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1038. La vera Leadership è Donna

Lunedì 15 Febbraio 2021 00:00 Rosario Castello
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La leadership è uno stato-condizione di coscienza che provoca un senso di responsabilità di fronte a qualcosa che non va e che sarebbe bene cambiare. Decidere di accettare o cambiare la situazione in questione e se si decide di intervenire, per cambiarla, ecco che si entra in quel processo in cui nasce la leadership.
Con leadership (direzione, comando, guida) si intende il rapporto di colui che in una struttura sociale organizzata occupa la posizione più elevata rispetto al gruppo o struttura affidatagli. Tale figura viene generalmente definita-percepita come capo, guida o leader.

In Europa solo il 6% delle donne sono a capo di una società e l’Italia risulta al sesto posto. In realtà si fa molto poco per la leadership delle donne. Molte grandi aziende fanno finta di fare con dei progetti bluff, selezionando accuratamente donne che fanno la pantomima della leadership maschile svilendo la naturale creatività femminile: una sgradevole imitazione dei comportamenti maschilisti (parlano a voce alta, strillano, si sovrappongono alla voce di chi cerca di dire la sua, umiliano gli interlocutori che per imbarazzo subiscono, spesso offendono anche, ecc.).
Una iniziativa interessante, in questo momento, è quella dell’Onu che speriamo possa avere una grande risonanza: una campagna, per l’8 marzo 2021, per la leadership femminile nel mondo post Covid. L’Onu lancia il tema sulle donne al comando nel mondo post-Covid. Si tratta di una campagna per far riflettere sugli enormi sforzi compiuti dalle donne e dalle ragazze di tutto il mondo verso un futuro più equo: la piena ed effettiva partecipazione delle donne ai processi decisionali nella vita pubblica, ma nello stesso tempo l’eliminazione della violenza, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne (ragazze, adulte, donne mature e oltre). Una rivoluzione culturale per debellare il vecchio modello maschilista che si è imposto storicamente in tutti i gangli della società umana e vera fonte di tutti i problemi subiti dalle donne, in famiglia, al lavoro e non solo.
Le donne quando non influenzate o manipolate dai modelli maschilisti sono in grado di fare grandi cose: basta vedere i paesi guidati da personaggi femminili durante questa pandemia.
I capi di governo di Danimarca, Etiopia, Finlandia, Germania, Islanda, Nuova Zelanda e Slovacchia sono stati ampiamente riconosciuti per la rapidità, la decisione e l’efficacia della loro risposta nazionale sulla salute pubblica, leadership basate sui fatti. Le donne sono capi di Stato e di governo solo in 20 paesi del mondo.

La maggior parte delle persone non si rende conto di vivere la propria vita piena di condizionamenti e con comportamenti che limitano ogni forma di potenziale disponibile, impedendo di essere, anche nel piccolo, una guida per stessi e per gli altri (il proprio mondo relazionale).
Tutti dovrebbero essere dei leader nella propria vita, sviluppare al meglio le proprie capacità dando un pieno significato a tutto quello che si fa, prendendosene la responsabilità, specie delle proprie emozioni e delle proprie scelte evitando di sentirsi vittime nelle brutte situazioni. È anche vero che non dovrebbero esistere coloro che cercano di impedire alle risorse umane di esprimere il proprio potenziale in fatto di leadership.
È triste vedere ancora nel mondo del lavoro dei “responsabili” di risorse umane che si affidano al sistema del caporalato: il manager che non fa da guida responsabile ma il mastino. E ancora più triste è vedere che questa figura è rappresentata anche da donne totalmente forgiate al vecchio modello maschilista di capo-padrone e non di responsabile.

Vige ancora prepotentemente, nel mondo del lavoro, una concezione antidemocratica del “responsabile” di risorse umane che ama identificarsi con il vecchio concetto di capo-padrone, che comanda, impone, si può permettere di tutto e deve essere indiscusso.
Sono questi soggetti (uomini e donne) che creano molti problemi nei luoghi di lavoro ai lavoratori, compromettendo l’attività e i risultati aziendali. Il semplice andare a lavorare non dovrebbe destare ansia, preoccupazione e addirittura paura. Questo tipo di alterazione emotiva, giorno dopo giorno, mina l’integrità della persona.
Il tipo di esistenza in cui tutti sono ormai inseriti offre poca possibilità per costruire una traiettoria positiva e se ci mettiamo anche la paura per andare a lavorare, l’angoscia di dover passare tante ore a interagire con un capo, più caporale che vero manager, il problema si fa grande.
Il lavoro non dovrebbe essere un luogo di pena, dove si perde la libertà personale: essere un lavoratore non significa perdere i diritti costituzionali a cui tutti i cittadini hanno diritto. Costituzione italiana e Statuto dei lavoratori assicurano i diritti del cittadino-lavoratore senza scanso di equivoci. Chi non rispetta, nei luoghi di lavoro, la persona-cittadino-lavoratore sta commettendo una violazione. Purtroppo queste violazioni sono all’ordine del giorno e il più delle volte non punite.
Gli esperti sanno bene che questo tipo di sofferenza viene chiamata “psychological distress”, ovvero “sofferenza psicologica”.
Perché molti responsabili (quadri, dirigenti, supermanager, direttori, amministratori delegati, presidenti) creano tra loro e i propri sottoposti delle frontiere di disagio?
Recarsi tutti i giorni al lavoro senza alcuna serenità, con ansia e angoscia, espone ad un grande rischio per la salute psico-fisica. E perché? Perché c’è un cattivo (o cattiva) capo-caporale che approfitta della propria posizione gerarchica dominante. E l’azienda o l’Organizzazione in questione? O è del tutto ignara di tali fatti o se ne è al corrente fa finta di niente finché non sorge un serio problema che affronterà con silenziosa diplomazia.
Un esempio calzante di questo potere padronale è quello esercitato dal Direttore di Confindustria di Firenze (Leonardo Bandinelli) che ha tirato in faccia alla segretaria, di presidenza e di direzione, il telefono per aver chiesto di poter fare lo smart working per il Covid, oltretutto previsto dai decreti sulla pandemia. Increscioso episodio avvenuto a novembre 2020 ma denunciato solo a gennaio 2021 perché la vittima aveva paura di perdere il posto di lavoro. Il Direttore aveva già tirato il telefono, in un’altra occasione, ad un’altra segretaria mancandola. La segretaria è costretta alla malattia da due mesi per le lesioni riportate sul volto. Il Direttore avrebbe anche impedito un pronto intervento per tenere sotto silenzio l’accaduto portandola in una Clinica privata. Il Direttore vigliacco, che non ha il coraggio di prendersi la propria responsabilità nell’accaduto, ha invece raccontato al suo presidente che la donna si era ferita da sola in ufficio. E se il telefono lo avesse tirato in faccia la segretaria al Direttore che cosa sarebbe accaduto velocemente? Il Direttore Bandinelli non si è dimesso e nessuno lo ha costretto a farlo: un episodio gravissimo che sigilla ancora una volta la violenza contro le donne nei luoghi di lavoro, violenza che spesso resta impunita. Se un Direttore di Confindustria risponde ad una semplice e normale richiesta, da parte della segretaria, con tale accanita violenza, ed è anche recidivo di tali comportamenti, significa che per sua natura è un tipo violento, che non si sa controllare e pensa di potersi permettere questo ed altro, quindi non dovrebbe fare il Direttore di Confindustria che rappresenta la classe dirigente italiana. Un soggetto così andrebbe cacciato via e costretto a pagare i danni morali e fisici alla vittima. E Carlo Bonomi che dice da Roma, che fa, dove sta? Si evidenzia in questo episodio di violenza gratuita, incivile e barbara, lo svilimento del rapporto di lavoro, della persona, il senso di impunità dovuto al rapporto di superiorità gerarchica.

La maggior parte delle vittime si adeguano, soffrendo, rifugiandosi, con i comportamenti-scudo, in un inconscio stato di anestesia emozionale poco salutare. I più, sotto la pressione dell’influenza negativa giornaliera, fanno scattare nel loro immaginario la paura di minacce concrete (il peggiore, il licenziamento) facendo crescere una carica emotiva capace di dominare e scombinare l’integrità psichica di un singolo sofferente o dell’intero gruppo di lavoro. Una situazione di questo tipo, portata alla lunga, diventa un modus vivendi decisamente dannoso perché intossica, avvelena le cellule del corpo indebolendo il cervello e il sistema immunitario.
Se il capo-caporale-mastino, in questione, venisse preso per le orecchie sbattendogli in faccia quanto egli ha provocato invisibilmente con il suo operato, cadrebbe dalle nuvole, sorriderebbe pure, allontanerebbe subito da sé ogni responsabilità. Questo tipo di persone sono anche molto vigliacche.
Che diritto ha un capo-caporale a togliere la fiducia, la pace, la serenità ai propri sottoposti e farli precipitare nell’inferno della paura? Tutti hanno diritto a vivere e non a sopravvivere.

Quando un individuo prende consapevolezza della propria responsabilità, a qualunque livello, significa che è giunto a rendersi conto di essere in grado di poter dare delle risposte importanti, comportamentali e comunicazionali.
Un leader, quindi, è qualcuno (uomo o donna) che dopo aver preso consapevolezza di sé stesso, delle proprie possibilità, persegue una visione che contempla precisi valori fondamentali e chiari obiettivi e si attiva in modo da pianificare strategie adatte per raggiungere i possibili risultati intravisti.

Una vera leadership non è fatta di una sola persona al comando ma della capacità di attivare un sistema relazionale con le persone idonee individuate, cercando di condividere con loro la visione perseguita per cooperare e costruire insieme quanto necessario. La vera leadership non è quella che dà comandi e gli altri obbediscono ma è quel modo di essere e di fare che coinvolge le risorse disponibili aiutandole ad andare insieme verso i risultati desiderati, ascoltando tutti e valutando ogni proposta ricevuta, senza mai scadere in forme meschine di simpatia e di antipatia, né di vili raccomandazioni senza alcuna presenza di meriti.
Un vero leader non è colui che si preoccupa solo di dare comandi e di farsi obbedire, di costringere gli altri, senza confrontarsi, di condurre le proprie risorse senza che esse condividano la visione, le strategie, i vari metodi senza alcuna libertà di scelta e di opinione. Una tale leadership è destinata a fallire insieme al migliore dei progetti. Un leader che non riesce a farsi seguire liberamente dagli altri, ma solo costringendoli con metodi da caporalato (con minacce, ricatti) non è un vero leader ed è destinato a continue cadute irreversibili.
Un vero leader è chi, per una presa di coscienza, ha vissuto una trasformazione interiore che manifesta, con le sue risposte comportamentali e comunicazionali, dei cambiamenti importanti nel suo ambiente circostante o in un ambito di maggiore portata. Un vero leader, specie se anche etico, è portatore di un grande cambiamento di paradigma.
Il problema nei diversi ambiti della società, nel privato e nel pubblico, è che prevale una leadership costruita, imposta, spesso ostentata da modelli ridicoli appresi da certi manuali diffusi nel mondo del management, che molti politici, ad esempio, usano. Prevale una visione di leadership piuttosto autoritaria, perché inseguita da uomini incompiuti, ignoranti coscienzialmente, frustati, disagiati da inconfessati complessi di inferiorità (basta vedere quelli misogeni nei confronti delle donne). L’uomo senza veri valori e principi interiori, che brama il potere per sé stesso, ama la leadership autoritaria, quella basata sul controllo e la manipolazione degli altri, che incute paura, che impone il proprio volere riferendosi scioccamente alla posizione gerarchica.
Un vero leader è lontano da questi vecchi stereotipi da maschilisti frustati e incompiuti: non azzittisce le risorse ma le ascolta, non costruisce per favorire solo sé stesso, prende in considerazione ciò che dicono, le rispetta, riconosce le differenze che possono essere utili ed è sempre proteso a potenziare l’unicità delle persone.
Chi ama la leadership autoritaria fa finta di avere sempre le risposte e semina disastri che insabbia e attribuisce ad altri la responsabilità, una vera leadership carogna. Fare finta di non avere dubbi, di essere sicuro delle proprie scelte non risolve i problemi ma li assomma.
La leadership vincente è quella che contempla la cooperazione, la condivisione, la solidarietà, l’eticità, e prende in considerazione le capacità di tutte le proprie risorse perché nessuno possiede da solo tutto ciò che serve.
Hanno rovinato il mondo della leadership nel management tutti gli astuti facitori e facilitatori che si sono inventati una miriadi di corsi che rilasciano, anche solo dopo tre giorni, diplomi sulla leadership (Self-Leadership Applicata) come fosse possibile tirarla fuori come il mago tira fuori la colomba o il coniglio dal suo cappello. Come può avvenire, in soli tre giorni, una così importante trasformazione senza aver fatto un lungo percorso esperienziale teorico-riflessivo e pratico? Sono dei ridicoli corsi di trasformazione personale o di sviluppo professionale in cui consegnano tecniche e modelli esclusivi per ottenere l’eccellenza da sé stesso e dagli altri: corsi del tutto inutili per la disonestà contenuta a monte.
La situazione generale di oggi, nella società umana, richiede leader etici, onesti, non egoisti, non autoritari, non patologicamente fissati sull’esercizio del comando, del controllo, della manipolazione degli altri: occorrono leader intelligenti, preparati culturalmente e competenti professionalmente, dotati di sensibilità (empatia) che sappiano ascoltare, comunicare, instaurare retti, giusti ed equi rapporti umani, praticamente dei leader veramente illuminati all’altezza della condizione critica in cui versa il mondo attuale.
Un vero leader, quindi, manifesta una leadership autorevole, non autoritaria, democratica e partecipativa (tutte cose, se ci si riflette bene, riguardanti le caratteristiche positive della donna, caratteristiche tipicamente femminili).
Una vera leadership deve possedere il meglio, in equilibrio e armonia, sia della donna sia dell’uomo (non maschilista): le energie femminili e le energie maschili ben armonizzate possono dare importanti eccellenze in tutti i campi. Un vero leader è anche colui che, comprendendo in una particolare circostanza di non poter guidare, accetta di seguire: questa è una caratteristica prettamente femminile che rivela grande intelligenza e capacità di adattamento e compensazione, cosa che l’uomo difficilmente riesce ad accettare lanciandosi verso disastri certi per orgoglio (un condizionamento che limita particolarmente gli uomini che non riescono a distaccarsi dall’impronta maschilista ricevuta e dalla visione autoritaria della leadership, un problema educazionale che li ha solcati irrimediabilmente).

Non basta un corso, anche se fatto benissimo, a liberare la leadership in un individuo: l’individuo deve aver lavorato bene su di sé, imparato a conoscersi, a riconoscere le proprie debolezze, a gestire le proprie emozioni, a sviluppare cose come l’empatia, la pazienza, la compassione e ovviamente la resilienza. E non dimenticare mai di dover dare l’esempio, con tanto di vera umiltà, a tutti coloro che vengono guidati.
Un leader di tale profilo è un essere umano (uomo o donna) che si è auto-realizzato passando per i fuochi che riguardano il capire, il comprendere e il realizzare: individuo instancabile che cavalca il percorso della crescita evolutiva, manifestando creatività, impegno ed efficacia nello sviluppare una visione (che sia per una azienda, per la stessa propria famiglia, per i propri affari, per la comunità in cui opera, per la politica, per le istituzioni, fosse anche per il governo), ricca di significati, cercando di realizzarla con la cooperazione, la condivisione, l’equanimità.

Le donne sono soggiogate ancora oggi dal potere secolare maschilista: nei luoghi di lavoro si sminuiscono, soffocano la loro voce, temono di dire la verità anche quando sarebbe la cosa migliore per tutti e molte incorrono nell’errore di apparire “carine” anziché brave, competenti come in realtà sono e dicono che va tutto bene quando non è vero, facendo il gioco degli stupidi maschilisti che si credono e si autoproclamano leader (ma dell’incompetenza, dell’incapacità), maschilisti che con la loro arroganza fanno più male che bene all’azienda di cui dovrebbero salvaguardare gli interessi anziché pensare alla propria immeritata carriera a spese di brave persone sottomesse. La donna dovrebbe avere il coraggio di dire la propria verità, di affermare il proprio valore e anche i propri successi, con ferma gentilezza senza mai utilizzare i sistemi grossolani, volgari, offensivi dei tanti manager maschilisti che si sono inventati leader. Molte donne, per rabbia e frustrazione, si costringono a emulare i comportamenti maschilisti svilendo la propria natura femminile offrendo una pessima immagine di leadership. La donna non deve prostituirsi per paura ma combattere l’ignoranza e il degrado culturale che ha portato all’approfittamento della donna da parte del maschio-manager che continua a comportarsi come “capo-padrone” al di là delle varie policy aziendali esistenti e mai completamente applicate e rispettate dalla classe dirigente maschile.
I luoghi di lavoro non devono essere, per la donna, i luoghi della sottomissione ma dove essa può capire, grazie all’attività che vi svolge, cosa le dà valore come donna e cosa dà valore alla sua vita. Non deve essere la bellezza, l’essere carina che deve dare valore alla vita di una donna: questo schema-comportamento deve essere debellato e far cessare la relega nel ruolo di donna-oggetto. La donna può essere leader, conquistare la propria leadership con dignità grazie ai propri meriti. Purtroppo accade ancora oggi che nei luoghi di lavoro gli sguardi-atteggiamenti non appropriati e offensivi evidenzino l’ignoranza sessista che continua a serpeggiare in molte forme camuffate diverse (“era una battuta”; “stavo solo scherzando”; ecc.). La molestia sessuale, nei confronti della donna, nei luoghi di lavoro non è mai cessata nonostante se ne sia parlato molto negli ultimi anni. Ogni giorno vengono molestate e aggredite un’infinità di donne, una ostilità inaccettabile che troppo spesso sfocia nel crimine d’odio, nel fenomeno del femminicidio. Solo una diffusa leadership della donna potrà porre fine a tale vergognoso fenomeno che mantiene le sue radici nel maschilismo.
Un aspetto negativo del maschilismo, che ha contagiato la donna, è quello della competizione: donna contro le altre donne. Un errore gravissimo quello di una donna in competizione con altre donne: le donne, invece, devono collaborare, aiutarsi reciprocamente, formare gruppi di crescita, diventare sostenitrici delle altre donne.
In un luogo di lavoro se più donne conquistano la propria leadership devono fare in modo di far emergere altre co-leader: tutte possono offrirsi guida nelle competenze in cui hanno più esperienza e capacità e così facendo potranno apportare seri cambiamenti positivi nell’azienda presso la quale svolgono il proprio lavoro, la propria funzione. L’azienda non potrà fare a meno di riconoscerne i risultati e i meriti.

Se la donna ha una funzione di potere è esposta alla molestia dei suoi subordinati ma anche dei dirigenti di alto livello all’interno dell’azienda. È la suggestione di una secolare cultura maschilista che spinge molti uomini a molestare le donne sui luoghi di lavoro: vedono la donna, che considera la propria carriera e la propria posizione lavorativa come parte integrante della propria identità, come quella che potrebbe mettere in discussione il loro ruolo (maschilista).
Molti uomini manager (maschilisti e incompiuti), che si credono importanti leader, fanno spettacolo nelle riunioni di lavoro (e oggi perfino in Conference Call), perché così hanno molti spettatori (anche e soprattutto donne). Questi si distinguono perché non ascoltano e non concedono la parola alle donne, quando gliela tolgono o la sovrastano con la loro. Molti rappresentanti della classe dirigente (maschile) esprimono con i loro comportamenti un’oscurità morale, intellettuale e spirituale. La leadership femminile, saggiamente risvegliata, può risolvere una volta per tutte questo secolare problema. La donna che fa della sua leadership un percorso realizzativo usa, senza risentimenti, le armi della “discriminazione-discernimento” e del “distacco”, insieme a qualità (o virtù mentali) come la calma mentale, l’auto-dominio, il raccoglimento interiore, la pazienza perseverante, la stabilità mentale e la fiducia in sé stessa.

L’uomo succube della assorbita cultura maschilista manifesta-vive, spesso senza rendersene conto pienamente, spinte (consce o inconsce) a molestare la donna in posizione di leadership, come a volerla punire per essere riuscita a raggiungere un posto di rilievo e in un qualche modo ricacciarla in una condizione di sottomissione. Molte donne per la paura, conscia o inconscia, di subire molestie rinunciano alle possibilità che hanno di realizzarsi come leader.
Molestie, mobbing e ricatti nei luoghi di lavoro sono inaccettabili e, purtroppo, chi perpetra questi abusi si trova tra gli alti gradi gerarchici di una azienda. Le vittime, il più delle volte, non denunciano ma subiscono e questo fatto permette la crescita di un sommerso di prevaricazioni, mobbing, e anche adescamenti sessuali. Ogni atto o comportamento che si configuri come molestie, Mobbing e ricatto è inammissibile, inaccettabile perché le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto di essere trattati con dignità e di essere tutelati dall’azienda nella propria libertà personale ed hanno diritto di denunciare ogni eventuale comportamento intimidatorio o ritorsioni subite sul luogo di lavoro. Ogni datore di lavoro dovrebbe inserire nella propria azienda programmi che prevedono la promozione e la diffusione della cultura del rispetto della persona, compresa la decostruzione degli stereotipi di genere e la prevenzione e l’intervento contro l’omofobia e le discriminazioni legate al genere e agli orientamenti sessuali.

L’invidia del potere da parte di dipendenti uomini nei confronti delle dipendenti donne in posizione di leader, anche se tenuta nascosta, risulta evidente come emerge da molte indagini svolte in ogni parte del mondo (in particolare Stati Uniti, Giappone, alcuni stati europei). Dalle ricerche inoltre risulta che le donne che denunciano subiscono ripercussioni negative con l’aumento delle molestie sessuali e il blocco di promozioni meritate.
A nessuno deve essere negata la dignità fisica, psichica e morale, tanto meno alle donne che hanno diritto alla parità di genere.

Il mondo della leadership è una realtà molto complessa che apre strade luminose ma anche strade oscure. Un leader deve essere carismatico. Che cosa è che fa percepire in un leader il carisma? Il termine carisma denota, in psicologia, la capacità di esercitare una forte influenza sulle altre persone. Carisma è quanto concorre a determinare un ascendente o un’influenza su altri in modo inequivocabile. Il carisma lo si percepisce in termini di autorità, saggezza, fascino, prestigio, ecc..
Il cattivo leader è uno che si pavoneggia e adotta, nel misurarsi con gli altri, la mente, il corpo e le parole per gestire il potere e poter influenzare, condizionare, assoggettare ridicolizzando gli avversari, alzando la voce cercando di sovragestire il confronto.

L’attività di un vero leader, in questa complicata epoca, è piuttosto stressante: senza una personale disciplina a monte la “funzione” rischia di trasformarsi in una pessima leadership, con tutte le conseguenze del caso.
Di cosa ha bisogno un vero leader?
Ovviamente di concentrazione, di rilassamento e di meditazione. Un vero manager, dalla sana e non patologica leadership, incarna pensiero e azione ma ha bisogno di carisma per esprimere e manifestare, in modo eccellente, la complessità della sua funzione. Chi si serve di tecniche di rilassamento (training autogeno, Yoga Nidra o altro) e di meditazione ha molte più probabilità di un buon successo professionale.
Un equilibrio del sistema corpo-mente è fondamentale, molto prima delle competenze e delle capacità manageriali.
Il manager che lavora sotto pressione, che pensa di risolvere i vari problemi con una maggiore quantità di riunioni (conference call) stressando le proprie risorse (con la quantità anziché con la qualità) è un cattivo manager che senza volerlo si sta costruendo il proprio crollo professionale. Un vero manager deve essere in grado di superare ogni forma di stress attraverso un quieto “problem solving” e una buona “gestione di crisi”, per superare le sfide e immettere nel lavoro forza e stabilità, per sé e per le proprie risorse.
Una vera leadership è fatta dell’applicazione della “saggezza”, dell’”intelligenza” e della fondamentale “intuizione”. Un leader stressato, sovraoccupato, indifferente all’equilibrio fisico, emotivo e intellettuale delle proprie risorse, preoccupato solo di apparire il più bravo di tutti (magari con la falsità sui numeri aziendali), non fa altro che accumulare blocchi al subconscio che gli impediscono di percepire la realtà professionale e le vere necessità per quelle che sono, oltre che la relazione con le potenzialità entro sé stesso.

Resta per noi incomprensibile come la lotta al gap di genere risulti secondaria nel programma italiano per attingere ai fondi del Next Generation Eu. La Spagna, ad esempio, la considera una priorità. Perché non realizzare la parità vera tra uomini e donne? La parità di genere è importante quanto l’innovazione digitale, l’eliminazione delle disuguaglianze, l’inclusione, la creazione di posti di lavoro e la transizione a un’economia verde. Alla parità di genere viene data una importanza trasversale: una posizione ambigua per poter dire, eventualmente, qualsiasi cosa.

Perché in realtà fatica ad affermarsi la parità di genere, la leadership femminile e tutto quanto riguarda il mondo del Femminile?
È ancora da superare, a livello profondo, il passaggio storico da matriarcato a patriarcato che ha relegato il Femminile al puro ruolo della proliferazione. Il Femminile prima era saggezza, quindi donna-dea della Totalità, che nutriva, trasformava e conduceva allo spirituale. Detronizzato il Femminile si è sviluppato il patriarcale e il monoteistico maschile: così la donna-dea della saggezza viene repressa.
Per secoli la donna (alcuni gruppi di donne) ha custodito in segreto il proprio legame con la saggezza tentando, lungo le varie epoche, di far affiorare il proprio potere nascosto, quello di cui ha avuto paura l’uomo, provocando il passaggio dal matriarcato al patriarcato.
È nel retaggio inconscio che risiede la difficoltà di liberarsi culturalmente di ciò che ha assunto la forma del maschilismo che ha pervaso l’intera società umana.
Uno dei tentativi che la donna ha osato è stato quello del “Femminismo”, come rivoluzione culturale ma non del tutto riuscito.
Oggi c’è la migliore delle occasioni: quella di conquistare ovunque la leadership femminile, non per soppiantare la leadership maschile ma per instaurare un sistema equilibrato e armonico in cui l’uomo e la donna non sono più in contrapposizione.

Un vero manager leader (donna o uomo) deve essere in grado di comprendere e gestire gli stati di consapevolezza così necessari al risveglio di quella complessità fondamentale per ottenere un sicuro successo professionale per sé stesso, per le proprie risorse e per la propria azienda. La leadership femminile sembra offrire tutto il necessario perché il mondo possa essere migliore, più illuminato e più felice.

 

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L’Arte di Comunicare, Carlo Majello, Franco Angeli 2016
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Trattato di semiotica generale, Umberto Eco, Bompiani
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Verso una ecologia della mente, G. Bateson, Adelphi
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