle forme.
Il Sadhaka-Yogi-praticante è colui che acquisisce la consapevolezza serena di essere pronto a morire, alla vita fisica, in qualsiasi momento.
Siva e Mahakala sono due aspetti dello stesso Essere (chiamato in tanti modi: Atman, Purusa, Anima Universale, Realtà Ultima, Dio Padre).
Siva è l’Uno, l’Assoluto, l’Uno-senza-secondo, l’Incarnazione della Pura Coscienza.
La dualità esiste nel mondo del divenire, nell’universo manifestato e Siva è al di là di tutto questo. Siva nella forma di Mahakala non ha limitazioni di alcun tipo: non ha forma alcuna e per questo può assumere tutte le forme che vuole.
Al processo della Morte è legato Mahakala, il Dio del Tempo. È infatti “Satya Sri Akala”. Neanche gli Avatara possono far aspettare per qualche momento Mahakala. Mahakala sta tra il Saguna Brahman, il samsara, l’infinità delle forme e il Nirguna Brahman, l’infinità senza forma.
Mahakala è l’Asse sul quale ruota la Realtà.

Quando un ente planetario (non eccezionalmente risvegliato spiritualmente) muore rimane molto confuso perché la sua mente è identificata agli attaccamenti terreni (affetti, possedimenti, attività), cioè proiettata esternamente. Subito dopo la morte, in preda alla confusione, vaga come Spirito, nel suo Corpo Sottile (Suksmasarira), nei pressi del suo corpo fisico morto chiedendosi cosa fare finché non riesce a capire dove andare.
Un ente evoluto si rende conto velocemente dell’accaduto e si proietta al suo interno sapendo di trovare lì la direzione da seguire.
In un caso di lunga grande agonia fisica è meglio che l’ente cerchi di essere consapevole al momento della morte (sia che avvenga in jagrat, in svapna o in susupti) per proiettarsi all’interno e trovare la giusta direzione.

Il Sadhaka-Yogi-praticante, che con grande solerzia si appresta ad essere iniziato, investigando-sperimentando i Misteri comincia a conoscere in vita ciò che può attenderlo nel momento del trapasso. La via dell’iniziato è una preparazione a morire in vita perché morendo possa risvegliarsi alla vera vita. L’esperienza della morte vissuta consapevolmente fa vedere il morire, nel mondo relativo, come parte integrante della Vita vera.

La Saggezza esoterica oltre che possedere una conoscenza esatta esprime il distacco di una vera ed alta Scienza, una saggezza in grado di bandire le paure, di illuminare le aule dell’ignoranza, di elevare le ispirazioni e le aspirazioni di una Vera Arte. Sulla morte e sulla vita essa ha tutte le risposte secondo il livello e il grado di comprensione di chi pone la domanda.
L’ente planetario profano ha bisogno di miti, leggende, saghe, parabole mentre chi si è avviato sul Sentiero ha bisogno di risposte per alimentare la Visione che lo guida lungo gli sforzi per la conquista dei vari pendii fino alla vetta della verità che squarcia i veli che celano la Realtà.

L’essere incarnato muore, in una specifica esistenza, quando le leggi al di sopra della vita e della morte fanno tornare i conti: significa che si muore esattamente l’attimo che è necessario alla chiusura dei conti per l’ente in questione. L’ente planetario passa in un attimo dal visibile all’invisibile: subentra, con il morire, la perdita istantanea dei cinque sensi fisici, le cinque facoltà di percezione (Jnanendriya) che vengono sostituiti dai sensi del Corpo Sottile (Suksmasarira) perché l’Essere Spirituale continua a vivere.
Un istante dopo la morte l’ente, anche se confuso, scopre di continuare a sentire di esistere, cioè di vivere ancora. Il disincarnato si appresta a fare l’esperienza del Chitragupta (chitra=immagine e gupta=segreto), l’esperienza di rivivere nei minimi particolari (sensazioni, emozioni, sentimenti, pensieri, ecc.) i rapporti con cose, luoghi, persone ed eventi di tutta la vita appena trascorsa. Si tratta di un’esperienza intensa, completa e velocissima. E con una variante di tempo-non-umano, per ciascun caso, il disincarnato si avvia verso il grande utero cosmico (il tunnel interdimensionale) attraverso il quale è passato per nascere.
Qualcuno rimane intrappolato nell’illusione di stare continuando a vivere, seguendo desideri, passioni, egoismi, paure, praticamente tutti i suoi modi di vivere terrestri, nell’ordine o nel disordine abituale ma si tratta solamente di un film mentale personale, fuori da ogni realtà universale.
L’esperienza di ogni ente è sempre diversa da quella di tutti gli altri.
La maggior parte non illuminata degli enti planetari che muoiono raggiungono i cieli che corrispondono alle forme delle aspettative illusorie del credo di riferimento: il Cristiano la sede del Padre Celeste, il Musulmano quella di Allah, l’Ebreo quella di Jehovah, il Visnuita quella di Visnu, e così via. Solo i mondati dalle illusioni superano le dimore costituite ancora di illusioni, dai veli di maya, anche se di natura più sottile. Ma tutti, alla fine di maya, dovranno sapere, diventare consapevoli, che la destinazione oltre i veli è uguale per tutti.
Nella Manifestazione, nei mondi delle infinite forme, grossolane e sottili, tutti gli esseri lì manifesti, sono soggetti alla maya, anche con una maya estremamente sottile ma pur sempre maya. La differenza sta nel fatto che gli esseri Illuminati la sanno tenere sotto controllo come fa Brahma. Il Sadhaka lungo la sua Sadhana, nei graduali stati di risveglio che sperimenta deve cominciare ad imparare a tenere sotto controllo maya, riconoscendone la funzione. Ogni ente planetario è rivestito del velo di maya il cui spessore corrisponde al livello e grado da risvegliare ancora dalle illusioni del sonno della coscienza che rivela una precisa posizione coscienziale.
Con il linguaggio semplice delle dimore possiamo aggiungere che esistono tante dimore in risposta all’ente che, nel corso delle tante vite, con cadute e riprese, cerca di ascendere ad un cielo superiore, di volta in volta, seconda la graduale eliminazione dell’egotismo: inconsciamente l’aspirazione è il cielo superiore.

L’iniziato non muore ma si ritira dal mondo delle apparenze di maya: egli sa, sente, almeno sei mesi prima, il prana ritirarsi che lo porta lentamente all’evento del passaggio, al momento del morire (Marana). L’iniziato che è marici, un raggio di luce incarnato, ritira la propria luminosità dall’illusione di maya per assolvere la partitura del Gioco Cosmico.

L’immortalità dell’Anima è una realtà che non può essere dimostrata per mezzo di un metodo scientifico ma con le testimonianze delle scritture sacre o per diretta esperienza, non comunicabile, delle Anime illuminate.
La mente (l’Antahkarana, detto l’Organo interno) può essere purificata, risvegliata, forgiata con la disciplina spirituale ed essere portata a diventare un vero e proprio specchio dove riflettere l’Anima reale.
In un avviato processo di risveglio della coscienza il Sadhaka potrebbe incontrarsi con un’esperienza ad alto contenuto emotivo: l’affiorare di immagini di una inequivocabile incarnazione precedente, esplicite reminescenze di una precisa vita lontana. Quando ciò accade il ricordo, che affiora prepotente, rivela la trama di una incredibile e insospettata realtà, immersa in un Continuo-Infinito-Presente, dove dei “fili”, apparentemente inafferrabili, imbastiscono legami con cose, persone, luoghi ed eventi, difficili da dimostrare e far comprendere a chi ancora versa i propri giorni in una coscienza obliata.L’esperienza-ricordo disorienta per spingere ad un equilibrio superiore lungo il sentiero realizzativo intrapreso, consciamente o incosciamente. Questo tipo di esperienza permette al Sadhaka, se riesce a viverla nel modo giusto, di scorgere il futuro, agendo correttamente nel presente, grazie al passato: un grande salto qualitativo nella lunga spirale delle esperienze spirituali possibili.La capacità-possibilità del ricordare le esperienze precedenti (le molte reincarnazioni) è tuttavia la normale base naturale di chi ha conseguito il risveglio completo della coscienza: non potrebbe essere altrimenti.
La forzata esperienza di ricordare le vite precedenti, tanto in voga oggi, è un’idea diffusa dalla contro-iniziazione, per fini oscuri che non vogliamo menzionare in tale sede.
Il risvegliato completo (naturale) è normale che abbia i ricordi di lontanissime esistenze poiché il suo Antahkarana è risvegliato, le funzioni del suo Corpo Sottile (Suksmasarira) e del suo Corpo Causale (Karanasarira) funzionano in perfetta connessione alla consapevolezza risvegliata.
I Maestri che si incarnano volontariamente nel processo del divenire, per aiutare gli enti planetari ordinari a risvegliarsi, mantengono ininterrotta la coscienza di nonostante i molti passaggi dalla “vita” alla “morte” e viceversa.I Maestri, oltre che aiutare gli obliati a risvegliarsi, offrono la testimonianza di sé per far riflettere sull’affermazione sostenuta che l’essere umano non è soltanto una forma fisica e che la perdita del corpo non mette fine alla sua identità (ciò che egli è veramente): l’essere umano è essenzialmente l’Anima incorporea immortale e onnipresente.

Simbolo del divenire senza inizio e senza fine è l’Albero universale (Asvattha): ha le radici in alto e i rami verso il basso a indicare l’origine metafisica della Realtà, le cui radici risiedono nell’Assoluto. È simbolo che la vita promana dall’Alto.

“Dalle radici in alto e dai rami in basso:
questo è l’asvattha perenne …”.
Katha Upanisad 2.3.1

La vera Conoscenza non può essere svelata senza aver realizzato il distacco da tutti gli oggetti grossolani e sottili, cioè in vita morire al mondo del divenire, il mondo caratterizzato dalla morte.
È l’Atman a costituire il fondamento dell’essere: l’Atman è risplendente e auto esistente e si realizza nel mondo della Manifestazione ma poi bisogna separarlo dal corpo, dagli organi sensoriali e dalla mente.

 

“Il Sé conoscente non nasce né muore. Non ha origine né dà origine ad alcuna cosa. Senza nascita, eterno, permanente, antico, non è ucciso quando il corpo viene ucciso”.
“Immerga il Saggio la parola nella mente (manas), la mente nell’intelletto (buddhi), l’intelletto nella Mente universale (Mahat), e questa nel ”.

Katha Upanisad
(stralci in cui Yama, il dio della Morte, spiega a Naciketas l’Atman e lo Yoga)

 

“Tutti voi siete nati per un fine: morire, vale a dire uccidere l’”io”. Se muore l’illusione, voi diventate Brahman, o meglio diventate consapevoli d’essere il Brahman. Tutta la letteratura sacra, l’impegno, i riti e gli insegnamenti servono solo a mettervi davanti uno specchio in modo che possiate vedervi. Ora, questo processo può essere effettuato con l’azione (Karma), con il culto (Upasana) o con la conoscenza spirituale (Jnana). I Veda contengono gli insegnamenti basilari inerenti a queste tre vie, validi per tutta l’umanità”.

Sri Sathya Sai Baba


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Alchimia: appunti per una semiologia del sacro, S. Andreani, ERI 1976
La Nuova Terra, Omraam Michael Aivanhov, Prosveta
Il Karma e il significato della rinascita, Sri Aurobindo, Ubaldini
Le dimore filosofali, Fulcanelli, Mediterranee 1973
Tradizione e Massoneria, Patrick Geay, Atanor 1997
L’Apprendista Libero Muratore, Luigi Troisi, Bastogi 1998
Storia delle credenze e delle idee religiose, Mircea Eliade, Sansoni 1990
Dante e la tradizione ermetica, Antonino Trusso, Mimesis
I Tarocchi, Oswal Wirth, Mediterranee 1997
Il simbolismo ermetico, Oswal Wirth, Mediterranee 1969
Il libro tibetano dei morti, Giuseppe Tucci, Editore SE
Bardo Todol. Libro tibetano dei morti, Mario Mircherle, Editore Anima
Il libro tibetano dei morti, Padmasambhava, Editore Mondadori
Il libro dei morti degli antichi egizi, De Rachewiltz Boris, Edizione Mediterranee
Il libro dei morti degli antichi egiziani, Kolpaktchy e Piantanida, Editore Atanòr
Cosmogonia Vedico Puranica, Marco Ferrini (centrostudibhaktivedanta)
Il viaggio dell’anima. La vita dopo la morte
La Morte e il Processo del Morire
Il viaggio dell’anima dopo la morte
Marco Ferrini, (www.csbstore.com/it/)