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454. Spigolando sui vari significati del simbolo

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Simbolo
s. m. 1. Segno corrispondente a contenuti o valori particolari o universali: la bandiera, s. della patria; il focolare, s. della famiglia; personaggio che assurge a s.; idea elevata a s. 2. Nel linguaggio scientifico, ogni segno grafico assunto convenzionalmente a indicare determinati enti, grandezze o strumenti: s. matematici, chimici, ecc. 3. Nel Cristianesimo, il compendio delle fondamentali verità di fede che il battezzando (o chi per lui) deve recitare come professione della sua fede (detto più com. credo); part.: s. apostolico, la formula di fede attribuita erroneamente ai dodici apostoli; s. niceno-costantinopolitano, quello elaborato dal precedente nel Concilio ecumenico di Nicea (325) con le aggiunte del Concilio di Costantinopoli (381), che si recita nella Messa.
Simbologia s. f. 1. Disciplina che studia la natura e il valore dei simboli. 2. L’uso di un complesso di forme o figure simboliche in quando individua o caratterizza una determinata esigenza espressiva: la s. cristiana, la s. dantesca.

Vocabolario della Lingua Italiana
Devoto-Oli

Simbolo [sìm-bo-lo] s.m.
1 Elemento concreto, oggetto, animale o persona, a cui si attribuisce la possibilità di evocare o significare un valore ulteriore, più ampio e astratto rispetto a quello che normalmente rappresenta SIN emblema: la colomba è il s. della pace
2 Nel l. scient., segno grafico convenzionale cui corrispondono valori, qualità, concetti, relazioni, elementi ecc.: H è il s. dell’idrogeno
3 Nella logica filosofica, segno convenzionale atto a esprimere elementi di un linguaggio simbolicamente formalizzato
• sec. XIV

Dizionario della Lingua Italiana
il Sabatini Coletti

 

Significato del Simbolo: Termini …
Il simbolo è il cuore della vita immaginativa; rivelando i segreti dell'inconscio, ci porta alle motivazioni più nascoste delle nostre azioni.
Esso traduce lo sforzo dell'uomo per decifrare il proprio destino.
La percezione del simbolo è personale nel senso che procede dalla persona nella sua interezza.
Il simbolo sintetizza in un’espressione sensibile tutte le influenze dell’inconscio e della coscienza e le forze istintuali e spirituali sia in conflitto che armonizzanti.
Partendo da questi primi concetti, prima di affrontare lo sterminato territorio dei simboli, cerchiamo di individuare alcuni parametri che ci possono aiutare a comprendere il significato del simbolo.

Termini

Per capire il significato del simbolo è necessario in primo luogo distinguerlo dalle altre immagini con cui viene correntemente confuso.

Emblema: È una figura visibile convenzionalmente usata per rappresentare un’idea.
Attributo: È l’immagine di un accessorio caratteristico indicante un oggetto, una persona, una collettività, un essere morale, nella loro totalità.
Allegoria: È una raffigurazione umana, animale o vegetale di una situazione, di una virtù, di un’astrazione.
Metafora: È una comparazione fra due esseri e due situazioni.
Analogia:È un rapporto fra esseri e nozioni diversi in modo essenziale ma simili sotto un certo particolare aspetto.
Parabola:È un racconto avente senso in se stesso ma tuttavia volto a suggerire una lezione morale.
Apologo:È il racconto di una situazione immaginaria comunicante un insegnamento.
Segno:È una convenzione arbitraria in cui significante e significato, oggetto e soggetto, rimangono estranei l’uno all'altro.
Simbolo: È il solo mezzo per dire ciò che non può esser detto altrimenti, enuncia un piano di conoscenza non razionale, deve essere ogni volta decifrato.
Il simbolo presuppone omogeneità tra significante e significato, oggetto e soggetto.

Esso mobilità la psiche nella sua totalità: l’immagine simbolica è il centro intorno a cui gravita lo psichismo che essa stessa mette in movimento.

Il simbolo presuppone una discontinuità per il passaggio ad un altro ordine, ad altre dimensioni.

Antonietta Zanatta
tratto dal testo Significato del Simbolo: Termini, Natura, Funzioni
www.storia-dell-arte.com/significato-del-simbolo-termini-natura-funzione.html

 

Oggi tutte le organizzazioni, tutti gli enti, le società e tutto ciò che ha una sua particolare identità, possiedono un logo, un simbolo grafico che è venuto a sostituire gli stemmi araldici. La società umana di oggi è più ricca, più sofisticata dell’umanità dei secoli passati, e la semantica, la scienza dei significati, si è imposta alla cultura umana.
Nel 1971 è stato pubblicato il libro di Walter Shepherd intitolato Shepher’s Glossary of Grafic Signs and Symbols (ed. J.M.Dent, Londra) che classifica tutti i marchi, i logo e tutto ciò che ricorda idee e cose ad un livello simbolico e grafico. Le 592 pagine di questo libro sono un documento della complessità attuale della cultura umana ed una illustrazione di come la mente umana si è sempre più portata verso l’astrattismo dimenticando ciò che è più utile all’individuo per evolvere: quell’intuizione che nasce dal cuore e dal calore umano, che semplifica la vita.
Il filologo Paul Diel, autore del celebre libro Le Symbolisme dans la mythologie grecque (Parigi 1952), asserisce che il simbolo è un veicolo universale e particolare. È universale perché trascende la storia, e particolare perché si riferisce ad un periodo definito della storia. Il simbolismo viene fatto risalire al Paleolitico, quando l’uomo primitivo disegnava simboli nelle grotte per afferrare quelle intuizioni che gli derivavano dalla sua anima. I simboli pittografici e ideografici sono la testimonianza del bisogno umano di conquistare una conoscenza superiore, di arrivare al piano divino, a quel piano da cui tutto deriva ed ha origine.
Gli antichi popoli dell’India, che osservarono il movimento del Sole, gettarono le basi del sistema zodiacale. Il loro Zodiaco aveva solo otto costellazioni ed ogni costellazione era creduta “una forma di Dio”. Tutte queste “forme di Dio” divennero poi delle divinità, ognuna delle quali viene fatta presiedere ad una particolare costellazione. Per esempio, nell’antica Roma gli otto simboli dello Zodiaco sono diventati: Edu (ariete), Yal (arpa), Nand (granchio), Amma (madre), Tuk (bilancia), Kani (freccia), Kuda (brocca), Min (pesce). Il sistema dello zodiaco in dodici parti appare nel 6° secolo avanti Cristo i Egitto, Caldea e Grecia.
Furono anche i segni a creare simboli che trascendono la realtà materiale. L’evoluzione umana è avvenuta mediante gli individui che, in armonia con la vita e con il loto tempo, hanno inconsciamente preso contatto con il “mondo parallelo” in quella invisibile realtà energetica che segue l’evoluzione umana.
Il celebre gesuita tedesco Athanasius Kircher (1601-1680) riusciva a dominare i suoi sogni e ad ottenere, mediante essi, quella conoscenza simbolica della vita e della magia con cui scriveva ed illustrava le sue opere. Per questo gesuita il simbolismo dell’Alchimia era magico e, basandosi su questa intuizione, il benedettino don Antonio Giuseppe Pernety (1716-1801) compilò i due volumi del suo celebre Dizionario Mito-ermetico.
(…)
Con la linguistica, altra scienza moderna che si basa sulla simbologia delle parole, si sono raggiunte esasperazioni culturali che stupiscono. Gli ebrei Ashkenazim, che si stanziarono nell’Europa del nord dopo la Diaspora, hanno recentemente compilato uno studio linguistico di centinaia di dialetti Yiddish, parlati dalla Polonia all’Italia ed esaminati nelle differenze fonetiche, non soltanto per il valore linguistico ma anche per l’apporto culturale ed ambientale del particolare luogo.
Con la caduta degli inflazionati valori del passato, stanno sorgendo i nuovi valori che si formano a livello individuale: sono cioè individui isolati che trovano nuove maniere di esprimersi e di essere.
(…)
Cadranno i logo e tutti i simboli per lasciar spazio alla semplicità ed a quel bene che, nascendo dal cuore, porta il messaggio divino dell’Anima.

Bernardino del Boca
Logo, Simbolo e Individualismo
tratto dalla rivista l’Età dell’Acquario n.80 del luglio-agosto 1993

 

“I simboli possono rivelare una modalità del reale o una struttura del mondo che non sono evidenti sul piano dell’esperienza immediata. [...] I simboli religiosi [...] svelano il lato miracoloso, inesplicabile della Vita e ad un tempo la dimensione sacramentale dell’esistenza umana”.

(Mefistofele e l’androgine, Mediterranee, 1971, pp. 189-90.)

“Non esiste simbolo, emblema o efficienza che sia monovalente o singolarizzato. Tutto è collegato, ogni cosa è legata alle altre, formando un insieme di struttura cosmica”.

(Trattato di storia delle religioni)
Mircea Eliade

 

Simbolo-i – Il termine, nella sua accezione più generale, può essere applicato a qualsiasi espressione formale di una dottrina sia essa verbale o figurata (Int. 1921, 109). Ogni s., dovendo servire come supporto di una concezione intellettuale, ha pure un’efficacia propria realissima (id. 110). Prendere il s. in se stesso per ciò che rappresenta, per incapacità di sollevarsi al suo significato intellettuale, è la confusione nella quale risiede la causa di ogni “idolatria” nel senso proprio del termine. Quando del s. non si vede più che la sua forma esteriore, la sua ragion d’essere e la sua efficacia attuali sono entrambe scomparse; il s. non è più che un idolo e la sua conservazione non è più che pura superstizione (id., 111). Il s. non ha senso o ragione d’essere che in quanto è d’ordine inferiore a ciò che viene simboleggiato (id., 113). Ogni simbolo può presentare una molteplicità di significati a seconda del lato o del livello al quale viene considerato (Regno, 1945, 245). Il considerare un s. con due aspetti contrari è del tutto legittimo e la considerazione di uno di questi aspetti non esclude affatto quella dell’altro (id., 246). Ogni s. produce, in colui che lo medita con le attitudini e le disposizioni richieste, effetti rigorosamente paragonabili a quelli dei riti. Quando si tratta di s. veramente tradizionali, la loro origine è “non-umana” (Cons., 1946, 157). Il s. inteso quale figurazione “grafica”, è la fissazione di un gesto rituale (id., 158). Il S. può essere considerato da un punto di vista “in temporale” (id., 162). I s. sono il solo linguaggio realmente conveniente all’espressione delle verità di ordine iniziatico. I s. sono essenzialmente un mezzo di insegnamento, dovendo soprattutto servire da “appoggio” alla meditazione, che è almeno il principio di un lavoro interiore; ma questi s. , in quanto elementi dei riti ed in ragione del loro carattere “non-umano”, sono pure “appoggi” della stessa influenza spirituale (id., 263). Il s. è suscettibile di molteplici interpretazioni, in nessun modo contraddittorie, ma invece complementari le une con le altre e tutte parimenti vere, pur procedendo da differenti punti di vista. È sufficiente che i s. siano mantenuti intatti perché siano sempre suscettibili di svegliare, in colui che ne è capace, tutte le concezioni di cui figurano la sintesi (id., 270). I s., in virtù del loro lato “non-umano”, portano in se stessi un’influenza la cui azione è suscettibile di risvegliare direttamente la facoltà intuitiva in coloro che li meditano nel modo voluto (id., 278). La Rivelazione Primordiale, opera del verbo come la Creazione, si incorpora, per così dire, anche’essa nei s. che si sono trasmessi di epoca in epoca a partire dalle origini dell’umanità; tale processo è ancora una volta analogo, nel suo ordine, a quello della creazione stessa (Simb., 1962, 23). Vi sono s., comuni alle forme tradizionali più diverse e più remote le une dalle altre, non in seguito a “prestiti”, in molti casi impossibili, ma perché appartengono, in realtà alla Tradizione Primordiale, da cui queste forme sono tutte derivate in modo diretto o indiretto (id., 36). Ogni s. porta in i suoi molteplici significati e questo fin dall’origine, poiché esso è costituito come tale non in virtù di una convenzione umana ma in virtù della “legge di corrispondenza” che lega tutti i mondi tra di loro (id., 38).

René Guénon
da Pensieri sull’Esoterismo
KeyBook 2011

 

Il simbolo è l’immagine di un contenuto interiore che trascende la coscienza. L’etimologia greca symbolom deriva a sua volta da symballo che significa “associare, unire, mettere insieme”. Il Vocabolario della Filosofia di A. Lalande ne spiega l’origine: “Simbolo, segno di riconoscimento formato dalle due metà di un oggetto spezzato che vengono riavvicinate: in seguito, segno qualsiasi, gettone, sigillo, insegna, parola d’ordine, ecc. …).
Il simbolo era infatti un oggetto diviso in due, del quale due persone conservavano una parte. Ricongiungendo il segno spezzato ciò che era stato separato poteva unirsi di nuovo. Quindi il simbolo è dotato della facoltà di separare e riconciliare, è una sorta di solve et coagula alchemico collegato alla dimensione verticale, ai luoghi impalpabili dell’invisibile. Il suo rapporto con la parte mancante, complementare, evocata oggi dal ciondolo diviso a metà indossato dagli amanti, inconsapevole imitazione della sua funzione arcaica, ne fa lo strumento capace di risvegliare la ricerca della completezza attraverso la tensione verso l’altra metà, che in questo caso è la nostra parte divina.
Permettendo l’accesso a quello stato superiore di coscienza in cui brillano le luci della reintegrazione, la decifrazione dei simboli vara la nostra navigazione “verso le insondabili profondità del respiro primordiale” (Paul Klee). Ma penetrarli significa esperirli, offrirsi a una partecipazione attiva che comporta la percezione diretta della coscienza. Nel luogo privilegiato suggerito dal simbolo l’osservatore e l’osservato finalmente convergono. Questa unione non passa attraverso le categorie razionali, che per loro natura esaltano ogni forma di separazione: l’investigazione analitica condanna il simbolo a morte, lo fa precipitare sotto la gravità dell’analisi intellettuale privandolo della leggerezza su cui vola invece la sintesi dei contrari. Il collegamento tra l’immanenza umana e l’eternità trascendente non può passare sul ponte traballante (che all’uomo sembra il più solido) della mente razionale, che sarebbe travolta dalla comparsa di un qualunque soffio spirituale. Sebbene fornisca un supporto, non è la ragione a tenere in mano le famose chiavi di Iside.
Se la sapienza simbolica esprime e allo stesso tempo nasconde, la parte mancante del sigillo spezzato può essere recuperata solo dall’intuizione. I simboli e le metafore formano il cuore dei miti che, esternamente ancorati a una storia e una geografia funzionali a un primo gradino di ingresso, e certamente caratterizzati dalla cultura nella quale prendono vita, stabiliscono all’interno i rapporti sovratemporali fra i vari livelli di esistenza che dal mondo umano finiscono in quello divino.
È stata proprio la qualità intrinseca del simbolo, capace di svelare e occultare allo stesso tempo, a farne lo strumento di trasmissione, nei secoli, dell’antica Tradizione i cui enigmi sono diventati sempre più inafferrabili proprio a causa del progressivo impoverimento della nostra intuizione, seppellita dal flusso ininterrotto della comunicazione mediatica (quindi mediata, filtrata) che ci separa dal mistero delle nostre origini. Così l’incontro con l’eternità offerto dal simbolo diventa sempre più sfuggente mentre l’uomo, fissato saldamente a una sola delle due parti spezzate, sbatte in tutte le direzioni del Tempo e dello Spazio senza incontrare mai la sua proiezione ultraterrena.
Coeli enarrant gloriam Dei”, recitano i Salmi: per chi sa comprenderlo, il mondo è un linguaggio divino di cui l’ordine naturale riflette l’unità. Disposte su livelli diversi, su ordini differenti di appartenenza, tutte le cose, concatenate, manifestano l’armonia universale: è questo il fondamento stesso del simbolismo. Esiste un simbolismo della natura, che compare nelle forme della vegetazione, nell’inclinazione dei rami di una foresta, nel vertice di una montagna, nel sole che sorge e che muore, nelle cascate di un ruscello e nel volo degli uccelli. È ovunque, e chiama una serie di collegamenti analogici. Ma esiste anche un simbolismo artificiale a cui appartengono la metafora, l’allegoria e la parabola. Si trova nelle fiabe e nelle leggende, nelle storie antiche delle tribù artiche come di quelle africane. È sempre ovunque legato al linguaggio degli dèi, ne rappresenta la firma qualitativa.
Nell’epoca moderna i simboli sono diventati un fatto puramente convenzionale, ridotto a un insieme di codici istituiti per esprimere un comune accordo sul significato attribuito. Se questo sistema si irrigidisce sul mantenimento di una forma, non è più espressione della rottura originaria che implica anche la comparsa di un momento di discontinuità in grado di aprire la porta verso un altro livello di coscienza.
Oggi cerchiamo di mantenere a tutti i costi l’ordine di questo accordo comune che, in realtà, non fa altro che cementare il mondo del limite. Tuttavia, finché esisterà il mistero della creazione esisterà sempre anche quel simbolo “dimensione e rilievo della verticalità”, per usare una felice espressione di Jean Chevalier.
Per l’uomo antico, che faceva coincidere la conoscenza con un’esperienza intuitiva, il riconoscimento interiore apriva la possibilità di effettuare il percorso che dall’immanenza risaliva alla trascendenza, ritrovando il senso autentico del suo stesso esistere nel mondo. Anzi, del suo essere nel mondo. Oggi, invece, siamo prigionieri della nevrosi dimostrativa su cui viaggia la nostra crescente propensione ad apparire.

Francesca Pacini
tratto da La ruota degli dèi
dal cap. Il simbolo e il linguaggio degli dèi (pp. 20-22)
Simmetria edizioni www.simmetria.org

 

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