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788. Alchimia Eretica e l’Ouroburo Organico di Mike Plato

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Introduciamo, questo ulteriore lavoro di Mike Plato, con i nostri complimenti nei suoi confronti, autore (che non conosciamo personalmente e direttamente se non attraverso i suoi lavori) che consideriamo studioso serio, capace e coraggioso, di cui si evince luminosamente che la sua vita è il suo messaggio e la via intrapresa.
Ne presentiamo, ovviamente, degli stralci per incuriosire i lettori e invitarli alla sua piena lettura nonché a un approfondimento di merito di tali tematiche.
Lavoro tratto dalla consigliabile Rivista mensile “Fenix” n. 103 e n. 104, maggio e giugno 2017, diretta da Adriano Forgione.

In Divina Amicizia … il Centro Paradesha

 

*****

TRADIZIONE ALCHEMICA

L’Alchimia Eretica e l’Ouroburo Organico
Prima Parte (Fenix n.103)

Con questo numero parte un excursus inedito nella controversa e scomoda tradizione dell’alchimia organica o tantrica, nota troppo riduttivamente come “spermatofagia”, per come si è sviluppata tanto in occidente, a partire dagli gnostici del periodo tardo-antico quanto in oriente, passando per l’alchimia italica del principe di San Severo, giungendo fino alla Magia Sexualis di Randolph, Crowley, Kremmerz e Samael Aun Weor. Questa antica pratica era un sacramento?

E proprio l’Oriente indiano sarà oggetto di analisi in funzione della tradizione alchemica dei fluidi organici.


Primi, apparentemente, furono gli gnostici cristiani. L’eresiologo Epifanio, intorno al 375 d.C. scrive un voluminoso “Panarion”, che si inserisce nella tradizione eresiologia inaugurata da Giustino, e dedicato a tutte le eresie gnostiche, circa un’ottantina. Tra queste, ai fini della nostra analisi, conta citarne una, quella del capitolo 26, con cui Epifano intende denunciare certe strane pratiche rituali degli gnostici Borboriti o Fibioniti, da lui definiti con disprezzo “frutti di letamaio”. Phibyon, nativo della Cirenaica, era probabilmente un diacono della chiesa locale espulso per le sue concezioni irriverenti e blasfeme nei riguardi della divinità. Sembra che egli sostenesse che l’essenza del divino (e quindi anche del Cristo), ovvero la Luce cosmica che è precipitata dall’alto dei cieli nelle tenebre del mondo materiale, si trovasse racchiusa nello sperma maschile, nel sangue mestruale e nelle acque femminili in cui sta immerso il feto. Epifano riporta: “A queste riunioni [dei Fibioniti] venivano serviti pasti sontuosi con carni e vino anche se essi sono poveri. Quando mangiano insieme in tal modo e ricolmano per così dire le loro vene, volgono il sovrappiù d’energia in eccitamento. (…) Gli sciagurati si accoppiano tra loro e (…) dopo essersi abbandonati alla fornicazione, innalzano al cielo le loro bestemmie. L’uomo e la donna prendono nelle loro mani il liquido eiaculato dall’uomo, si alzano in piedi e rivolti al cielo (…) pregano al modo di coloro che vengono chiamati Stratiotikoi o Gnostikoi offrendo al Padre di Tutto ciò che hanno nelle loro mani. Dicono: “Ti offriamo questo dono, il corpo di Cristo”. Mangiano quindi la loro stessa ignominia, dicendo: “questo è il corpo di Cristo e questa è la Pasqua per cui i nostri corpi soffrono e sono costretti a confessare la sofferenza di Cristo”. Lo stesso avviene con la donna quando accade ch’essa abbia il flusso di sangue, raccolgono il sangue mestruale della sua impurità e lo mangiano insieme dicendo: “Questo è il sangue di Cristo” … Soddisfano dunque la loro libidine, ma raccolgono in se stessi il seme della loro impurità, non eiaculando per procreare ma rimangiando essi stessi quella sostanza oscena”.
Epifanio testimonia dei Borboriti o Fibioniti che essi considerino le parole di Cristo “mangiate la mia carne e bevete il mio sangue”, peraltro espressione del mistero del pane e del vino di Melkizedek, riferite al seme maschile e al mestruo femminile. La mia opinione è che, essendo Epifanio un eresiologo intento a demolire le dottrine degli gnostici, le sue testimonianze siano una mescolanza di fatti reali da una parte, e di fatti enfatizzati, sminuiti o falsati dall’altra. Di certo, il sacramento magico-sessuale è un fatto reale che non poteva che far inorridire un uomo come Epifanio, legato com’era al dogma e ignaro di cose iniziatiche. Ci trovavamo in periodo di piena caccia all’eresia gnostica, alcuni decenni dopo il Concilio di Nicea che aveva legalizzato il dogma della Chiesa di Roma, cosicché i detentori del dogma vincente erano impegnati alacremente a spazzare via dalla storia chi poteva offrire un senso più profondo e salvifico alle scritture.

Alchimia Cristica?
La cosa interessante è che Giovanni 6 ci dice che, allorché Gesù rivela a Cafarnao il mistero della carne-cibo e del sangue-bevanda, definendoli “pane che discende dal cielo e offre la vita perenne”, i discepoli si dichiarino assolutamente sconvolti. Infatti è scritto: “molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”. Epifanio cita gli gnostici che interpretano lo sbigottimento e il turbamento dei discepoli (in tale passo) come riferito proprio a quelle che lui definisce oscenità. Ora, facciamo un’ipotesi di lavoro, ammettendo che un Cristo proprio di quelle cose parlasse, ma facendo una premessa d’obbligo: il testo scritto è una cosa, la tradizione orale è un’altra. Il testo scritto parla a tutti e non può manifestare direttamente certe verità. Lo fa, ma in chiave velata. Peraltro lo stesso Cristo dichiara che “a quelli di fuori parlo per parabole e a voi offro i misteri”. Noi qui abbiamo già un passaggio interpretativo, in quanto Cristo fa un’esegesi del pane e del vino eucaristico di Melkizedek come sua carne da mangiare e suo sangue da bere. Ma oltre questo, Giovanni non può dire. Si suppone, cioè, che Cristo, in quegli istanti, sia andato ben oltre quelle parole e che abbia “svelato il mistero agli interni”. Ammettendo che il mistero del pane-carne e del vino-sangue sia quello riportato da Epifano, ovvero riferentesi al seme maschile e al mestruo femminile, non è tanto incoerente ciò che accade successivamente, perché ciò che accade è davvero strano, e non può essere assolutamente spiegabile solo da quelle parole in codice espresse in termini di mistero. Vediamolo insieme. Il discorso di “molti dei suoi discepoli”, non esattamente limitato ai 12, suona come: “questa cosa che ci dici, è assurda, chi può accettarla? Non avremmo mai pensato. E come poi pretendi che a nostra volta lo insegniamo ad altri? Non ne abbiamo mai sentito parlare, sembra assurdo”.
Ed è qui che si innesca una sequenza di fatti che le semplici parole letterali di Giovanni 6 farebbero apparire alquanto assurde ed ingiustificate. Infatti, Gesù afferma: “questo discorso che vi ho fatto, vi scandalizza?”. Cristo parla di scandalo da parte dei discepoli (un gruppo allargato non limitato ai dodici), i quali si mostrano scandalizzati evidentemente dal reale discorso di Cristo e non da ciò che è semplicemente riportato nel testo evangelico. Cristo continua e dice: “le parole che vi ho detto sono verità, ma alcuni di voi non sono disposti a credere”. Credere a cosa? Al semplice mangiare la Sua carne o alla reale operatività alchemica della cena mistica? E conclude dicendo: “nessuno può venire a me se il Padre non glielo concede”. Come a dire: “il mio discorso sembrerebbe talmente assurdo e inaccettabile da una mente razionale che solo se il Padre vi illumina e vi ha predestinati lo accettereste”. Ed è qui l’apoteosi dell’assurdo, se ci dovessimo limitare alla letteralità del comandamento di Cristo: “da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andarono più con lui”. Ovvero, lo abbandonarono per lo scandalo, non lo seguono più, non riescono ad accettare quell’insegnamento. Qualunque cosa sia, quelli che lo seguivano da tempo decidono di abbandonare il gruppo perché scandalizzati: “questo discorso che vi ho fatto, vi scandalizza?”. La lettera di Giovanni 6 non è scandalosa, è semplicemente criptica, e ciò che è criptico non può scandalizzare, dato che è incomprensibile. Ma ciò che in realtà Cristo insegna li turba, li scandalizza. Quello che riporta Epifano a proposito dei Fibioniti gnostici potrebbe essere in grado di scatenare un simile scandalo e un abbandono da parte di diversi discepoli? La risposta non può che essere affermativa. A quel punto, Gesù chiede ai dodici se vogliono partecipare all’ammutinamento, e la risposta è negativa. Pietro parla per i dodici e afferma:”Signore, da chi andremo? Tu hai parole di verità … Noi abbiamo creduto …”. Quindi, i dodici finiscono per accettare quell’insegnamento  e altri no. Ciò non è affatto riportato negli altri tre vangeli, alquanto scarni circa i dettagli della Cena pre-crocifissione. Cristo ha parlato del mangiare-bere ciò che viene da dentro, che è sua carne e suo sangue, cioè sue modalità di manifestazione interiori. Gesù, in Luca 11,41, pare offrire un addentellato all’intera questione: “Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, tutto per voi sarà mondo”. Dare in elemosina cosa e a chi? Il testo non lo dice, ma non lo dice affinché  chi può intendere intenda: “devi assumere ciò che viene dall’interno e darlo in elemosina a Lui stesso, l’uomo interiore, al Cristo crocifisso nel soma-psiche”. Ci troviamo innanzi ad una dinamica uroborica (serpente che divora se stesso) di alessandrina memoria, una dinamica alchemica per cui si dà in elemosina al proprio Osiride interiore per farlo rinascere, e gli si ritorna ciò che da Lui si manifesta nel nostro corpo. Epifano testimonia che, secondo gli gnostici, il salmo I: “sarà come un albero che darà frutti a suo tempo … e il suo fogliame non cadrà”, allude alla pratica in oggetto, poiché i frutti dell’albero della vita sarebbero il seme e il mestruo (mercurio e zolfo degli alchimisti), ed essi non cadono a terra, ovvero non vengono sprecati perché riassunti. E ancora, Epifano cita Proverbi 5:15 ove è detto “bevi l’acqua della tua cisterna”, come riferita alla pratica. E poi afferma: “l’anima è la potenza che è nel sangue delle mestruazioni e nel seme, che raccogliamo e riassumiamo”. Inoltre testimonia qualcosa che ci tornerà utile nell’analizzare l’alchimia della luce Manichea: “quanto alle carni, alle verdure, al pane e qualsiasi cosa mangiamo, facciamo un favore alle creature, perché raccogliamo da tutte l’anima e la trasferiamo nelle regioni celesti”. Infine, Epifano scrive: “Se uno è nella gnosi, e si ritrae dal mondo attraverso il seme e il sangue, quello non è più trattenuto quaggiù, ma si eleva al di sopra degli Arconti”. Già i Nicolaiti avevano proclamato: “Tramite i fluidi del potere generatore (gone) ed il sangue mestruale, noi raccogliamo dai corpi la donami di Sophia Prounikos” (Panarion 25, 3.2). I Fibioniti vanno oltre: chiamavano psyche il potere che sta nelle mestruazioni e nello sperma, da loro raccolti e mangiati. Qualsiasi cosa noi mangiamo, noi avvantaggiamo la creatura perché da ogni cosa raccogliamo la psyche. La procreazione sarebbe un errore ed un crimine: rinnova la divisione della psyche e ne prolunga il soggiorno nel mondo. Il fine ultimo dei riti sessuali dei Fibioniti era quello d’accelerare la reintegrazione dello stadio precosmogonico, ovvero la fine del mondo, e avvicinarsi a Dio attraverso una progressiva “spermatizzazione”. Secondo simili sistemi, l’unità spirituale primordiale può ricostituirsi tramite l’erotica ed il consumo del seme e del sangue mestruale: le secrezioni genitali rappresentano i due modi divini d’essere – il dio o la dea – per cui il loro consumo rituale accresce ed accelera la santificazione dei celebranti. Nella prima Lettera di Giovanni (3, 9) è detto ad litteram: “Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché lo sperma divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio”. Secondo la dottrina stoica del logos spermatikos concepito come pneuma igneo, il seme umano contiene un pneuma grazie al quale l’anima si forma nell’embrione. La teoria stoica era la logica conseguenza della collocazione, operata da Alcmeone di Crotone, del seme nel cervello, cioè nello stesso organo in cui si supponeva risiedere l’anima, la psiche. Per Platone la psiche è seme, sperma (Timeo 73c), o meglio è nel seme” (91°), e questo seme è racchiuso nella testa e nel midollo (73 e segg.). Esso alita attraverso gli organi genitali (91b). che il seme stesso aliti od abbia un alito (pneuma), che la procreazione stessa sia un alitare o soffiare, è molto esplicito in Aristotele. (…)

L’alchimia spermo-gnostica dei Manichei
(…) Il fondamento ideologico di tutte queste dottrine è che l’elemento più elevato e prezioso del corpo umano sia il fuoco: l’uomo in quanto microcosmo è formato, come l’universo, di quattro elementi, la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco (in ordine di importanza). L’Anima, la psiche, è un soffio infuocato, di conseguenza anche lo sperma è una sostanza ignea, considerato come lo pneuma di cui è il ricettacolo. Il seme infatti non equivale sic et simpliciter alla Luce, esso non è il principio luminoso, bensì è la materia che lo contiene e ne è il veicolo. In Contro i Manichei, Agostino d’Ippona, fa un’ipotesi alquanto forte. Dopo aver descritto la regola dei “tre sigilli”, cui sono sottoposti gli Eletti manichei (astensione dai lavori agricoli, dai cibi carnei e dai rapporti sessuali), osserva che, se da una parte agli Eletti è proibito il sesso, dall’altra la dottrina di Mani insegna che se “con il cibo dei santi l’anima si sprigiona dai semi … perché non lo si crederebbe a proposito del seme degli animali?”. Se è impura la carne di un animale, perché questo animale è morto (quindi senza anima) invece, trattandosi del seme di un essere animato vivo, seme che racchiude di sostanza divina (proprio questa anima l’essere generato), allora nulla impedirebbe che anch’esso venga sottoposto a un processo di purificazione affinché la particella luminosa e divina in esso contenuta sia liberata dai lacci della materia. In una simile prospettiva cosmo-antropologica, sarebbero perciò gli stessi Eletti manichei che tra loro, e segretamente, si dedicherebbero a questa purificazione dello sperma umano. Reingerendo lo sperma, si attiverebbe infatti nell’Eletto un processo catartico, che in termini alchemici potrebbe definirsi di “coobazione” (o uroborico) in cui la Luna racchiusa nel seme verrebbe, di volta in volta, purificata dalle impurità derivanti della commistione con la materia corporale, venendo, cioè, separata dal “miscuglio” materiale. Questa ipotesi sarebbe avvalorata in alcune (rare) accuse di libertinismo e immoralità ai Manichei da antagonisti e avversari. Tipica in questo senso è la testimonianza del Ginza degli gnostici mandei, che definivano i Manichei “Zandiqi” e “Mardmani”, accusati di mescolare lo sperma con vino sacramentale situando il loro atto in antitesi al rito liturgico mandaico: “essi infatti seminano seme nel nascondimento e affidano la loro parte alla tenebra. Uomini e donne giacciono insieme, raccolgono il seme, lo mettono nel vino e lo danno da bere … e dicono che è puro. Invocano il vento, il fuoco e l’acqua …”. I riti di questi presunti Manichei si presentano in tutta la loro dimensione trasgressiva e anticosmica, volta ad annientare la legge del demiurgo, rappresentata dall’ordine mondano. Con questi riti alchemico-tantrici, eros e ascetismo si alleano nella ricerca del medesimo fine ontologico: il riscatto dal piano della generazione corporea attraverso la stessa energia che fonda il ciclo dell’esistenza. L’idea di purificazione, di rigenerazione, di palingenesi, insita nell’ontologia manichea, presuppone che presso la comunità degli Eletti fosse attuata una tecnica rituale, che mediante i digiuni – probabilmente sincronizzati con il ciclo zodiacale – la pratica dell’ascesi e del rigorismo sessuale, permettesse una più rapida reintegrazione nello stato luminoso. Di fatto la pratica “sessuale” degli Eletti manichei si presenta come un’ascesi, una castità intrisa di eros, che porta a far sì, che le particelle di Luce imprigionate nelle Tenebre corporee si possano emancipare dal vincolo della hyle e dell’heimarmene. (…)

Seconda Parte (Fenix n. 104)

Intorno al VI secolo d.C., in India, si sviluppò un movimento che aveva molte affinità con certi movimenti gnostico-alchemici del mondo tardo antico. E nello stesso modo di quei movimenti, questo insieme di dottrine e pratiche spirituali fu da alcuni descritto come abominio e follia, mentre i praticanti lo considerarono una via per l’eternità.

Il Tantra
Questo insieme di dottrine si chiama Tantra, e gli individui che abbracciarono o svilupparono la dottrina vennero chiamati “tantrika”. Ma, in seno al Tantra, emerse una corrente dedita all’alchimia organica o mercuriale. Ne erano depositari i leggendari Siddha (i realizzati, i perfezionati che realizzano poteri sovrumani o siddhi) i quali, mutuando anche da tradizioni preesistenti, non ebbero piena affermazione se non a partire dal XII secolo. Due sono le tipologie di Siddha o perfetti del Tantrismo più celebri: 1) i Nath Siddha, gruppo tantrico del nord dell’India, con il loro sistema Hatha Yoga; 2) i Rasa Siddha, gli alchimisti dell’India medievale. Nath e Rasa Siddha si sono ampiamente mescolati, giungendo a sviluppare una tradizione a carattere yogico e alchemico. La tradizione ayurvedica è preesistente a queste correnti alchemiche e si prefiggeva scopi salutistici preventivi e terapeutici successivi, non trasmutatori, nonostante poi l’Ayurveda abbia nel tempo fatta propria la dottrina dei fluidi alchemici dei Siddha, sempre per i suddetti scopi medici. Dopo la Brahmanizzazione del Tantrismo, questi Siddha furono chiamati semplicemente Yogin. Ma il vero punto di convergenza di queste due correnti tantriche consiste nel loro comune complesso di dottrine e pratiche mistiche implicanti i fluidi sessuali, tanto maschili che femminili, fluidi che derivavano dal concetto più ampio di Rasa.

Il Rasa
Dai tempi dei Veda, il Rasa, l’elemento fluido, presente ovunque nell’universo esteriore, nel sacrificio e negli esseri umani, è stato più o meno chiaramente identificato dagli Indiani con la fonte della vita. Tutti i fluidi, compresi i fluidi corporei dovrebbero essere modalità di manifestazione dell’Atman, l’uomo interiore. Il termine Rasa possiede uno dei campi semantici più ampi della lingua sanscrita. Impiegato originariamente nei Veda per indicare le acque e i liquidi in generale, fluidi vitali, succhi animali e linfe vegetali, nel corso dei millenni l’ambito delle sue applicazioni si è moltiplicato, fino ad abbracciare campi propri alla medicina ayurvedica, all’Hatha yoga, all’alchimia e all’estetica indiana. Nella sua accezione più generica, per il sistema sacrificale dei Veda, Rasa era un termine applicabile a qualsiasi operazione effettuata nel fuoco (agni). Rasa divenne il fondamento di ogni procedimento trasmutativo alchemico. L’essenza di tale Rasa era quindi trasportata, mediante il vento, fino al cielo dove veniva fruita dagli dei. Con l’interiorizzazione del sacrificio, il Rasa fu identificato con il corpo come oblazione, le cui essenze fluide venivano cotte e trasformate dai fuochi ben regolati dall’ardore ascetico (Tapas), fuochi ravvivati dai venti dei soffi vitali (prana). A partire dall’epoca in cui il microcosmo corporeo fu trasformato nella sede del sacrificio esteriore che già dal VII secolo avanti Cristo era in declino, in India l’interesse per le funzioni interiori del corpo conobbe un enorme espansione. La speculazione e la ricerca presero due direzioni, l’una mistico-alchemica e l’altra medico-ayurvedica. Nelle più recenti Upanisad classiche troviamo le origini della fisiologia sottile del corpo umano. In queste opere vi sono i primi, vaghi riferimenti alle tecniche yogiche di generazione del calore interiore trasmutativo combinato con la realizzazione meditativa gnoseologica dell’identità dell’anima individuale Atman con l’anima universale Brahman. In quell’insieme, queste pratiche erano finalizzate a bruciare, e quindi ad annullare, il cumulo dei frutti delle azioni passate permettendo così la liberazione dal ciclo delle rinascite. Ben presto le dinamiche interne dell’Hatha Yoga furono considerate come altrettante interazioni tra il principio lunare Chandra, quello solare Surya e quello vitale prana, trasparente variazione sulla triade vedica di Rasa-Agni-Vaju. Nel sistema hathayogico dei Nath Siddha, i Rasa in questione sono descritti come gocce (Bindu) maschili e femminili, rispettivamente seminali e sanguigne, di Shiva e Shakti. Realizzare uno stato di equilibrio tra i due membri della coppia equivale a formare una grande goccia ma avendo una sorta di zigote yogico, da cui emerge il nuovo, liberato, onnipotente e immortale del jivan mukta. Nel sistema medico salutistico e terapeutico dell’Ayurveda invece il termine Rasa era identificato con i fluidi corporei.

I fluidi organici di potere e il corpo eterno
Gli indiani sapevano che il miracolo della vita ha origine grazie all’unione dello sperma lunare col sangue uterino solare. Con il primo Tantrismo, tali fluidi generativi furono valutati come sostanze di potere per il culto, ma questi, mescolati o no, fino al X secolo erano dedicati esclusivamente alle yogini, selvagge divinità femminili che attratte da quegli stessi fluidi, sarebbero confluite nella coscienza del ritualista onde trasformarlo in un nuovo Shiva. Con l’avvento del Siddha Abhinavagupta del Kashmir e il suo Trika Kaula (Suprema Triade delle Energie Divine), sintesi esegetica delle tradizioni shivaite kashmire, gli aspetti più imbarazzanti delle pratiche tantriche furono smussati e purificati, e soprattutto interiorizzati. Questo fu definito il Tantra nobile, che tuttavia divenne troppo filosofico-speculativo e troppo complicato rispetto al sistema precedente. Il nuovo sistema non faceva a meno dei fluidi sessuali e corporei, ma li inseriva in una pratica segreta, prerogativa di un circolo interno di iniziati. I fluidi non costituivano più la via alla divinità, ma era nella beatitudine dell’orgasmo sessuale che poteva essere realizzata la coscienza divina. La ritualità dei fluidi venne interiorizzata e canalizzata nello sviluppo dei corpi sottili. Qui tutti gli esseri umani erano considerati androgini nel loro intimo, e la relazione sessuale avveniva tra un complesso femminile serpentino di energia, nota come kundalini, ed un principio maschile, identificato con Shiva, entrambi localizzati nel corpo sottile o astrale. I Nath Siddha intanto avevano sviluppato una pratica corrispondente alla metafisica (in alcuni casi con intenti salvifici) del Trika di Abhinavagupta, nota come Hatha Yoga, il cui sistema di sei chakra divenne l’elemento centrale della dottrina e della pratica iniziatica dei Nath Siddha, e che ebbe come capostipite il Suddha Matsyendranath. Per i Nath Siddha dello Hatha, i fluidi dovevano essere trasmutati in Amrita, nettare di immortalità. L’alchimia doveva preparare il corpo fisico e i corpi sottili all’ascesa della kundalini. Ma i Rasa Siddha? Questi erano considerati gli alchimisti dell’India medievale, e la loro disciplina tantrica fu inattesa. Il loro motto era: ”come nel metallo così nel corpo”. Nel loro sistema, il sangue mestruale era lo zolfo e il seme maschile il mercurio. I Rasa enfatizzavano il potere del Mercurio il quale, se ucciso, resuscita se stesso (Mercurio è l’anagramma mistico di “mi curerò”, come Odino nella tradizione nordica, Osiride in quella egizia e Cristo in quella nostrana. Che questi Yogi fossero alchimisti ci è noto  non da una testimonianza qualsiasi ma da quella di Marco Polo che, descrivendo un gruppo di “ciugi” (yogi) da lui incontrati sulla costa malabarese dell’India alla fine del tredicesimo secolo, attribuiva la loro sovrumana longevità di 150-200 anni, al fatto che ingerivano un elisir composto di mercurio e zolfo. In parole povere, scopo dell’alchimia tantrico-buddhista e la produzione del nettare d’immortalità e saggezza grazie alla combinazione di sperma e sangue uterino ed è ad un tempo yogica e sessuale. Il frutto di questa unione, l’assunzione della mistura di fluidi maschili e femminili nello yogi, determina col tempo perfetta salute, nonché l’invincibilità e il trionfo sulla morte tramite la formazione di un corpo di immortalità (di diamante nella tradizione buddhista e corpo di gloria in quella cristiana esoterica ed alchemica, noto anche come Mercurio) come esito finale: il reale senso della trasmutazione alchemica del piombo in oro, oro spirituale. È un corpo in possesso di tutti i poteri yogici, compresa la capacità di trasmutare i metalli comuni in oro. L’universale aspirazione umana a possedere un corpo non soggetto ai vincoli della morte è un fatto già nell’India del XIII secolo a.C. (lo sarà poi anche dell’India Buddhista). Da quei tempi, era noto che la forza cosmica che attiva e attualizza ogni aspetto della pratica tantrica fosse, in fondo, nient’altro che una corrente o un flusso di fluido sessuale. I miti indiani chiamano questo sacro flusso “Soma”, e con questa parola designano l’oceano di sangue della dea Kali. La fonte del Soma – ovvero il seme spermatico – fu la luna e dal Soma nacquero tutti gli dei. Soma era il segreto della Dea Madre e veniva inteso come la parte attiva dell’”anima del mondo”. Nel Rig Veda 9.86.39, è scritto : “bevemmo il Soma, divenimmo immortali, arrivammo alla luce, trovammo gli dei … l’immortale è entrato in noi mortali”. Nella realtà vedica, come in quella egizia, l’offerta sacrificale solo essotericamente era dall’uomo al Dio, inteso come a lui esteriore. Ma esotericamente, l’offerta era al Dio dell’intimo, quindi sacrificante, sacrificato e destinatario del sacrificio era l’iniziato. Il bere e il mangiare il corpo e il sangue da parte dell’iniziato era ingerire “insieme” al Dio dell’intimo i fluidi dell’immortalità, nel caso induista il Soma. Il Dio, ovvero l’Atman, offre i fluidi e se li riprende, come afferma il Logos in Giovanni: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno … anche colui che mangia di me vivrà per me … io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”. La teoria Brahmanica offre una valida spiegazione esoterica alla misteriosa decima da offrire a Melkizedek (Genesi 14). Nella filosofia vedica, il sacrificio dell’uomo al Purusha-Prayapati primordiale è la risposta necessaria al sacrificio dello stesso Purusha alle origini. Nel cristianesimo esoterico, il sacrificio dell’iniziato al Cristo-Adam consegue allo stesso sacrificio primordiale dell’Adam-agnello (Apocalisse 13:8). E così in qualsiasi tradizione spirituale legata alla Tradizione Primordiale. Nel Brahmanesimo, il sacrificio è il pagamento di un prestito. Il non pagamento, la non restituzione del favore primordiale, comporta la permanenza nella ruota del divenire finché il grande debito non verrà saldato. (…)

(…) Il sangue e il seme, zolfo e mercurio
Le omologie di gran lunga più ricche ed elaborate tra i fluidi corporei umani e divini e gli elementi del mondo minerale, sono quelli esistenti tra il mercurio, il seme del Dio fallico Shiva, e lo zolfo, il sangue uterino mestruale della sua consorte, la dea. Ovvero il pane e il vino di Melkizedek, e la carne e il sangue di Cristo nella nostra tradizione monoteista. Nel contesto del mito della nascita divina di Skanda, troviamo il mito dell’origine del mercurio. Elemento nuovo in questi racconti è rappresentato dal fatto che è il mercurio, e non l’oro, ad essere prodotto da quella parte del seme emesso da Shiva che contribuì direttamente alla generazione di Skanda. Come nel mito di origine dell’oro, anche in questo racconto Agni (fuoco) svolge un ruolo specifico in quanto è lui che fa cadere dalla sua bocca le gocce del seme che divengono l’elemento trasmutante. Bevendo questo elisir, gli stessi dèi godono dell’immortalità. Anche lo zolfo ha il suo mito di origine, parallelo a quello di mercurio, in quanto è l’essenza sessuale della dea, reagente alchemico primario, controparte femminile del mercurio maschile. Il cinabro, solfuro di mercurio, composto da seme mercuriale e sangue uterino solforoso, è una ierofania minerale dell’Unione di Shiva con la dea, unione che, secondo la tradizione induista, crea e mantiene l’universo. Nelle diverse fonti alchemiche induiste, le emissioni corporali, sia divine che umane, sono considerate elisir di immortalità. In tal senso, i testi affermano: fino a che non si ingerisce il seme di Shiva, ovvero il mercurio, dov’è la liberazione, dov’è la conservazione del corpo? Un corpo divino si ottiene mediante l’unione delle emissioni sessuali di Shiva e della dea. E ancora in un altro testo si propone come elisir un fiore di donna unito al seme ingerito per un anno. Qui il fiore (puspa) in questione è il sangue mestruale, e non dobbiamo trascurare il fatto che lo zolfo nella sua forma più pura, è noto in questa tradizione come in Occidente come fiore di zolfo o flower (flusso della dea).

Conclusione
Anche nell’alchimia indiana si nota, come in diverse correnti alchemico-magico-sessuali occidentali di cui parleremo, una correlazione stretta tra alchimia organica e desiderio di generare un corpo di luce indistruttibile. Anzi dirò di più, che l’unica corrente, seppur eterogenea, che ha parlato del corpo di luce e ha tentato di realizzarlo, è proprio quello degli alchimisti organici, da oriente ad occidente.

Mike Plato
tratto dalla rivista mensile “Fenix” n. 103 e n. 104 (maggio e giugno 2017)
diretta da Adriano Forgione

 

Libri Consigliati in funzione del tema trattato

Kularnava Tantra
John Woodroffe e Madhav Pundalik Pandit, Motilal Banarsidass Publishe, 1965

Kularnava Tantra – La via dell’Estasi
Edizioni Vidyananda

Tantraloka (Luce dei Tantra)
Abhinavagupta, Adelphi Edizioni

Tantra
Swami Satyananda Saraswati, Edizioni Satyananda Ashram Italia

Sri Vijnana Bhairava Tantra – L’Ascesa
Swami Satyasangananda Saraswati, Edizioni Satyananda Ashram Italia

Tantra
André Van Lysebeth, Mursia Edizioni

Lo Yoga Rivelato da Shiva
Maria Paola Repetto, Magnanelli Edizioni

Il Tantrismo
Jean Varenne, Edizioni Mediterranee

Tantra in Tibet
Jeffrey Hopkins, Tenzin Gyatso e Tsongkhapa, Motilal Banarsidass Publ., 1987

L’essenza del tantra
Harish Johari, Il Punto d’Incontro

Mahanirvana Tantra Of The Great Liberation
John Woodroffe, (Arthur Avalon Traduttore), Editore Createspace

La Tradizione Tantrica
Agehananda Bharati, Astrolabio Ubaldini Edizioni

Kundalini Tantra
Satyananda Saraswati, Edizioni Satyananda Ashram Italia

La kundalini o L’energia del profondo
Lilian Silburn, Adelphi Edizioni

Yoga tantrico. Asana e pranayama del Kashmir
Eric Baret, Edizioni Mediterranee

Metafisica del sesso
Julius Evola, Edizioni Mediterranee

Lo Yoga della Potenza
Julius Evola, Edizioni Mediterranee

Tantra della Grande liberazione (Mahanirvana Tantra)
Arthur Avalon, Edizioni Mediterranee

Il potere del Serpente
Arthur Avalon, Edizioni Mediterranee

Shakti e Shakta
Arthur Avalon, Edizioni Mediterranee

Yoga Tantrico Indù e Tibetano
Jean Marquès-Rivière, Edizioni Pizeta

Il Koka Shastra illustrato
a cura di Alex Comfort, Edizioni Cremese

Kama Sutra di Vatsyasana
a cura di Alain Daniélou, Edizioni Red

La ritenzione del seme umano
Henri Maspéro, Edizioni Newton Compton

Kalachakra
Jean Marquès-Rivière, Edizioni Mediterranee

Iniziazione (Kalacakra) di Naropa
a cura di Raniero Gnoli, Adelphi

Panarion (Libro secondo)
Epifanio di Salamina, Morcelliana

Scintille di ordine eterno. Viaggio nel cuore della tradizione indiana
Diego Manzi, Armando Curcio Editore, Roma 2016

Pistis Sophia
a cura di Luigi Moraldi, Adelphi Editore

I segreti del Tantra
Rajneesh, Bompiani

La Tecnica dello Yoga Tantrico Indo-Tibetano
Tommaso Palamidessi, Edizioni Arkeios

L’alba del Tantra
Guenther e Trungpa, Edizioni Astrolabio

Il mito dell’alchimia seguito da L’alchimia asiatica
Mircea Eliade, Bollati Boringhieri

Yoga. Piccola guida per conoscerlo
Rosario Castello (Youcanprint)

Libricini (di Rosario Castello) in formato Pdf (stampabili) scaricabili gratuitamente presso la Sezione Free E-Books di www.centroparadesha.it :
1 ARTICOLO filrouge 1: Il sesso: scherzo, errore, condanna o salvezza?
2 ARTICOLO filrouge 5: Sguardo su un Sentiero: il Tantra
3 NOTIZIARIO: sul Femminino-Mascolino – Un matrimonio Interiore
4 ARTICOLO Risvegli 3: Non Solo Donna e Basta: Femminino-Mascolino e L’Iniziazione
5 ARTICOLO Studio 7: Una Via esoterica di Liberazione: il Tantra
6 ARTICOLO Riflessioni 5: Vino, pasto sacro e alchimia di trasformazione

 

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