Ma che cos’è veramente la felicità?
L’etimologia fa derivare il termine “felicità” da “felicitas”, derivazione di “felix-icis”, cioè felice, la cui radice “fe” significa “abbondanza, ricchezza, prosperità”.
In greco “felicità, benessere” è “eudaimonìa”, termine composto da “eu”, cioè “buono” e da “daimon”, cioè “genio, demone”. L’”eudaimonìa” è più della semplice felicità.
In sanscrito “Ananda” è letteralmente “Felicità” e più propriamente “stato di Beatitudine”, cioè pienezza incondizionata, gioia senza oggetti, condizione inerente all’essere consapevole della pienezza del proprio Essere. Un altro termine sanscrito che indica gioia incondizionata o contentezza senza forma, cioè uno stato di felicità genuino, indipendente da tutto quello che succede attorno, è “Santosha”, che deriva dalla radice di due parole, “Sam” e “Tosha”. Sam significa “Tutto” o “del Tutto” e Tosha significa “appagamento, soddisfazione, accettazione, essere confortevole”.
Trasmettere la felicità, nella società umana, dovrebbe essere un dovere: dovrebbe far parte degli insegnamenti riguardanti l’educazione-istruzione che si impartiscono ad un individuo, dall’infanzia alla sua vita di adulto, per la gestione della vita materiale e spirituale. Dovrebbe far parte di una di quelle “trasmissioni” atte a risvegliare l’interiorità dell’individuo, con la finalità ad indurlo a seguire una vita basata sulla Rettitudine, i Valori e l’Amore perché veda e tratti gli altri come sé stesso traendone “felicità”.
Educare-istruire dovrebbe significare coltivare la natura più elevata dell’uomo, in modo che egli possa seguire verità, sincerità, pazienza, perseveranza, coraggio e autocontrollo. Educare-istruire dovrebbe significare trasmettere la capacità di attuazione concreta dei Principi più elevati.
Chi educa-istruisce dovrebbe far intravedere, all’individuo che trasmette, un cammino morale ed etico di crescita interiore che conduce correttamente verso l’acquisizione di esperienza nella vita reale.
Cosa dovrebbe significare “Insegnare” se non educare, istruire, guidare, esercitare, formare, allenare, ammaestrare, addestrare per rendere felici gli uomini?
Che cos’è la vita di una persona?
Pensieri, sensazioni, umori, emozioni, passioni, sentimenti che danno valore alle diverse esperienze di vita.
Eppure, in tutto il mondo, non viene data così tanta importanza alla felicità dell’uomo. La società umana ha infatti estromesso, dalla posizione di centralità, la vita dell’uomo e la sua felicità. Guardando la vita degli abitanti di tutti i Paesi del mondo non sembra ci sia una elevata concentrazione sull’importanza esistente tra la felicità e la comunità in cui l’uomo vive: si evidenziano invece le norme sociali sempre più restrittive, i conflitti nazionali e internazionali, le azioni vessatorie dei vari governi, la sottrazione impropria dei diritti e delle libertà con pretesti di ordine sovranazionale, la sottrazione della dignità morale ed economica, la riduzione della possibilità di fare libere scelte di vita, l’aumento diffuso delle disuguaglianze, l’aumento della povertà, tutte cose che ostacolano la felicità possibile.
Che società abbiamo oggi? Oggi abbiamo una società basata sulla “dipendenza di massa” (uso di alcol, tabacco, droghe varie, psicofarmaci, connessione digitale compulsiva, dispositivi di realtà aumentata, selfmania, gioco-scommesse, stunt mania, cibo in eccesso, mancanza di riposo adeguato, pornografia e sessualità distorta, esibizionismo come disturbo mentale, mettersi in vetrina tutto il giorno, ecc., tutte cose che distruggono la salute mentale e fisica che impediscono di poter essere felici), una società in cui l’uomo-massa è infelice, depresso, frustrato, arrabbiato, incattivito, disumanizzato, animalizzato, impotente, ecc..
La percezione generale delle risposte comportamentali e comunicazionali delle persone lascia trapelare una popolazione senza pace, quindi infelice, sempre connessa allo smarthphone alla ricerca di una felicità che non potrà mai trovare in quel modo.
Il livello di infelicità diffusa si rivela nel test della politica con cui i cittadini votano leader sovranisti e autoritari (degli ego-centrati, dei palloni gonfiati). L’infelicità diffusa si rivela anche con la patologica e pericolosa violenza manifestata sui social: sintomo di un grave livello di decadimento esistenziale, di degradazione culturale, di involuzione antropologica.
Come può chiamarsi civile una Civiltà basata sulla mancanza di felicità, di amore e del senso di unità di tutte le cose?
La felicità non è data da quanti soldi hai in banca, da quanta carriera hai fatto, se hai raggiunto la carica di prestigio a cui ambivi, di quanto potere riesci ad esercitare sugli altri, ecc.. La “felicità” ha a che fare con il “dentro” delle persone e non con il “fuori”.
Per essere felici occorre aver coltivato dei valori, provare dei profondi sentimenti di generosità, desiderare il bene per gli altri come quello per sé stessi, riuscire a provare una intima e profonda connessione alle persone che hanno bisogno di aiuto, fare dei “gesti” perché le cose cambino desiderando la realizzazione di una società umana migliore e più felice.
Perché i politici, ad esempio, non mettono, al centro dei loro programmi, come scopo la felicità dei cittadini costruendo dei capisaldi che la favoriscano (magari con un “Ministero della felicità del Cittadino”)? Inserire la felicità in ambito sanitario, nel sistema scolastico, nella ridistribuzione delle ricchezze, nelle funzioni delle città ridisegnandole per essere più verdi, più ecologiche, più sicure, più tolleranti, più inclusive.
I politici, i ricchi e i potenti, i membri della classe alta della società, sono quasi tutti infelici, vuoti di veri valori dentro, senza una autorevole cultura di base, senza una visione unitaria dei beni comuni per il Paese, egoisti e malati di “volontà di onnipotenza”: per questo danneggiano i cittadini e il Paese in tutto quello che dicono e fanno.
Come potrebbero, infatti, questi politici fare cose per la felicità di tutti i cittadini, dal momento che hanno una visione corrotta del sistema vita, uno sguardo cieco sui veri interessi del Paese, un modo di pensare-dire-fare da sistema mafioso che si impone con la prepotenza, la minaccia e il ricatto?
I “poteri forti” e i “poteri occulti” vogliono un popolo di infelici per poterlo controllare, manipolare, dominare, assoggettare più facilmente. Se le persone fossero felici nessuno seguirebbe la loro mediocrità, la loro spavalda ignoranza che spacciano per esperienza di vita.
La manipolazione attuale, esercitata dal potere, cavalca la rabbia degli infelici guidandone gli orientamenti su cui far sferrare la violenza verbale, fisica e social (migranti, gay, i vari temi che affliggono l’umanità, ecc.). Il potere non mitiga la violenza ma la istiga.
Aiutare il prossimo, soccorrerlo anziché perseguitarlo e scagliarsi su di esso aiuta a ritrovare la pace, ad essere più felici.
UniCredit, ad esempio, incurante della situazione mondiale e nazionale non si fa scrupoli di contribuire ad aumentare il numero di infelici nel mondo del lavoro: sembra prepararsi ad un taglio di 10mila posti di lavoro per ridurre fino al 10% i costi operativi. UniCredit al momento conta 86.232 dipendenti (60mila in Italia); in un piano precedente ha già ridotto di 14mila unità e in Italia nel 2011 le uscite sono state oltre 5.000. Per contrastare il calo dei ricavi lascia a casa 25mila dipendenti in tutto: la cura del gruppo la pagano solo i dipendenti. UniCredit continua a fare profitti vendendo i gioielli del gruppo, chiudendo agenzie, tagliando i dipendenti, cedendo le sofferenze per pulire il bilancio dalle scorie. A UniCredit poco importa se il costo dell’operazione passa attraverso la sofferenza e l’infelicità di migliaia di persone.
Gli infelici al potere sono pericolosi perché la loro ignoranza coscienziale è immensa: amano pensare a sé stessi come a dei grandi perché sono frustrati, impotenti e incompleti, senza valori di sostegno. Esercitare potere facilmente su coloro che non possono difendersi li fa sentire potenti ma il semplice fatto di fare una cosa simile dimostra quanto siano piccoli disturbati da curare. Un esempio vergognoso di questi giorni è quello del vicepresidente del Consiglio comunale di Vercelli, Giuseppe Cannata, che non si è fatto scrupoli a manifestare su Facebook tutta la violenza repressa dentro mediante la colpevole frase “ammazzateli tutti”, frase omofoba riservata a “lesbiche, gay e pedofili” (vergognosa anche l’incapacità a non saper distinguere tra queste categorie). Si tratta di un consigliere di Fratelli D’Italia, un medico chirurgo in pensione, infelice, di 72 anni. È chiaro perché in Italia le cose vanno male e perché la gente infelice è davvero tanta. Personaggi dalla apparente rispettabilità pubblica, che nascondono tanto marciume dentro di sé, rendono fragile la legalità delle istituzioni. Questo non è un caso isolato, gli esempi che si potrebbero menzionare cominciano ad essere troppi e ci fanno rendere conto che la situazione è molto critica. In questi mesi sono aumentati gli attacchi sessisti sui social, di una violenza inaudita, dove i Ministeri di competenza che avrebbero potuto e dovuto intervenire fattivamente hanno invece taciuto, come fosse un silenzioso consenso.
Invece di scatenarla la violenza andrebbe mitigata con esempi positivi che ispirino ad una felicità possibile per tutti, per una società dell’amore non per una società dell’odio.
Purtroppo abbiamo politici, ministri, parlamentari, senatori che cavalcano quest’onda di odio, di rabbia, di infelicità, per elevare la propria posizione nei sondaggi, per imporsi ai cittadini come salvatori della patria ma restano, anche se acclamati dagli umori del momento, dei piccoli “io” incompleti, dei “vuoti” che si mostrano nella vetrina incantatoria della politica inconsistente, cioè illusoria, quindi inesistente.
La felicità è uno stato che permette di accedere ad una piena consapevolezza dell’essere, più che stabile e ancorata alla realtà. Lo stato di felicità può coesistere insieme ad altri stati molto meno lieti senza che essa diminuisca o si alteri. Le gioie e i dolori vanno e vengono ma la felicità una volta sopraggiunta è sempre lì, perché attiva le sfere più alte dell’individuo. Non parliamo, ovviamente, della falsa o illusoria felicità, quella che deriva dall’essere entrati in possesso di “qualcosa” (oggetto, bene, ruolo, ecc).
Chi è felice non può manifestare cattiveria, non è in grado di fare del male. Chi è infelice prova in sé una tale deficienza, una incompletezza che può fargli desiderare il male, provando invidia, gelosia, rabbia fino a fargli commettere le azioni del male, per l’effetto micidiale della mente proiettiva. L’infelice è triste, depresso, iroso, inquieto insonne, arido, apatico, un morto nel cuore. Gli infelici si ritrovano tra gli aggressivi, tra i violenti, tra i sadici (specie quelli nascosti) in tutte quelle situazioni che finiscono sempre in tragedie.
La rabbia e la violenza derivano dall’infelice, da colui che per attitudine ha bisogno sempre di un nemico, di scaricare la tensione sempre contro qualcuno. L’infelice nasconde sempre, senza rendersene conto, la difesa da un dolore che non è riuscito a superare, un dolore che non riconosce per prendersene cura, preferendo l’aggressività, la violenza contro qualcuno.
Una società dovrebbe offrire le condizioni sia del welfare sia dell’educazione-istruzione perché gli individui possano coltivare e far fiorire i semi della felicità. L’involuzione delle attuali democrazie non lo permettono: la mancanza di amore e di felicità ha prodotto la corruzione in tutte le istituzioni, nel privato, nei gangli di tutta la società rendendo il cosiddetto “clima sociale” insopportabile.
Perché non insegnare nelle scuole, sin da bambini, a saper riconoscere e gestire le proprie emozioni? Perché non cercare di far sviluppare l’empatia nel bambino per un percorso delle relazioni verso l’età adulta? E perché non includere, nei programmi scolastici, la giustizia sociale e il rispetto della terra? Insegnare di essere presenti a tutto ciò che si incontra in modo disinteressato fa bene alle relazioni umane e risveglia una luminosa consapevolezza.
Quello della felicità potrebbe essere più di un sogno se si effettuassero i giusti cambiamenti nell’insegnamento ai bambini, nell’età dell’educazione-istruzione: accompagnare gli insegnamenti con i principi della gentilezza e della compassione, due grandi qualità che mettendo radici potrebbero creare un grande cambiamento nelle relazioni umane. La gentilezza è un’attitudine che fa bene a sé stessi e al rapporto con gli altri: una base concreta, scientifica, per la felicità generale di tutti.
La mancanza di felicità nella società umana è una vera ingiustizia: tutti hanno diritto alla possibilità di poter essere felici. La spinta motivazionale, segreta e profonda, che sta all’origine di ogni desiderio umano è la ricerca della felicità: un diritto di nascita per tutti.
Tutti gli esseri umani sono sostanzialmente uguali nel loro desiderio di essere felici: su questo tutti dovrebbero riflettere dal momento che l’umanità sembra diventare sempre più infelice (le disuguaglianze sociali, i conflitti di ogni genere e le guerre lo attestano).
Tutti dovrebbero curare, per invertire la rotta, lo sviluppo di nuovi comportamenti partendo dall’educazione essenziale.
Letture Consigliate
World Happines Report 2019
La mappa del VII° rapporto mondiale sulla felicità percepita
Rapporto curato da John F. Helliwell (University of British Columbia), Richard Layard (London School of Economics) e Jeffey D. Sachs (Columbia University).
Global Happiness and Wellbeing Policy Report 2019
Rapporto curato dal Global Council for Happiness and Wallbeing, un network globale di ricercatori e scienziati di varie discipline.
Progetto SEE Learning (Social Emotional Etical Learning)
È sostenuto dal Dalai Lama per l’idea che l’educazione possa e debba espandersi per promuovere i valori e le competenze che portano a una maggiore felicità sia per gli individui sia per la società in generale.
Per Informazioni: Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia che promuove la diffusione del SEE Learning in Italia, in collaborazione con la Emory University.
www.iltk.org
Il significato della felicità, Alan W. Watts, Astrolabio Ubaldini Edizioni
Lettera sulla felicità, Epicuro, Einaudi
L’arte della felicità, Dalai Lama, Mondadori
La ricerca della felicità, Jiddu Krishnamurti, Mondadori
Consigli sulla felicità, Arthur Schopenhauer, Mondadori
Meditazioni sulla felicità, Pietro Verri, Ibis
La conquista della felicità, Bertrand Russell, Tea
Al di qua del bene e del male. Per una teoria dei valori, Roberta De Monticelli, Einaudi
La questione morale, Roberta De Monticelli, Cortina Raffaello
L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Roberta De Monticelli, Garzanti
La Repubblica siamo noi, G. Colombo e R. De Monticelli, Salani