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173. Androginia di Adamo di Alfonso Maria Di Nola

Giovedì 05 Gennaio 2012 00:00 Rosario Castello
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Il Sefer Jeziràh, è certamente la base sintetica e cifrata dei metodi qabbalistici che si riferiscono ai segreti della creazione, delle lettere e dei fenomeni cosmici. Queste tematiche, che mutuano molti elementi dalla gnosi e dal neoplatonismo, trovano il loro ampliamento in altri testi, cui è possibile fare un cenno soltanto molto rapido. In Provenza, nel XII secolo, appare il Sefer Bahir, Libro del Fulgore, che può essere considerato una reinterpretazione del Sefer Jeziràh. Molto più complessa è la misteriosofia del Sefer ha-Zohar, Libro dello Splendore, che dalla Castiglia si diffuse in tutte le comunità giudaiche mediterranee dopo il 1275 e influì profondamente su tutti i posteriori orientamenti mistici, anche italiani e rinascimentali.
Il Sefer ha-Zohar ha una notevole estensione (la traduzione parziale, inglese di Sperling copre cinque densi volumi) e si presenta come una congerie di trattati, di frammenti, di disquisizioni, di testi narrativi e folkloristici, connessi fra di loro in modo da costituire un commentario (midrash) all’intero Pentateuco, con netta prevalenza degli argomenti che valgono a interpretare i temi della creazione del mondo e dell’uomo. G. Scholem ha sostenuto, contro la tesi di un’origine composita dell’opera, la sua fondamentale unità teologica e ideologica e ne ha attribuito i primi diciotto trattati al qabbalista spagnolo Mosè de Leon. Nella sua struttura, simile ai midrashim, lo Zohar scinde in brani o in parole le narrazioni pentateuche (parashot) e espone il discorso e le opinioni che intorno ad esse pronunziano i dottori: in conseguenza, dal punto di vista dell’organizzazione, lo Zohar si suddivide in parashot (parti del testo di Pentateuco) e in sottoparti indicate dal numero del folio del manoscritto (si cita, per es. Noah, 13b parasta di Noè, folio 13 retro). L’imponente quantità di motivi mistici, esegetici, segreti che corrono nelle pagine dello Zohar e che costituiscono l’essenza della Qabbalah teosofica o della Via della Creazione, consente di segnalare soltanto taluni quadri ideologici e riservati che passano attraverso la selva di una sapienza eccezionalmente ricca. Si tratta, quindi, in questa analisi, di un processo di riduzione espositiva del testo, al fine di individuare con rigorosa precisione talune tradizioni esoteriche alle quali spesso si fa riferimento approssimato e vago. Tale esigenza di riduzione non deve, tuttavia, far dimenticare la straordinaria prolificità del contesto, anche in talune tematiche di tipo popolare o folklorico che finora non sono state bene studiate e che sembrano configurarsi come forma giudaica di più ampie credenze europee ed asiatiche. Per offrire ai lettori un solo esempio, va ricordato come nelle culture popolari europee e anche attualmente nelle credenze subalterne del nostro Paese, si attribuisca l’origine dell’itterizia all’aver violato il tabu di volgere l’occhio all’arcobaleno: diviene itterico – ha, cioè, il “male dell’arco” – chi ha urinato contro l’arcobaleno. Mentre la qualità sacrale e numinosa dell’arcobaleno è ricordata anche nel testo di Esiodo, lo Zohar, registrando la credenza indicata, la definisce in un’interpretazione esoterica tipicamente ebraica. L’uomo non può guardare l’arcobaleno e la circoncisione o il membro virile circonciso, poiché l’uno e l’altra sono “segni del patto”, visibili forme della “presenza” che Dio ha manifestato nella storia, chiudendo, con l’arcobaleno, il diluvio e costituendo a mezzo di esso il patto noachico (quello che riguarda tutti gli uomini attraverso Noè) e sigillando, con la circoncisione, il particolare patto stretto con Israele. Una rilettura antropologica del deposito sapienziale dello Zohar porterebbe a scoprire l’universale trama di talune credenze e la specificità delle interpretazioni che la cultura giudaica ha dato ad esse.

L’Adamo cosmico
Una delle speculazioni centrali qabbalistiche tocca la figura del Primo Uomo o del Protoantropo (Macroantropo) che è il modello primordiale di ogni creatura e che, contraddittoriamente, è individuato soltanto nella mente di Dio, o in una realtà del processo di creazione, o nella stessa immagine di Adamo. L’interesse più antico della Qabbalah riguarda la prima creatura di Dio, proprio l’Adamo del testo di Genesi, progenitore dei viventi e capostipite delle genealogie tribali del Pentateuco. È probabile che soltanto successivamente l’interesse si sia spostato verso la figura dell’Adamo cosmico. In questa linea, già in epoca talmudica appare la tesi dell’androginia di Adamo, che avrà notevoli implicazioni gnostico-cristiane fino alla qualificazione bisessuale del Cristo.
Nelle discussioni dottrinali talmudiche vengono invocate le due redazioni del Genesi sulla creazione dell’uomo e il versetto del salmo 139 (“Di dietro e davanti tu mi hai formato”), e ci si chiede se il termine sela’ del documento pentateuco significhi “costola” o “lato” di Adamo, per stabilire se Adamo ebbe nelle sue stesse strutture anatomiche il sesso femminile, da lui separato, poi, a mezzo dell’asportazione della “costola”, ovvero se Eva era unita al “fianco” o al “lato” di lui come essere completo: “Rabbi Geremia ben Eleazar  disse: “Adamo, il primo uomo, aveva due volti, poiché è scritto: ‘Di dietro e davanti tu mi hai formato’ “. Rav e Shemuel non sono d’accordo. L’uno dice che si trattava di una faccia, l’altro dice che era una coda” (Talm., ‘Eruvin, II,1). Insiste sul motivo la tradizione midrashica: “Secondo rabbi Geremia bem Eleazar, il Santo, benedetto Egli sia!, nell’ora in cui creò il primo uomo lo creò androgino, secondo quanto è detto: “Uomo e donna Egli creò”. Secondo rabbi Shemuel bar Nachman, l’uomo, quando fu creato, aveva due volti. Dio lo segò in due metà e formò di lui due dorsi, uno da una parte e uno dall’altra” (Midrasb Beresbit rabbà, p.8,I,26).
Tale fondamentale teoria, che viene confermata dalla fonte zoharica e qabbalistica, ha importanti conseguenze. Se il primo uomo bisessuale è “immagine e somiglianza” di Dio, Dio stesso ha una sua significazione bisessuale, come sintesi suprema di tutte le realtà animali possibili, e, perciò, la bisessualità si costituisce come perfezione primordiale, antecedente la stessa condizione di peccato e decadenza del genere umano, e parallelamente come mèta cui tende la reintegrazione del tutto nell’Uno.
Fra i numerosi moduli nei quali la bisessualità di Dio è rappresentata, quello esemplare e più accessibile è lo stesso nome tetra grammatico JHWH, nel quale il sesso maschile corrisponde allo J (Jod) iniziale, il sesso femminile ha i due H (He), mentre, in qualche testo il W (Vav) è la lettera emblematica del gamos divino produttore del mondo. In tale modo il gruppo delle consonanti JH (Jod-He) corrisponde, in Dio, ad una coppia generatrice padre-madre (Zohar, Bereshit, 16 b). ma il mistero della bisessualità e della ierogamia divina è espresso anche in altro modo. Nel paradigma sefirotico (che è uno schema in forma di sagoma umana, nel quale le differenti emanazioni divine vengono fatte corrispondere alle singole membra e ai singoli organi), il sesso dell’immagine è rappresentata dallo Yesod, Fondamento o “Organo di santità” che unisce le due parti o “pilastri” di destra e sinistra e corrisponde alla maschilità dell’Uomo sefirotico, alla maschilità di Dio e ai genitali dell’uomo circonciso.
Lo Yesod, nello Zohar, è omologato con lo Saddiq, il Giusto, così che, quando si parla di Saddiq, ci si riferisce sostanzialmente al mistero del sesso di Dio.

I due sessi di Dio
Questo sesso, nel suo aspetto maschile di Saddiq-Yesod, ha una funzione riproduttiva e generatrice cosmica, connessa ad antiche mitologie cosmogoniche e agricole. È, perciò, la sede delle “acque”, intese, secondo un simbolismo costante delle mitologie semitiche, come il principio di ogni fecondità e la radice seminale della Natura.
Il secondo termine della sessualità divina, la Femmina divina, con la quale Yesod consuma la sua unione, è, nello Zohar, variamente designata, e la molteplicità dei nomi renderebbe problematica o, almeno, confusa, la natura di essa, se non sapessimo che, in generale, le contrastanti denominazioni sono sempre riducibili a varianti del nome Shekhinah, che è biblicamente la Presenza attraverso la quale Dio si manifesta nel mondo, la sua Dimora. La Shekhinah assume, così, i nomi di Matrona (termine talmudico di origine aramaica che indicava le donne romane di nobile stirpe), di Israele, di Comunità di Israele, di Sion, di Sposa, di Regina, di Amata, talvolta di Sabato (femminile).
Fra Yesod e Shekhinah si consuma un coito cosmico-sefirotico che va considerato a vari livelli. Esso è quello puramente teogonico, che costituisce l’atto iniziale che ha dato origine al mondo e che, ripetendosi nel tempo, ne assicura la continuità. Ma è anche un coito mistico e storico, quando l’unione fra Shekhinah e Yesod viene a designare l’assistenza e la presenza divina nel popolo eletto. In questo senso la Qabbalah parla di “esilio della Shekhinah”, di una interruzione del rapporto sessuale con Dio, ogni volta che Israele si allontana dal suo Signore o quando la distruzione del Tempio ha tolto alla Shekhinah stessa la sua dimora terrena elettiva.
La fonte zoharica è esplicita sul gamos: “Abbiamo affermato che il Giusto, Saddiq è il nome dato alla sede del patto (organo sessuale), donde promanano fontane (metafora del liquido seminale): e, proprio come l’orifizio di una botte di vino (forse la chiusura di un otre), attraverso il quale si attinge il vino, è chiamato la “cima” o la “testa” della botte, così (l’organo genitale di Dio e del circonciso) è chiamato la testa del Giusto, nel momento in cui esso irrora il suo liquido nella femmina” (Zohar, Wa-jese; 162 a).

L’unione sessuale come reintegrazione in Dio e nell’unità androgina
Nella Qabbalah resta fondamentale la rappresentazione della corrispondenza speculare fra il mondo inferiore e quello superiore, fra il piano del Santo e il piano dell’Uomo, secondo una relazione che si configura anche come macro-microcosmo. In conseguenza il coito umano si proietta come riflesso del gamos divino e come ricongiunzione delle due sessualità scisse, la maschile e la femminile, nel mondo bisessuale originale.
La preghiera, il sacrificio, la vita virtuosa di Israele e in modo eminente l’unione matrimoniale sono gli atti umani che sollecitano la riunificazione dei due termini della sessualità divina e provocano il rinnovarsi del gamos. Questo si celebra, secondo un altro passo dello Zohar, in una mistica Camera nuziale che è nell’alto: “Poiché quando il popolo orante ha raggiunto le parole ‘lode al Supremo Dio’(nell’ultima parte delle Diciotto Benedizioni), e lo splendore bianco sosta … sulla sommità di quella Camera, lo Saddiq è svegliato per raggiungere il luogo appropriato per l’amore e per il godimento, e tutte le membra sono fatte un’unica cosa in un solo desiderio … Ed Egli le unifica nel silenzio della gioia perfetta e nei baci amorosi, e tutto è unito come nella Camera” (Zohar, Terumah, 128 b). Ne consegue che sussiste una certa “sofferenza” di Dio, nel senso che, separati i due aspetti della sessualità per colpa di Israele, Dio stesso è preso da interiore ardore e tende a realizzare la reintegrazione unitaria dei suoi due sessi: “poiché quando il Santo, benedetto Egli sia!, può essere chiamato Grande? Quando la Comunità di Israele (ossia la Shekhinah) è con lui … Apprendiamo da ciò che il Re (Dio), senza la Matrona (la parte femminile), non è né re, né grande, né è altamente lodato. E per ciò ogni maschio che sia senza la sua femmina, è privato di tutte le sue lodi e non è incluso nella categoria ‘uomo’, né è degno di essere benedetto” (Zohar, Wa-jqra, Sa).
Si passa, quindi, subito a quella essenziale omologia coito-umano=coito-divino, con il particolare che, almeno nei testi classici della Qabbalah teosofica, si fa esclusivamente riferimento all’unione matrimoniale, e non già a tipi di rapporto puramente erotici e libidici, che hanno rilievo mistico soltanto nel tantra di sinistro. A questa limitazione matrimoniale sottostà la stessa ideologia culturale dell’Ebraismo, che è struttura patriarcale-coltivatoria e dà rilievo unicamente alla funzione generazionale della sessualità, con la condanna di ogni altro uso del sesso (si ricordino i comandi biblici: “Crescete e moltiplicatevi” e “Non spargerai il tuo seme sopra la terra”).
L’unione matrimoniale è sacralizzata nel momento in cui essa diventa il rito ripetitore, e, insieme, sollecitatore, della zivugà qaddishà, dell’unione sacra. Essa sviluppa un’azione solidale e parallela nei due mondi: e, cioè, sul piano umano trasforma l’organo genitale maschile in uno Yesod divino e l’organo genitale femminile in una Shekhinah; e sul piano divino provoca l’unione del Re e della Matrona e, dal seno della ierogamia, il conseguente flusso delle anime nel mondo. Il coito matrimoniale diviene, in tal modo la sede delle grazie e delle misericordie e si costituisce in origine e flusso della storia concreta, attraverso le generazioni seminalmente determinate: “Quando la donna e l’uomo sono congiunti e sono chiamati con un solo nome, allora il favore celeste si forma sopra di loro” (Zohar, Lekh, Lekkà, 94a).
La dinamica, del resto, è l’attingimento di una categoria di bisessualità della quale già si è indicata la perfezione in senso qabbalistico: “La parola adam, uomo, implica maschio e femmina … Da ciò apprendiamo che ogni figura, che non comprenda elementi maschili e femminili non è una vera e propria figura … Dio non pone la sua dimora in un posto nel quale non siano uniti il maschio e la femmina, né vi sono benedizioni in altro posto che questo … L’uomo non è chiamato uomo fino a quando non sia unito con la femmina”(Zohar, Bereshit, 47a); “Quando un uomo può essere chiamato ‘uno’? Quando egli è maschio e femmina, ed è santificato con la santità santa ed è costituito sopra la santificazione” (Zohar, Qedoshim, 81a-b).

L’Adamo cosmico
Ritengo che questa ideologia di Adamo, così rigorosamente connessa alla esegesi segreta del testo biblico, sia primaria in rapporto alla seconda speculazione che si riferisce alla simbolizzazione cosmica del Protoantropo. Veramente in quest’ultima il qabbalismo teosofico ha recepito ampie influenze dagli universi culturali circostanti attraverso quella teosofia dell’Uomo Cosmico che ha i suoi celebri esempi nella mitologia iranica (Gayomart), nelle gnosi (Anthropos) e nel pensiero indiano (Manu). Residuano, tuttavia, caratteristiche essenziali della visione ebraica del mondo che pongono una netta cesura fra l’elaborazione qabbalistica e quelle delle altre aree culturali.
Anzitutto la teoria dell’Uomo Cosmico fa di esso una sorta di Prototipo extratemporale di tutte le concrete generazioni che entrano nella storia. E già il Talmud, poi rielaborato molte volte nei testi della Qabbalah, trae da questa tesi una conseguenza di alto valore etico: “L’uomo fu nel principio creato come individuo unico, perché si sappia che chiunque sopprima una sola esistenza è messo sotto imputazione dalla Scrittura come se avesse distrutto il mondo intero” (Talmud bab., Sanhedrin, 4,5). A mano a mano che la speculazione si allontana dal più antico schema di Adamo progenitore bisessuale, si assommano nella nuova figurazione nuovi valori comicizzanti, la cui origine ha forse radici nelle esegesi scritturale. Si comincia con la ricerca sull’origine della terra con la quale fu modellato il primo corpo. In Sanhedrin (38 a) l’argilla è fatta provenire da Babilonia per il tronco, dalla terra di Israele per la testa, dalle altre regioni del mondo per le membra. Nei Pirkè di rav Eliezer, il primo uomo è formato con la polvere dei lati dell’altare del Tempio, preesistente come modulo eterno presso Dio all’altare costruito da Salomone. Ma nello stesso testo, la polvere, secondo un evidente processo di cosmicizzazione di Adamo, proviene da tutte le direzioni della terra: “Egli (Iddio) prese a raccogliere la polvere del primo uomo dalle quattro direzioni del mondo: la polvere rossa, nera, bianca e verde. La polvere rossa è il sangue, la nera si riferisce alle interiora, la bianca si riferisce alle ossa, la verde al corpo”.
Adamo, così, si trasforma nella figura di un macroantropo del quale più volte vengono indicate le misure, che andrebbero dalla terra al firmamento (Talmud bab., Hag. 12a), o “da una parte del cosmo all’altra”,”dal nord al sud”, “dall’est all’ovest”, con una lunghezza di cento braccia (Avot di rav Nathan, varo 2,8; Bereshit rabbà, 8,1). Del resto questa sintesi dell’universo si ripete sostanzialmente in ogni uomo: “Un solo essere umano è eguale all’insieme della creazione” (Avot di rav Nathan, 31), dove risulta chiaro che nella tradizione ebraica lo schema relazionale micro/macrocosmo ha testimonianze molte antiche.
L’intera dottrina rapidamente passò alla gnosi orientale e all’ermetismo mistico, e forse la più remota testimonianza di questa migrazione è presente nel III Libro degli Oracoli Sibillini (24-26; II-I sec. A.C.) in cui il nome ADAM è spiegato come simbolo del cosmo, attraverso le lettere greche A (= anatole, oriente), D (dusis = occidente), A (arto = settentrione), M (mesembreia = meridione). Tale filone interpretativo, che qui non è possibile esaminare, appare una costante fino alle speculazioni alchimistiche di epoca tarda.
Nella stessa epoca affiora la diversa corrente che idealizza platonicamente Adamo, ne fa un modello ideale della creazione e la proiezione di Dio nell’ordine del reale. Nell’ebreo ellenizzato Filone è ormai chiara la distinzione fra un Adamo storico e terrestre e un Adamo originario e celeste, ghenikos anthropos contrapposto ad uranikos anthropos (Legum Allegoria, I, 12). E sono tutti motivi che confluiscono nella rappresentazione tipicamente qabbalistica di Adam Qadmon (= il Primo), detto anche, nello Zohar, Adam ‘Illae (= il più Alto). In parte della dottrina segreta vengono ampliati e ripetuti i temi relativi al corpo di Adamo come compositio elementorum, elementi che vengono fusi da Dio nel posto nel quale sorgerà la Casa di Santità, il Tempio di Gerusalemme: “I quattro venti dell’universo si unirono nel posto che fu in seguito chiamato la Casa della Santità, e questi quattro venti furono congiunti ai quattro elementi del mondo inferiore: fuoco, aria, terra e acqua. E, quando questi venti ed elementi furono mescolati, il Santo, benedetto Egli sia!, formò un corpo unico di meravigliose proporzioni” (Zohar, Waera, 23b-24); “L’Oriente si avvicinò all’Occidente, e l’Occidente si compiacque e disse alle altre direzioni: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, che abbracci, come noi, le quattro direzioni e l’altezza e la profondità” (ibidem, 34b).
Nella Qabbalah l’Adam Qadmon tende, per altro, a qualificarsi sempre più chiaramente come l’immagine stessa di Dio, la modalità espressa dell’inesprimibile, in corrispondenza dell’Adamo platonicizzato di Filone: ed è questo uno dei punti di contatto fra la Via della Creazione, che andiamo esaminando, e la Via del Trono o metodo estatico.

di Alfonso Maria Di Nola
Tratto dal Volume 1 – Gennaio 2011 –  di “Rebis” (L’Unità degli Opposti) TecnaEditrice

Per una Biblioteca del Sapere:
del mondo straordinario dell’umano pensiero, dell’alchimia, della mistica, della cabala, della magia, dei rosacroce, della massoneria.

 

La tesi dell’androginia di Adamo, quale Primo Uomo e modello primordiale di ogni creatura, appare già nel Talmud. Tale basilare teoria assume importanti conseguenze nelle speculazioni qabbalistiche: se il primo uomo bisessuale è ‘immagine e somiglianza’ di Dio, Dio stesso ha una sua significazione bisessuale”.

 

ANDROGINO
Androgino è un termine che viene talvolta considerato e usato come sinonimo di ermafrodito. Questa equivalenza tuttavia non è tecnicamente esatta, poiché ermafrodito è il termine tecnico che, in zoologia e in botanica, indica la presenza contemporanea in un individuo di apparati e caratteri sessuali maschili e femminili che produce comportamenti differenti a seconda delle specie in cui si manifesta e la modalità riproduttiva tipica delle specie interessate.
L’organizzazione riproduttiva delle lumache e delle ostriche, ad esempio, si definisce ermafroditismo e non androginia.
Il termine androgino invece non è usato in ambito scientifico, non fa in alcun modo riferimento alle modalità di riproduzione o all’orientamento sessuale (pertanto non è neanche sinonimo di bisessuale).
Viene invece usato per indicare in un individuo la coesistenza di aspetti esteriori, sembianze o comportamenti propri di entrambi i sessi.
Nella cultura europea la figura dell’androgino entra con la descrizione che ne fa Platone nel Simposio: è Aristofane, nel dialogo, che narra di questo terzo genere, non figlio del Sole come gli uomini, non figlio della Terra come le donne, ma figlio della Luna, che della natura di entrambi partecipa. Il mito racconta che la completezza autosufficiente rese gli umani androgini così arroganti da immaginare di dare la scalata all’Olimpo, e Zeus (non volendo distruggerli per non privare l’Olimpo dei loro sacrifici), separò ciascuno di loro in due metà, riducendoli a solo maschio e solo femmina.