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942. Una “nuova politica” è possibile se lo si vuole

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Noi non siamo interessati alla politica, ai partiti, alle logiche del potere, a tutto ciò che appartiene al dominio del mondo del divenire. Apparteniamo alla Filosofia dell’Essere, tutt’altra cosa che la Filosofia del Divenire (quella dell’apparire, dell’avere, del possedere, del fare profitto, ecc.) e per questo diciamo e ripetiamo, come altri prima di noi, “Viviamo nel mondo ma non siamo del mondo”. Non nutriamo alcuna attrazione per le cose di questo mondo e per le cose che i più inseguono, ma tuttavia viviamo la responsabilità, comunque, di “vivere nel mondo …” e per questo ci prestiamo a dare il nostro piccolo contributo anche sulle questioni che non rientrano nelle istanze da noi perseguite. La Filosofia del Divenire ignora, o disconosce la Filosofia dell’Essere, ma la Filosofia dell’Essere, che ha a cuore il destino degli esseri planetari, a qualunque livello di coscienza si trovino, si interessa, studia, osserva, testimonia quanto scorre nel Mondo del Divenire, al suo orizzonte degli eventi.

Tutta la storia dell’umanità è stata caratterizzata, più o meno, da lotte intestine, da guerre fratricide, tali da oscurare ogni benché minima forma di razionalità. Nessuno sembra volere veramente una società umana abitata ed espressa dal principio di fratellanza: in molti la invocano solo a parole ma nessuno la realizza.
È mai possibile che l’uomo non riesca a ritrovarsi e persista in uno stato di smarrimento a tal punto da continuare a vivere quella “parte di ” che manifesta l’ignoranza coscienziale che apre la porta al male?

L’uomo sembra aver scelto la forma più oscura, limitante e imprigionante per vivere e non si riesce a comprendere perché. Perché non sviluppare una società umana in cui si riconosce l’altro come indivisibile dalla propria natura? È il bene che comprende l’unità della vita perché è in grado di riconoscere la molteplicità come sviluppo dell’unità.
Il male, gli errori, i comportamenti e le scelte sbagliati non stanno all’opposto del bene perché sono una degenerazione, rappresentano un degrado. I veri mali degli esseri umani sono modificabili, addirittura annullabili.

Ecco, allora, che anche una vecchia e cattiva politica può essere trasformata in una “nuova politica” per il bene di un Paese e dei suoi cittadini.

In questo momento disastroso per il Paese, e per il mondo intero, noi sosteniamo che una “nuova politica”, costruita su semplici basi, è possibile. È quello che dovrebbe tentare di fare, per davvero e non per finta (come è stato finora), un vero governo che si autodefinisce del cambiamento, della novità. Per ripartire veramente, solo in funzione del bene del Paese e dei cittadini, il governo dovrebbe utilizzare come “programma” la Costituzione, come abbiamo ripetuto più volte in molte occasioni, un vero e proprio programma politico già ben fatto che è solo da realizzare.
La Costituzione è un perfetto “programma” politico da attuare e i suoi principi dovrebbero essere le “sentinelle” alle quali il governo dovrebbe riferirsi fermamente in tutte le necessarie circostanze, per azzittire i soliti infedeli mascherati, coloro che servono di nascosto poteri sovranazionali (da semplici politici, da ministri e anche da premier) a discapito degli interessi dei cittadini e del Paese, infedeli (traditori) che si servono della dialettica politica che interpreta, distorce, confonde ciò che è chiaro agli intelletti onesti. Serve un governo che riparta dalla cultura delle regole, dal rispetto dovuto a tutti, dalla fedeltà ai valori universali, dall’ovvia onestà di chi assume incarichi per gestire la “cosa pubblica”, senza mai cedere alla corruzione, il cancro che ha degradato il pubblico e il privato portando all’attuale pericolosa situazione Paese. I politici devono dimostrare per primi la disciplina e il rispetto delle leggi, la fedeltà alla Repubblica e l’osservanza della Costituzione, invece che cercare di stravolgerla come è stato fatto a destra e a manca.
Il primo grande atto, quale segnale di vero cambiamento, dovrebbe essere quello di togliere il “pareggio di Bilancio” dalla Costituzione, inserito impropriamente da Mario Monti con il suo disastroso governo tecnico. Chi non fosse d’accordo deve suscitare sospetto e bisognerebbe capire quale potere serve anziché quello dello Stato italiano. Chi vuole veramente il bene del Paese in questo momento non può non voler togliere questo cappio al collo del Paese, liberarlo di un tale mastodontico condizionamento, di un incomprensibile freno tirato. A seguire, andrebbe rimesso l’Articolo 18, riattivato lo Statuto dei lavoratori, riformato con miglioramenti riguardanti sia il lavoratore sia il datore di lavoro, cancellato il Jobs Act e ripartire con fedeltà alla Costituzione, accodando alle prime cose da fare una equa “patrimoniale” con l’accordo di tutte le forze politiche vista la critica situazione generale nel Paese. Tutte le “parti” sociali devono contribuire a far ripartire il moto giusto per la Nazione: le fasce deboli, e quelle indebolite dagli ultimi governi, hanno già dato troppo.
Chi assume incarichi di governo, a qualunque livello e titolo, deve abbracciare più della responsabilità politica, senza sfuggirvi in alcun modo, qualsiasi circostanza si trovi ad affrontare. La trasparenza deve essere un faro-guida per un governo, ma senza in alcun modo violare la privacy dei suoi membri, tenendo conto però che coloro che svolgono funzioni pubbliche, per forza di cose, devono sottostare ad una minore aspettativa di privacy. Per questo sta ai singoli membri istituzionali attenersi ad uno specchiato stile di vita, guidato dall’etica e dalla morale, senza cercare di sfruttare le proprie immagini private come propaganda, come è avvenuto da alcuni anni a questa parte.
Un nuovo governo, all’insegna del cambiamento e di una effettiva novità rispetto al passato,  dovrebbe impedire lo scempio delle notizie, quelle vere e quelle false, diffuse attraverso i social, a cui gli uomini politici degli ultimi governi hanno ceduto, abusandone, provocando non pochi danni. L’incapacità, degli uomini mediocri che si credono supereroi, a sapersi controllare nella parola parlata, scritta o diffusa ad immagine (selfie o videoclip), non dovrebbe essere presente nella politica e tra i vari responsabili di governo. I social sono diventati le vetrine per i politici ego-centrati, che si credono grandi statisti ma sono vuoti di veri contenuti politici oltre che di vera cultura, che fanno finta di usare un linguaggio più vicino al popolo, ma in realtà usano il linguaggio che rispecchia tutti i loro limiti nascosti. I social non devono e non possono essere i canali principali per il confronto, lo scontro o l’attacco politico. “Colpire” qualcuno sui social è come pugnalarlo alle spalle per non aver avuto il coraggio di fronteggiarlo davanti. Un politico che sta al governo e usa i social per criticare, attaccare e offendere i cittadini che hanno espresso opinioni diverse dalle sue, o che abusa del proprio potere, nelle manifestazioni di piazza, nei confronti di chi lo contesta facendoli caricare dalla polizia, andrebbe sanzionato se non fatto dimettere, perché si trova al posto in cui sta per servire i cittadini e lo Stato italiano e non per sfruttare la propria posizione per favorire sé stesso nella scalata ad un maggiore potere o attaccare gli avversari politici.
I social, comunque, sono un “apparato umorale” inaffidabile perché basati sull’alchimia degli umori del momento e i politici che vi fanno affidamento per il proprio consenso dimostrano tutta la loro mediocrità, il loro livello di intelligenza e la propria ambizione, nascosta questa da frasi sciocche come quella che recita “noi non siamo attaccati alle poltrone come gli altri”. Dicono tutti di essere diversi dagli altri ma dicono e fanno le stesse identiche cose e pretendono di essere considerati dei grandi statisti.
Una “nuova politica” non può permettere che i politici debbano sempre cavarsela sia in presenza di veri e propri reati sia di fronte a comportamenti non penalmente rilevanti e perseguibili: è giusto che scattino, come per i normali cittadini, meccanismi sanzionatori sia nel caso di reati sia nei casi di comportamenti non penalmente rilevanti e perseguibili ma socialmente immorali.

Un governo veramente nuovo deve mettere seriamente le mani sull’ingiustizia diffusa, sulle disuguaglianze aumentate, sulla pace sociale mancante, sui diritti di base dei cittadini come il Lavoro e la Sanità, su un Reddito da distribuire, per aiutare i tanti, troppi, in difficoltà, un reddito da trovare un accordo universale su come chiamarlo, fermo restando la sostanza, l’aiuto concreto (che non sia di un’entità ridicola che non aiuta nessuno), e urgente da dare. A monte di tutto il governo deve muoversi sui passi della Rettitudine.

Non è ora, forse, di riavere una polis che sappia vivere la giusta espressione di governo, che sia lontano dalla natura della corruzione?

 

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