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634. Pace e Cooperazione di Classe di Raphael

Mercoledì 02 Dicembre 2015 00:00 Rosario Castello
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(…) la pace non è una causa ma un effetto. Senza dubbio tutti vogliono pace, giustizia sociale e ordine, ma queste cose sono conseguenze di atti che si estrinsecano a certi livelli dell’individuo stesso. Non vi è ideologia politica che non presuma di stabilire pace, lavoro, giustizia sociale, ordine, ecc.; però, se prima di tutto non si trova la pace entro il proprio cuore, come si potrà pretendere d’instaurarla fuori di ?  Se non si cerca di vivere il senso di giustizia dentro di sé, sotto quali prospettive lo si potrà pretendere nel corpo sociale?
La lotta dei vari ordini sociali non si risolve cercando di abbattere o di avvilire gli ordini opposti, né instaurando dittature classiste, sotto la direzione del Prìncipe, a qualunque tendenza possa appartenere. Quando si arriva alla lotta vuol dire che si è fallito nel rapporto e nell’agire secondo ragione.
Non si può, in nome della giustizia e della libertà sociali, imporre con la forza la propria filosofia di vita, sia essa politica, religiosa, ecc., perché viene meno proprio quel principio di giustizia e di libertà per cui si lotta. Certe azioni, purtroppo, hanno in sé il germe della contraddizione e dell’incoerenza. In che senso possiamo parlare di pace, di ordine, di progresso se la nostra azione è già bellicosa e violenta? In che senso possiamo parlare di giustizia sociale se la nostra lotta offende e mortifica?
Vogliamo forse instaurare la pace annientando e distruggendo il nostro nemico? In questo modo non andiamo in cerca di pace e giustizia, ma vogliamo semplicemente eliminare coloro che sono di ostacolo alla nostra filosofia, al nostro credo politico o religioso. In altri termini, dobbiamo decidere se cercare la pacifica cooperazione oppure la guerra tra i membri del corpo sociale. Perché se vogliamo la guerra, allora ogni membro o ordine sociale può sentirsi legittimato a prendere le armi per imporre la propria filosofia con la forza e la violenza. Ma questa è l’etica della giungla, del Prìncipe solipsista.
I contrasti sociali non si risolvono con la contrapposizione, con la guerra e con la speranza dell’abbattimento finale di qualche ordine. La lotta e la ribellione sono causa di divisione, di allontanamento, di disgregazione, non di cooperazione, compartecipazione, unificazione. Non si può unificare il mondo abbattendo gli oppositori e considerando il proprio ordine come detentore esclusivo di missione universale, come depositario della salvezza mondiale. Se così è, allora questo ipotetico ordine professa, senza saperlo, una religione assolutista e dogmatica che, in nome di una missione da compiere, distrugge gli eretici e i “barbari” con la violenza e lo scontro frontale più che andare loro incontro con lo scettro della ragione e del dialogo. Forse che non si sono usati questi mezzi per imporre la propria religione, la propria politica, la propria filosofia e la propria autorità?
Noi crediamo  che il problema umano non possa essere risolto né con la guerra tra i vari ordini sociali, quindi tra gli individui, né prospettando falsi paradisi in terra. Spesso abbiamo detto che la soluzione non sta tanto nell’abbattere istituzioni e organismi, per quanto ciò, ovviamente, possa esser fatto nel tempo-spazio, quanto , ed essenzialmente, nell’attuare una rivoluzione coscienziale per fondare la “società dell’Essere”, società in cui tutti i singoli, e quindi i vari ordini sociali, siano in primo luogo impegnati nella rieducazione delle energie individuate, nella loro giusta direzione e nella loro sottomissione al Princìpio trascendente e sovra individuale, che è, appunto, l’Essere, e in secondo luogo protesi a instaurare la cooperazione fra i vari ordini, conformemente a quella legge dell’Essere che riconosce tutti gli uomini come figli della stessa essenza e tutti in cammino verso lo stesso scopo. Abbiamo detto che i quattro ordini tradizionali nascono tutti da Brahma, o dall’Essere.
“… La sua bocca divenne brahmana, il Legislatore-guerriero fu prodotto dalle sue braccia (ksatriya), le sue cosce furono l’Imprenditore (vaisya), dai suoi piedi nacque il Lavoratore manuale (sudra), per cui essi rappresentano l’intero “corpo” di Brahma, ognuno nella sua funzione specifica. Tra la “parola”, le “braccia”, le “gambe” e i “piedi” – se si vuole un’azione armonica – dev’esserci cooperazione e integrazione, non confusione e disarmonia. Ciò implica che, se vogliamo risolvere il problema alle sue radici, dobbiamo riconoscere che fino a quando accentriamo la nostra modalità di vita sulla brama del possesso, sull’egoismo, sull’avidità, sulla violenza, sull’invidia, sulla rivalsa e sulla vendetta, non vi potrà essere nessuna politica o filosofia, sia essa democratica o totalitaria, in grado di estirpare la disarmonia in modo risolutivo. Certo, la politica offre istituzioni e anche rivoluzione sociale, però non offre rivoluzione coscienziale perché opera esclusivamente a livello orizzontale, oggettivista e non verticale.
La salvezza dell’individuo è nelle mani di coloro che hanno parlato, e sanno parlare, non all’immagine “esterna” dell’essere, ma a quella “interna”. In altri termini, la salvezza è sinonimo di Realizzazione, e la Realizzazione investe non la struttura oggettiva sociale, ma quella interna, coscienziale, spirituale. Il mondo esterno non è altro che la rappresentazione e il riflesso dei nostri pensieri, delle nostre tendenze, delle nostre aspirazioni e del nostro grado coscienziale. Sotto questa prospettiva ogni popolo ha il governo e la legislazione che si merita.
La salvezza possiamo averla da una filosofia che sappia porre l’accento sulla trasformazione delle coscienze, che sappia additare un’etica che non si esaurisca nell’intraumano e intraindividuale, ma che faccia alzare lo sguardo di là dal proprio interesse contingente, individuale e di classe.
La salvezza la possiamo avere da una filosofia che sappia illuminare la coscienza singola al risveglio della sua totale possibilità di essere, guidare l’uomo dal particolare all’universale e sappia fargli comprendere e sperimentare che la vera compiutezza non risiede nell’avidità e nel possesso delle cose illusorie, ma nella realtà del suo stesso Essere. Se tutta l’energia che s’impiega nelle scuole fosse diretta alla scoperta di sé in quanto Essere, penso che gradatamente avremmo un’umanità migliore e più cooperante. Allora la pace, essendo prima di tutto patrimonio del cuore, potrebbe trovare finalmente sbocco nella società come naturale e logica conseguenza.

Raphael
tratto dal Cap. Pace e Cooperazione di Classe
da Quale Democrazia?
Edizioni Asram Vidya