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731. Italia senza Lavoro, Italia senza Dignità: giovani senza futuro

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L’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro (così recita l’Art. 1 della Costituzione italiana: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”), ma il problema principale di questo Paese è proprio il Lavoro che non viene “creato”. Il Lavoro non è il frutto di una pianticella che raccogli sul prato quando appare al mattino. Il Lavoro si “crea” mettendo insieme idee, persone e risorse, sulla base di un progetto (in piccolo o come piano industriale) di reciproco interesse (il massimo bene di tutti), ma anche regolamentandolo con giuste leggi che guardano agli interessi del datore di lavoro, del lavoratore e di chi usufruisce del frutto di tale lavoro: sistema che va salvaguardato dall’“educazione civica” (etica, morale, idealità) di tutti; compreso il sistema politico che dovrebbe basarsi su un modus operandi all’insegna dell’onestà, del buon senso, della solidarietà umana (i sistemi di leggi rigidi sono senza umanità, come quello della tassazione per le fasce medio basse), del vero senso del bene pubblico, dell’equanimità, ma soprattutto basarsi su una visione sociale dell’uguaglianza (“ideale etico-giuridico” e “etico politico”).
Non deve esistere un sistema di rapporti di reciprocità che funziona solo con una “parte” preponderante sulle altre, quella che pretende di raccogliere profitto (il datore di lavoro-imprenditore, società, azienda, ecc.) a danno di chi quel profitto glielo produce (il lavoratore-contribuente). Significherebbe, se tale sistema si imponesse, che l’Italia non sarebbe più una Repubblica fondata sul lavoro ma sul profitto di uno (datore di lavoro, imprenditore) a danno dei molti (i cittadini-contribuenti, le risorse umane, i prestatori d’opera).
Viviamo i tempi di un inaccettabile degrado morale, del diffondersi di un sistema corruttivo senza precedenti, in tutti coloro che gestiscono la cosa pubblica, un abbruttimento delle risposte comportamentali e comunicazionali dell’animale politico (homo politicus) che ostenta atti di accaparramento (delle cose pubbliche e private senza distinzione alcuna) forte della propria immunità (immeritata) nei confronti dei comuni cittadini.

L’Italia sta vivendo un’inimmaginabile condizione che è contro la propria storia, contro la natura caratteriale della nazione, contro quei sentimenti che l’hanno sempre distinta nel mondo: l’Italia si ritrova in tali acque melmose per colpa di un certo numero di italiani (politici, burocrati, imprenditori, economisti, finanzieri, banchieri, faccendieri, giornalisti, manager pubblici e privati, assessori, sindaci, responsabili di provincia e di regione, ecc.) egoisti, traditori, disposti a dar via il proprio Paese in nome di guadagni, privilegi e potere, gente senza scrupoli che recita la parte dei bravi italiani che vogliono il bene del popolo sovrano e di nascosto manovrano per estinguerla quella “sovranità popolare”, per rendere schiavi quei cittadini italiani che non hanno il privilegio di stare in una fascia economicamente protetta.

Il problema in Italia è proprio il Lavoro che non viene dato ai giovani per dare loro dignità, fiducia, speranza, una possibilità per il futuro. Il Lavoro continua ad essere tolto a chi ancora lo ha.
Non solo gli irresponsabili di tale disastro continuano a non fare nulla di serio e di concreto (basterebbero alcuni provvedimenti governativi da imporre, in modo fermo e risoluto, per emergenza nazionale, a tutta l’imprenditoria italiana, sgravandoli del cosiddetto costo del lavoro che tutti usano come mantra), senza pagarne le conseguenze, ma azionano misure che disastrano maggiormente la situazione generale. Continuano a salvare le banche anziché i cittadini-contribuenti-risparmiatori.
È una questione di sostituire la disonestà con l’onestà, la corruzione con la correttezza, l’ingiustizia con la giustizia, la stupidità con il buon senso, l’egoismo con l’altruismo, la disuguaglianza sociale con l’uguaglianza, l’immoralità con la moralità, la furberia con il senso profondo dell’equanimità.

Non basta che il presidente della Repubblica spenda parole facili, che non costano nulla, che ovviamente toccano la sensibilità di milioni di italiani in questo momento critico. Sergio Mattarella dice: “La crescita è debole e il lavoro problema numero uno”. Sono anni però che gli italiani, una gran parte, sanno benissimo, vivendolo sulla propria pelle, che non c’è affatto l’Italia felice raccontata dai politici bugiardi e dai premier malati di narcisismo, indifferenti alla sofferenza altrui. Gli italiani, l’Italia, hanno bisogno di fatti concreti non di belle parole, di spot governativi e di annunciazioni bombardati ogni giorno senza alcun rispetto delle evidenti condizioni in cui versano in molti.
I bei discorsi che non costano nulla, sul Lavoro, li fanno anche coloro che di tale tragedia sono responsabili, fanno finta di niente e se la cavano attribuendone la colpa agli errori del passato, uno sguardo nella nebbia che impedisce di vedere gli attori della colpa.

Senza vergogna l’illegittimo e irriverente ministro del lavoro (Giuliano Poletti, espressione della Lega Coop, scadente rappresentante di quella classe politica i cui membri “alcuni è meglio non averli tra i piedi”; parafrasando le sue stesse parole), dei governi, precedente e attuale, governi illegittimi, che offende l’Italia offendendo i giovani, specie quelli costretti, non per scelta ma per necessità, ad emigrare, e comunque i giovani non andrebbero offesi, sono l’enorme potenziale per le possibilità future del Paese. Un’anima indecente d’uomo che nemmeno si vergogna, dopo quello che ha detto, mostrando dispiacere attraverso un segno civile quali possono essere le dimissioni da ministro del Lavoro, che di lavoro non ne ha dato. Invece non si dimette e fa finta di pentirsi chiedendo inespressive, e non affatto sentite, scuse. L’incapace ministro non è in grado di capire che quello che dice, in veste autorevole, i bambini lo ascoltano, quei bambini che un giorno saranno i giovani che lui offende e poi saranno uomini disoccupati, vittime della sua irragionevolezza, della sua incapacità, della sua immoralità di oggi. Come tutti gli altri Poletti pronuncia parole ad effetto: “La lotta alla povertà è una priorità assoluta”. Ma dove è stato in questi tre anni di governo? Non si era accorto tre anni fa della povertà incombente in Italia? E poi se non riesce a dare lavoro ai giovani e ai cinquantenni che lo perdono come pensa di combattere la povertà? Con i soliti offensivi, e mai certi, bonus? Pensa (in malafede), infatti, di risolvere la povertà con l’ampliamento della SIA (Sostegno Inclusione Attiva)? Vanno sempre nella direzione sbagliata (volutamente). Non pensano di aumentare gli “occupati” ma di aumentare i “poveri” aumentando il denaro del Fondo nazionale per la povertà. Questa non è una mentalità del fare per risolvere, ma di tamponare per sfruttare la condizione di povertà e di sudditanza nei confronti dei politici.
L’Italia è vittima di uomini, di governi, di una classe dirigente, di irresponsabili.

Se il Lavoro è mancante o precario viene meno la dignità legata al lavoro: i bei discorsi altisonanti o i decreti illusori sfornati, dalle formali icone istituzionali di turno, non costano nulla e i disoccupati continuano a restare senza lavoro e senza dignità. La cosa vomitevole è che questi discorsi, con belle e giuste parole, o provvedimenti palliativi li fanno proprio quelli che della mancanza di lavoro e della precarietà sono i responsabili, e continuano ad esserlo ancor di più, parlando e facendo finta di fare qualcosa di rilevante senza fare nulla di concreto. Non c’è alcun valore nella dignità regalata a parole senza un lavoro per il fare.

Un fatto è certo: prevale la disoccupazione che aumenta sempre di più e il poco lavoro che viene distribuito (come una specie di premio anziché come a un diritto) è precario e sottopagato. Hanno ricreato la formula “padrone-suddito o schiavo” e chi lo ha fatto vigliaccamente non ha il coraggio di ammetterlo, promuovendo ingannevolmente formule-maschere come il Jobs Act.
Da molte generazioni hanno tolto il futuro ai giovani (moltissimi quarantenni di oggi, ormai meno giovani, con tanto di laurea e master, ancora cercano lavoro e molti di loro non hanno la possibilità di andare all’estero): gli hanno cancellato la possibilità di essere protagonisti della vita sociale. Molti ex giovani disoccupati cominciano ad essere gli odierni poveri senza speranza. L’antico divario tra ricco e povero, che sembrava superato da un pezzo, è stato ripristinato come fosse una cosa normale.
Come possono dei diritti che sono stati riconosciuti universalmente essere nuovamente sottratti, considerandoli dei privilegi? I diritti non si conquistano ma si riconoscono: sono sempre esistiti, ma non venivano riconosciuti e in molti, anzi moltissimi, hanno sparso il loro sangue per questo riconoscimento. In una comunità di barbari ci si combatte per conquistare un diritto e farlo accettare all’altra fazione, ma in una vera civiltà si usa l’intelligenza e il sentimento dell’amore per riconoscere ciò che è giusto per tutti in modo equanime.
Viviamo infatti in una società senza amore, senza saggezza, senza verità.
Lo dimostra benissimo l’ulteriore salvataggio banche (Molte dei Paschi e non solo) mentre i cittadini vengono lasciati nelle difficoltà, senza lavoro, senza dignità.
Ma che Paese è mai diventato questo? Ma di che pasta sono fatti i responsabili (la classe dirigente) di questa Italia sempre più in caduta libera?
Chi ha frenato, se non bloccate, le richieste d’indagine parlamentare depositate nel 2013 su Monte dei Paschi, Etruria e C.? Chi ha governato dal 2013 al 2016, in questi ultimi tre anni? Dopo tutto quello che è accaduto l’indagine è ferma ancora alla fase “conoscitiva”. Ma davvero ci vogliono far credere che sia difficile rintracciare, identificare i veri responsabili? Basta la buona volontà degli uomini onesti per trovare e aprire gli armadi con tutti gli scheletri dentro e il disegno occulto si rivela da , anche se nel dicembre 2015 Renzi ha dichiarato: “Noi non abbiamo scheletri nell’armadio”. Chissà perché un premier si è sentito in dovere di giustificarsi e di confessare così senza accorgersene. Non è sufficiente, comunque, dichiarare di non avere scheletri nell’armadio per non averne davvero.

Si evince, da ogni azione di governo fatta da Renzi prima, e da Gentiloni adesso (anche se si tratta di un proseguo d’intenti mascherato maldestramente), il tentativo di proteggere le “cose non corrette” commesse.
Sembra che nessuno voglia scoprire la verità, sempre a proposito delle banche salvate, azioni che hanno causato conseguenze irreparabili (al momento), di cui nessuno che paga le colpe e i danni. Sembra proprio, per chi sa guardare, che i politici e le authority abbiano tutti paura di approfondire veramente.

I disastri dei manager, incapaci o corrotti, si aggravano ancor di più con una vigilanza distratta, incapace o corrotta. È sbagliato per principio preferire la tutela delle banche (la loro stabilità finanziaria) a quella dei cittadini-contribuenti-risparmiatori.

Renzi non avrebbe dovuto governare per tre anni, vista la sua incapacità (e del suo governo) di riuscire a far passare le ragioni dell’Italia a Bruxelles.
L’illegittimo premier Renzi non avrebbe dovuto perdere tempo con la riforma costituzionale che voleva far passare a tutti i costi e non avrebbe dovuto star dietro a Jp Morgan (divoratore, con lasciapassare governativo italiano, di gustosi pezzi d’Italia … vedi adesso anche il 2% in Telecom Italia), mentre faceva braccio di ferro burlesco col ministro Padoan, sul cosa e sul come.
Egli ha asfissiato gli italiani, prima, durante e dopo la campagna referendaria (sulla illegittima riforma costituzionale), sull’immaginario abbassamento delle tasse e di essere stato l’unico premier ad averlo fatto in tal modo (invisibilmente): ancora una volta i fatti, e non le fantasie annunciate, lo smentiscono perché nel 2017 gli italiani si ritroveranno un tragico aumento su tutto di 771 euro per famiglia media (carburante, Rc auto, treni, bollette, tasse sui rifiuti, acqua, servizi postali). In tre anni di governo, spendendo 30 miliardi, ha dato agli italiani una crescita zero, zero posti di lavoro e tanta povertà in aumento, una inammissibile stangata. A se stesso, alla propria famiglia e alla sua cerchia stretta di amici, oltre a coloro che lo hanno favorito (“io do una cosa a te e tu dai una cosa a me”) ha consegnato certamente una nuova era economica: gli italiani, la maggior parte, ne hanno pagato il prezzo.

Se l’Italia va a fondo con il problema bancario, Renzi ne è pienamente responsabile e sarebbe da vero criminale riprendere in mano la guida del Paese (cioè il potere che brama tanto). Se veramente egli avesse rispetto di tutti gli italiani, come dice a parole (piuttosto inaffidabili come ha ampiamente dimostrato) dovrebbe lasciare la politica per sempre, dopo i molti danni fatti ed evitare di affondarla la Nave-Italia.
Gli stipendi che lui impropriamente (visto che non era stato eletto) ha accumulato insieme a molto altro ancora, ma che moltissimi quarantenni non hanno visto in sogno neanche metà della metà, perché un lavoro, anche modesto, ancora non lo hanno, grazie al suo aggravio nei tre anni di governo.

Il neo disoccupato Matteo Renzi, ex premier illegittimo, ha scritto l’11 dicembre 2016, dopo il referendum e le dimissioni: “Torno semplice cittadino. Non ho paracadute. Non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio, non ho l’immunità. Riparto da capo, come è giusto che sia. La politica per me è servire il Paese, non servirsene”. La sua vita non è certamente il suo messaggio politico (è la rappresentazione dell’incoerenza tra pensiero, parola e azione).
Questa autopresentazione di se stesso, marchiata del suo male narcisistico, è un affronto a quell’Italia che in tre anni ha notevolmente impoverita, dal momento che ha fatto vacanze sbruffone (spendendo almeno dai 15 ai 20.000 euro – lui o chi per lui – un lusso sfrenato senza ritegno) alla faccia degli italiani a cui non ha risolto alcun problema e a quelli che i problemi li ha creati senza evitarli. È una vergogna che si paragoni ai veri disoccupati impossibilitati a fare qualsiasi tipo di vacanza. Dopo aver disastrato il Paese si è goduta una vacanza circondato da una corte di servi, espressione della peggiore categoria di accaparattori: vive e si circonda di menzogna.

Gli italiani, con il NO al referendum costituzionale, glielo hanno detto chiaramente cosa pensano e cosa vogliono.

La Costituzione italiana ha superato un bieco attacco da parte di forze disgregative al servizio di un potere oligarchico sovranazionale, grazie alla presa di coscienza della maggior parte degli italiani, chiamati a pronunciarsi con il referendum del 4 dicembre 2016, che hanno detto NO alla ignobile riforma (Renzi-Boschi-Verdini) che voleva insidiare la nostra democrazia.
La Costituzione è salva, è attuale, più che attuale, è valida, più valida di prima. Essa deve essere solo applicata veramente e completamente come non è mai stato fatto finora. La Costituzione va ancora difesa, ogni giorno, perché gli attacchi non sono ancora finiti.
Le forze, insidianti e insedianti le Istituzioni italiane, non essendo riuscite nell’intento di deformare la Costituzione, per renderla impotente, ledere la nostra democrazia e avviare un processo di autoritarismo, stanno utilizzando la Giustizia, il Codice Civile, per deformare e restringere i confini della tutela dei cittadini (del “popolo sovrano”).
Fa ben comprendere, cosa sta accadendo e cosa stanno cercando di fare, l’osservazione senza pregiudizi dell’Italia che tutti possono tranquillamente osservare: si può vedere un’Italia ridotta ad un cumulo di rovine, sul piano sociale, politico ed economico-finanziario. E i colpevoli di tale disastro? Nascosti in una deplorevole e vigliacca invisibilità.
Si comprende che c’è un segreto intento che si cerca di attuare indebolendo i centri nevralgici della democrazia.

Infatti, quanto ha sentenziato (con la sentenza 25201) la Corte di Cassazione il 7 dicembre 2016 (tre giorni dopo la vittoria del NO al referendum) è un messaggio minaccioso agli italiani: la liceità del licenziamento per opportunità di profitto è lecita. Zitti e mosca.

Chi è che licenzia e può licenziare? Ovviamente un datore di lavoro (imprenditore, commerciante, società, azienda, ecc.).

Una sentenza, questa, che infanga e sbilancia la “Bilancia della Giustizia”, perché tutela solo uno dei contraenti: protegge i pochi (chi è forte) datori di lavoro rispetto alla massa dei lavoratori; getta nell’incertezza e nell’ingiustizia i molti e deboli lavoratori. Giustizia oligarchica è fatta.

L’imprenditore-azienda-datore di lavoro può licenziare il Lavoratore in nome del profitto: ma è davvero lecita tale ignobile motivazione? Ha sentenziato la Sezione Lavoro, della Cassazione, presieduta da Vincenzo Di Cerbo.

Il Codice Civile si rifà, o si dovrebbe rifare, alla Costituzione, ma anche alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Quest’ultima recita, con l’Art. 30: “Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”.

La prassi nazionale dell’Italia è, infatti, vincolata dal Codice Civile e dalla Costituzione.

Il Codice Civile intanto conferisce ai contratti di Lavoro (Art. 1372): “Efficacia del contratto – Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.

La Costituzione, nel suo Art. 1, offre l’indirizzo cardine del nostro ordinamento democratico, articolo che riproponiamo: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”).
Anche l’Art. 41 della Costituzione, che va considerato in tutta la sua interezza per giudicare correttamente, recita: “L’iniziativa economica privata è libera”, ma nel comma successivo evidenzia: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Se il lavoro dà dignità al lavoratore, togliendoglielo (il Lavoro) non gli sottrai la dignità?

Questa sentenza disumanizza il “Mercato del Lavoro”: non fa un “atto di giustizia” ma impone un “atto tirannico”. Questa sentenza, ordinata, ha avuto lo scopo di rendere più difficile, d’ora in poi, la difesa dei cittadini-lavoratori-contribuenti licenziati illegittimamente.

I cittadini italiani hanno affermato la sovranità della Costituzione e così il “potere nascosto” la caccia via, mediante l’abuso del Codice Civile, dai luoghi di lavoro che danno dignità alle persone. I servi (i politici) del “potere nascosto” hanno cominciato concretamente nel 2012, alla sordina, con l’introduzione del “pareggio di bilancio” nella Costituzione (nell’Art. 81), perché impedisce-ostacola ogni tipo di “politica di tutela” e di “garanzia del Lavoro”, ma anche di altri diritti.
La politica degli ultimi vent’anni ha solo fatto crescere le disuguaglianze, danneggiando l’economia e regalando forzatamente disperazione e rabbia. Ha creato una nuova classe di poveri: quella dei “Lavoratori poveri”, cioè di coloro che nonostante lavorino non riescono ad arrivare a fine mese dignitosamente.

La politica è diventata ormai, da moltissimo tempo, l’arte di far finta di cambiare molte delle cose che vanno mantenendo, invece, esattamente lo status quo che fa molto comodo alla Casta. Di tanto in tanto, infatti, arriva un nuovo personaggio, o un nuovo gruppo, che con la “prestidigitazione delle parole” fa intravedere un cambiamento, una rivoluzione (anche pacifica, solo politica) dello status quo, ma è sempre una finta, un’induzione suggestiva che attecchisce per il grado di bisogno che c’è nei cittadini in grandi difficoltà. Così, facendo finta di stravolgere la situazione critica la si mantiene, rafforzando invece gli “invisibili equilibri criminali” utilizzati dalla Casta. Si smantellano le ultime tutele rimaste rendendole anche colpevoli della critica situazione generale (una manipolazione dell’opinione pubblica): un fatto necessario per un miglioramento futuro che non avverrà mai, con le motivazioni segrete che vivono negli oscuri cuori dei politici al servizio delle forze oligarchiche sovranazionali.

Il “potere nascosto” (il potere oligarchico sovranazionale) cerca di asservire i poteri istituzionali italiani (grazie al tradimento di certi uomini) per ottenere, con ogni mezzo, apparentemente legale (pur utilizzando l’abuso e la deformazione della Giustizia) il controllo dell’Italia secondo gli intenti oligarchici programmati.
Tutto ciò è un’evidenzia agli occhi di chiunque, se non si fa finta di non vedere, di non capire. Per interesse egoistico molti fanno finta di non vedere, di non capire. L’Italia, avvelenata dalla corruzione, dal degrado morale, dall’egoismo dilagante, dalla disoccupazione e dalla povertà che aumentano incredibilmente, rischia di affondare totalmente. L’Italia che ha votato No al referendum costituzionale può ancora salvare il Paese.

La consapevolezza, di quelli che sono i diritti e di quelli che sono i doveri, dà il coraggio e la fermezza di far sentire la propria voce: gridare che i diritti non sono un privilegio è il modo con cui ripartire per l’inizio di una rivoluzione pacifica, rivoluzione che dovrebbe far comprendere che “il Lavoro è il battito cardiaco della società umana”: tutta la società sta rischiando un infarto senza soluzione.
Una “politica sul Lavoro” che non prende in considerazione una “generazione” e la cancella dalle possibilità dell’orizzonte degli eventi sociali è una inspiegabile politica diabolica, una politica del Male: un guasto antropologico. Infatti aver legalizzato i voucher, che certificano l’esistenza e l’avallo della precarietà, è da politici diabolici, da politici del Male.

Le forze economiche, sociali e politiche dovrebbero essere forze intelligenti non demenziali: diventano demenziali per eccesso di egoismo; è il difetto-malanno della Casta che pensa davvero di non dover subire mai un effetto domino delle efferate azioni che scagliano contro il popolo sovrano.

Hanno sbilanciato il sistema sociale. Ecco perché i consumi, di cui si lamentano, sono diminuiti paurosamente. Chi lavora ha salari insufficienti a vivere dignitosamente, per non parlare di una gran parte dei pensionati medio-bassi. Continuando così non può esserci alcuna ripresa e nessun ritorno nel novero dei Paesi civili.

La cultura demenziale diffusa tra gli imprenditori e commercianti, quella cioè di “volere, pretendere, a tutti i costi dei profitti” che ovviamente non possono avere grazie a loro stessi, al loro titanico egoismo e mancata lungimiranza: loro è la colpa se la ripresa economica del Paese non c’è stata.
Pagare poco i lavoratori, ridurre il personale, licenziare, imbarbarire le vendite, ridurre la qualità dei servizi, taroccare spesso i saldi, trasformare in un arrembaggio ciò che un tempo era la gentile strategia di mercato, bandire etica e moralità, a lungo andare non può che gravare sui consumi e quindi sui profitti.
I lavoratori sono anch’essi consumatori: sono i consumatori. Come si fa a non rendersene conto, a non esserne consapevoli sufficientemente per comprendere di dover cambiare strada?
I lavoratori se però guadagnano poco non possono consumare come vorrebbe il Capitalismo (non si può “avere la Botte piena e la moglie ubriaca”, ovvero “volere tutto senza rinunciare a nulla”).
Anche i disoccupati e i precari sono consumatori (potenziali), ma senza salari sufficienti come fanno a consumare e aiutare gli imprenditori, i commercianti e l’economia generale? Anche volendo ma come possono fare?
La ragionevolezza direbbe, se fosse presente tra gli egoisti della Casta, di puntare su quella larga fascia di popolazione costituita da “lavoratori malpagati, precari, disoccupati, pagati in nero, pensionati al limite, vecchi e nuovi poveri”. Chi sono coloro che con meno egoismo potrebbero risolvere il “Problema” e far ripartire il “sistema economico” con gli equilibri dell’equanimità e dell’uguaglianza?
Serve un egoismo che fa bene a tutti e che si chiama altruistico amore.

Per essere davvero “Avanti” bisogna, a volte, avere il coraggio di fare qualche passo indietro: ripristinare l’Articolo 18, migliorandolo; cancellare il Jobs Act e gli inaccettabili voucher lavoro; far applicare veramente tutti gli Articoli della Costituzione; rendere concreto l’Art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; realizzare e far applicare la Carta dei Diritti del Lavoratore; ripensare, elaborare ed applicare un “Qualcosa” che veda il “mondo del Lavoro”, il cosiddetto “Mercato del Lavoro” sotto una luce nuova, più civile, più giusta, non l’attuale condizionante visione dell’emergenza, di una crisi che sembra non voler cessare (gli uomini al potere non la fanno cessare) per convenienza della Casta. E mettere al centro del sistema economico-finanziario una chiave di giustizia sociale come lo è stata la scala mobile che ha funzionato perfettamente: una chiave non egoistica in un vero ordine democratico.


Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale, e la sua partecipazione, adeguata negli organismi economici, sociali e politici, è condizione del nuovo carattere democratico”.

Giorgio La Pira
(seduta del 16 ottobre 1946)

 

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