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894. Lo scopo primo e ultimo di un ricercatore-aspirante spirituale

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Perché un vero “sentiero realizzativo” (sadhana) prevede il superamento sia dei sensi sia della mente? Perché il “ricercatore spirituale” essendo un individuo è soggetto al condizionamento, ai limiti delle categorie che distinguono una mente individuale: tempo, spazio e oggetto, categorie che non possono essere fonti affidabili di conoscenza infinita.
Come semplice individuo (uomo ordinario incompiuto) è costretto a percepire ed apprendere solo tramite i sensi. Se supera la limitata condizione di “individuo” ecco che scompaiono la mente individuale insieme al tempo, lo spazio e l’oggetto ed entra nella più accurata realtà delle esperienze soggettive dove la conoscenza deriva da una mente espansa.
Riuscire a mettere in atto l’espansione della mente significa poter intraprendere la possibilità di fare esperienze che vanno oltre la regione dei sensi, del tempo, dello spazio e della materia.
È possibile conoscere luoghi-cose-persone-eventi che non sono fisicamente presenti, ma bisogna conquistarne la possibilità: questo può avvenire nel passato e nel futuro. Nella dimensione di cui parliamo non si è limitati dalle distanze e dal tempo.
Il “ricercatore della verità” (aspirante spirituale), pur essendo un bravissimo sadhaka dalle molte qualità spirituali, se non riesce a distaccarsi dalla condizionante esperienza sensoriale non potrà raggiungere una tale auspicante possibilità.
Per questo ogni promettente “ricercatore spirituale” deve dedicarsi alla conoscenza della mente, alle sue funzioni, alle sue possibilità di traghettarlo oltre i limiti dell’ego-ahamkara.
Per la mente ordinaria, quella dell’uomo ordinario incompiuto, è normale funzionare secondo l’”attrazione” e la “repulsione” anche se questa funzionalità è proprio quella che altera, deforma ogni tipo di acquisizione di conoscenza (sensoriale).
Il superamento della mente individuale, momentaneo agli inizi, apre gradualmente ad un tipo di conoscenza intuitiva (l’illuminazione di buddhi) che è eterna, vera, assoluta. Questa espansione (risveglio) avviene gradualmente fino a raggiungere il culmine della sua possibilità: la pura coscienza o esperienza della conoscenza di Brahma (brahma jnana).
La mente concettualizza ciò che i sensi trasmettono. I sensi possono trasmettere dati distorti, imprecisi, errati. La coscienza come un faro rende possibile la giusta conoscenza, illumina e dà la consapevolezza necessaria.
Lo stato da raggiungere, perché raggiungibile da un determinato ricercatore, è quello del silenzio dei sensi, del pensiero e del volere ma anche del permanere della coscienza. È lungo questa possibilità che il ricercatore-praticante può sperimentare di restare cosciente durante lo “stato di sonno con sogni (svapna)”, in cui esperisce la coscienza come “Presenza” (un’Intelligenza di là dalla mente duale, concettuale o rappresentativa).
Tutto questo si spiega perché il “senso dell’io” (l’ego-ahamkara) dimora nella mente (è una funzione della mente-antahkarana); il senso di “essere” dimora nella Coscienza. L’attività del “pensare” è una funzione della mente; “essere” è una funzione della Coscienza.
Alcuni ricercatori espandono la mente a piccoli gradi, altri più speditamente verso ampi confini. Per la maggior parte dei ricercatori gli sviluppi, in una sadhana, sono impercettibili: un buon motivo per sviluppare la pazienza. Per quelli che sono maggiormente predisposti, e si imbattono sullo Yoga e sul Tantra, si presentano, grazie al tipo di pratiche, più possibilità di accelerazione della trasformazione dall’individuale-personale all’universale (l’espansione mentale per eccellenza). Rivolgere la mente all’interno e introvertire i sensi diventano pratiche essenziali per aprire alle esperienze interiori ed espandere la mente. La mente individuale espandendosi nella mente cosmica diventa una ricetrasmittente di verità.
L’esperienza piena di tale stato fa sì che la coscienza si libera dalla materia (dai suoi limiti). Si tratta della medesima esperienza descritta dal Vedanta con Brahman, dalla filosofia Samkhya con Purusa (prakrti e purusa), dal Tantra con Siva (sakti-energia e siva-coscienza). Metodi e pratiche diverse per raggiungere il medesimo obiettivo.
Le pratiche tantriche sono particolari e non sono per tutti: vanno prima “capiti” con la mente e poi “compresi” con la coscienza. Con il tantra si fanno esplodere certe esperienze nell’inconscio e non tutti sono in grado di sopportarle.
Il tantra comprende anche pratiche di Hathayoga, Kriyayoga, di japa (ripetizione di mantra) e di Tattwa shuddhi (purificazione interiore) ad un livello profondo di concentrazione.
Nel tantra si può conseguire uno stadio fisico-grossolano di consapevolezza oppure uno stadio trascendente la materia. Il sadhana tantrico può risultare incomprensibile per la maggior parte delle persone, persino frainteso come spesso accade, per via delle sue pratiche, dei simboli, delle immagini, dei miti e delle allegorie utilizzati.
Il sadhana tantrico, se correttamente compreso e percorso, offre alcuni risultati in breve tempo facendo sperimentare alcune siddhi (poteri psichici) ma che non hanno alcuna importanza ai fini del risveglio e dell’evoluzione della coscienza.
Molte tecniche del tantra si ritrovano nei Purana (una raccolta antica, primordiale di “cose, persone e fatti del tempo antico”) che formano la parte più antica di quella che viene chiamata “tradizione rammentata (“smrti”); testi considerati “quinto Veda” (Itihasa). I Purana si distinguono in Mahapurana (“grandi Purana”) e Upapurana (“Purana minori”).
La pratica tantrica del “tattwa shuddhi” è stata divulgata nello Srimad Devi Bhagavatam (“Il Purana dei Bhagavata”, uno dei Purana principali o Mahapurana) e nel Mahanirvanatantra (“Il Tantra del grande nirvana”, in forma di dialogo tra Sadasiva e Parvati).
Il grande potere del tantra risiede, per i pochi capaci di comprenderlo pienamente (molti sono coloro che ne distorcono ogni aspetto e lo trasformano in un esoterismo deviato), nella possibilità di vivere contemporaneamente sia il riconoscimento della realtà onnipervadente (uno-senza-secondo) sia la presenza del duplice aspetto di “Siva-Coscienza” e di “Sakti-Energia” (rendendogli omaggio pratico e concreto).
La visione pratica del tantra si esprime nella conoscenza dell’energia innata o sakti (principio femminile della creazione) da risvegliare altrimenti la Coscienza (Siva) non si può manifestare, rimane addormentata.
Bisogna precisare però che per il tantra sakti-energia non è di più o di meno di siva-coscienza: sono alla pari.
Il corpo-mente dell’ente planetario è una dimostrazione concreta di quanto afferma il tantra in fatto di sakti-energia e siva-coscienza: la sakti-energia è attorcigliata alla base della colonna vertebrale, conosciuta come Kundalini (nel muladhara); siva-coscienza è nella regione di sahasraracakra, alla sommità del capo (dove risiede Siva).
Nella maggior parte degli enti planetari questi due poteri, “sakti” e “siva” sono assopiti: per questo si dice esotericamente che l’essere umano è obliato, addormentato nella coscienza e funziona solo per spinta istintiva, senza consapevolezza, risponde a livello comportamentale e comunicazionale in modo automatico e meccanicamente.
Occorre risvegliare, attivare e far circolare una quantità di prana, di buona qualità, per provocare il risveglio di Kundalini e farla ascendere lungo le regioni dei vari cakra fino al sahasrara e risvegliare completamente Siva che unito a Sakti possa ridiscendere, nel corpo-mente, ormai consapevole.
Una buona pratica spirituale per la realizzazione del , il sadhana quale sentiero spirituale, non può prescindere dalla completa conoscenza dei principi legati alla mente, al corpo e alla coscienza, con lo scopo di saper ritirare i sensi (pratyahara) ed espandere la mente.
Il sadhana ha sempre tre livelli: essoterico (“sthula”); esoterico-sottile (“suksma”); trascendentale (“para”).
Un esempio per comprendere: l’essoterico-sthula riguarda le pratiche di asana, pranayama, mudra e bandha oppure le forme di puja-culto (cerimonia); l’esoterico-suksma può essere la pratica di dharana-concentrazione su un simbolo, su un mantra o l’istadevata (forma divina scelta); trascendentale-para è lo stadio di dhyana-meditazione fino al samadhi.
Con il samadhi raggiunto si può praticare samyama, la pratica che contempla contemporaneamente dharana-dhyana-samadhi che permette una tale penetrazione coscienziale da condurre al di là di tempo-spazio-causa in riferimento all’oggetto di meditazione.

Per un sadhana corretto, per ottenere concreti risultati, conoscere la mente e le sue funzioni non basta. Per usare correttamente la mente e le sue funzioni necessita una purificazione (non morale o religiosa) scientifica dei suoi livelli grossolani, sottili e causali.
È nella mente che vi sono i “punti” di collegamento non solo dei diversi corpi-veicoli oltre il fisico-grossolano ma anche dei vari piani di esistenza.
La risposta di un sadhana corretto si manifesta nel “sistema aura-nadi-cakra” in cui una volta acceso il suo potenziale comincia a circolare una maggiore quantità di prana espandendo l’aura e illuminandola.

Molti sono gli stadi di un ricercatore-aspirante. La sofferta maturità di una lunga ricerca lo traghetta, di volta in volta, allo stadio successivo. Ad ogni stadio conquista nuovi elementi per la visione del suo Essere-Sintesi.

Cos’è che porta un aspirante spirituale in prossimità del balzo realizzativo? Ciò che distingue il vero ricercatore-aspirante dal “simulatore”.
Coloro che fanno la pantomima dell’avanzato aspirante spirituale (un quasi iniziato) sono molti ma osservandoli attentamente è facile scoprire la loro impostura.

Un autentico aspirante, colui che è provato dalla ricerca interiore per una vera esplorazione della propria profondità (e non colui che finge di essere felice, perché positivo, alla new age), agli inizi del suo percorso-sadhana è solo, non ha nulla a cui riferirsi, non ha prove di ciò che sta cercando, non ha certezze, non trova nessuno a cui poter chiedere.
Eppure egli, senza sapere, va avanti, osa, sente in sé di voler conquistare tale possibilità di “Essere”. Accetta il deserto dove si trova.
Senza prove confida sull’esistenza e la realtà di tale possibilità. Egli non vede, non sa ma crede.
È così che comprende che nessuno può dare la “prova” perché la si deve conquistare da sé e per sé. Il ricercatore-aspirante si alimenta con il Fuoco che spinge il suo Essere e così cominciano le conquiste. I veli cominciano a cadere e la Conoscenza si rivela al suo “Occhio” che inizia a dischiudersi: è il destino di chi osa, di chi a tutto rinuncia ma tutto conquista.

L’ultimo stadio non è lontano ma nemmeno vicino.
C’è uno stadio, purtroppo, in cui molti ricercatori-aspiranti soccombono. Eppure ce l’hanno quasi fatta: è l’esperienza della notte dell’Anima. I più, in questa fase si spaventano, fanno prevalere un qualcosa che li terrorizza, interrompono bruscamente. Pochissimi proseguono per squarciare i veli più importanti che possono condurre alla Liberazione-moksa.
Chi prosegue, anche con grande sofferenza ma con determinazione, si ritira nella solitudine e nel silenzio necessari. Qui, in questa fase, c’è chi impiega di più e chi meno per uscirne. È dopo questo superamento che avviene una grande trasformazione-conoscenza (“conoscenza-consapevolezza-conoscenza”): cessa ogni lotta interiore, subentra la consapevolezza dei “percorsi”, dagli stati di densità agli stati di rarefazione, si manifesta una condizione di pace e di imperturbabilità.

 

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