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964. Fatti e non opinioni sulla decerebralizzazione in atto

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Abbiamo visto, purtroppo, sotto quest’ultimo Natale la fierezza di alcuni genitori (mamme e papà) nell’aver regalato ai propri bambini, di 5 anni, non solo l’ultimo smartphone ma anche un super Tablet e osservarli smanettare peggio degli adulti, ad una velocità incredibile. Noi abbiamo visto dei “mostri” ma questi genitori hanno visto, nei loro bambini, dei “superdotati”.
Fortunatamente esistono diversi studi e ricerche effettuati da affermati neuroscienziati che sostengono quanto faccia male passare troppo tempo al monitor perché si danneggiano non solo il cervello e la salute generale della persona ma anche i suoi comportamenti e il suo modo di comunicare. Specialmente i bambini vengono danneggiati e non dovrebbero avvicinarsi agli schermi prima dei 6-7 anni, pena gravi danni al cervello anche se invisibili per un certo tempo.
C’è un’idea corrente, che “qualcuno” ha fatto girare, che è del tutto errata, falsa, cioè quella che l’uso del Pc sviluppi l’intelligenza, che addirittura possa trasformare un cretino in un genio. Basta riflettere un attimo per capire chi abbia interesse a far credere una tale idiozia.
Gli studi a cui accennavamo sopra sostengono che, per la prima volta nella storia dell’umanità, la nuova generazione avrà un “Quoziente intellettivo” più basso della precedente.
Il neuroscienziato Michel Desmurget manifesta tutta la sua preoccupazione riguardo al fenomeno di decerebralizzazione in atto su così larga scala. Egli, per questo, ha raccolto una serie di studi rigorosi e li ha offerti sottoforma di un libro per mettere in guardia sul fenomeno dilagante. Sostiene che i danni già avvenuti sono più che evidenti, ma si può ancora tentare di arginare il fenomeno per la salvezza della razza umana.
Il libro è la Fabrique du cretin digital, di Michel Desmurget, Editore Seuil.
Chi è rimasto intellettualmente onesto, ma anche coraggioso, non può non ammettere che con il mondo digitale, del virtuale, si stanno creando dei mostri non dei superintelligenti e i danni già provocati, visibili a tutti nel quotidiano, sono irreversibili.
La superconnessione apre negli individui il mondo degli incubi grazie all’instaurarsi di una costante compulsività. Il continuo passaggio alternato, in preda alla compulsività, dall’uso dello smartphone al Tablet o al Pc uccide molte capacità connaturate all’essere umano: si perde la capacità di attenzione e di concentrazione, si acquisisce, come stato naturale, un costante stato di distrazione, si accumula un invisibile e insidioso stress. È così che il Sistema Mente-Corpo si difende, manifestando semplici tic nervosi, un digrignare di denti o una vigorosa stretta dei pugni inconsapevoli, l’incremento di un nervosismo di fondo, fino alla perdita di sonno necessario alla salute psicofisica e giungere alle gravi patologie organiche e/o psicologiche-psichiatriche.
Ci sono bambini di 2-3 anni che vengono tenuti buoni dai genitori mettendo loro in mano lo smartphone o il Tablet e questo per tre quattro ore al giorno: qualcosa di spropositato, per un bambino, rispetto al tempo di veglia e alle esigenze fisiologiche della tenera età. Alcuni genitori giustificano il fatto sostenendo che si tratta di attività ricreativa che li rende tranquilli e che certamente non può fare loro del male. Malafede, ignoranza, egoismo? Non c’è cosa peggiore che il non voler sapere e non curarsi delle conseguenze delle proprie azioni.
Per bambini, ragazzi e adulti la maggior parte del tempo dedicato agli strumenti digitali è per programmi audiovisivi e videogiochi: significa che tanta dedizione non presenta alcun beneficio cognitivo tangibile. I tanti esperti del digitale (tecnici, medici, psicologi, psichiatri, neuroscienziati) che sostengono il contrario sui giornali, su riviste specializzate, su programmi televisivi, sui social sono tutti in malafede perché, senza dichiararlo onestamente come sarebbe giusto fare, sono consulenti di grandi produttori di programmi informatici, di produttori di strumenti digitali (smartphone, Tablet, Pc, iPad, iPhone, chiavette USB), dei gestori di social network (gli indiscussi padroni della comunicazione mediatica sul web), dei giganti che stanno propagandando il 5G e l’insidioso 6G (di cui nessuno racconta la verità).
I social network sono diventati il “modo in cui le persone esistono”. Non è forse tutto questo una anomalia che sfocia in una patologia sociale di vasto raggio?
Un errore di fondo che viene commesso è quello di credere che il saper bene utilizzare il computer del bambino corrisponda ad una sua buona cultura acquisita. Niente di più falso. Un bambino affogato nella compulsività dei dispositivi digitali può essere e restare totalmente ignorante, confinato nelle problematiche della sua personalità bloccata: può essere alienato e sembrare normale o un genio sotto l’occhio insensibile di chi lo circonda.
Il bambino ha bisogno di una varietà di esperienze formative quale la lettura, il gioco come interazione fisica e verbale con gli altri, una pratica sportiva, una eventuale esperienza musicale, artistica o culturale.
Sono in molti coloro che hanno forti interessi a far passare come ad un fatto molto positivo l’esposizione dei piccoli bambini al digitale in nome del multitasking e dell’assuefazione dei giovani a tutte le forme innovative del digitale.
Il neuroscienziato Michel Desmurget afferma che non esiste alcuno studio in grado di dimostrare i vantaggi del digitale nell’apprendimento della lingua, nello sviluppo cognitivo, nel controllo emotivo e nell’autoregolazione necessari allo sviluppo di un bambino in età evolutiva. Sono innumerevoli, invece, i riscontri dei bambini sovraesposti al digitale: ritardo cognitivo, impoverimento linguistico e lessicale, difficoltà verbali e di comprensione di un testo scritto, disturbi del sonno, problemi di salute (nervosismo, ansia, depressione, scoppi d’ira, sedentarietà, obesità, ecc.).
Nessuna forma evoluta del digitale può sostituire il fattore umano per sviluppare la plasticità del cervello e le capacità mentali ed emozionali necessarie.
Non si tratta, quindi, di vietare, di non far usare o di non usare ma di fare un uso consapevole e responsabile degli schermi dei dispositivi digitali: un divieto benefico degli schermi prima dei 6 anni; mezz’ora al giorno dai 6 anni in su educando all’uso consapevole e responsabile.

La stessa Società Italiana di Pediatria (Sip) ha diffuso un documento allarmante sull’uso dei media device nei bambini da 0 a 8 anni. Gli studi hanno osservato l’insorgenza di vere e proprie forme di dipendenza che conducono a disturbi psicologici, a difficoltà del sonno e a difficoltà di socializzazione: un grave pericolo per un cervello ancora in formazione con conseguenze per la futura personalità.
Il mondo delle comunicazioni virtuali è molto utile se usato con intelligenza, con responsabilità e parsimonia ma quando prende il sopravvento trasforma le persone in vittime alienate.
Il digitale patologico provoca, ogni anno in Europa, più di 11,5 milioni di bambini vittime del fenomeno del cyberbullismo, un grave male del secolo. Qual è la vera causa che porta ai disagi subìti dai ragazzi, al cyberbullismo, al sexting e all’autolesionismo?

La completa identificazione con la tecnologia digitale ha guastato il naturale modo di esprime i comportamenti e i modi di comunicare: un’alterazione dello stato naturale che non può che definirsi decerebralizzazione in stato di avanzamento. Significa che è in atto un “processo di istupidimento” dell’uomo-massa di cui nessuno si è reso conto della sua gravità, del pericolo incombente di una trasformazione antropologica irreversibile.
Un esempio di questo guasto è quello di come le famiglie a tavola hanno diminuito o azzerato il dialogo: intorno al tavolo si vedono degli isolati rifugiati nel telefonino anziché dei familiari felici di vivere dei momenti di contatto, guardandosi negli occhi, ascoltandosi, parlandosi, sorridendosi, scambiandosi delle opinioni o facendosi delle domande di qualsiasi natura, raccontandosi eventuali esperienze di vita da condividere. Lo stesso avviene tra amici intorno a un tavolo, al bar, al ristorante, nei locali del divertimento: l’evidenza di un profondo guasto della capacità naturale di comunicare. Si è persa la capacità di costruire momenti di dialogo, non si riescono più a condividere e creare emozioni positive: prevale una grave astrazione dai rapporti veri e si impongono quelli virtuali che non espongono. Preferire una “relazione a distanza” ad una “relazione in presenza” rivela che si sta insediando nella società umana una grave patologia psichiatrica che non tutti vogliono riconoscere. Non solo viene ucciso il dialogo salutare ma si potenziano, rendendoli naturali, i comportamenti di maleducazione che vengono trascinati in ogni dove, degradando sempre di più la società umana, rendendola una “società decaduta”.
Il dispositivo digitale viene vissuto dai più ormai, non come uno strumento utile ma come un’arma sempre pronta a sparare. Sia i piccoli, i giovani, gli adulti e i vecchi più che comunicare sparano messaggi (scrivono o pubblicano messaggi, foto o video) senza minimamente chiedersi quali conseguenze possa avere sull’altra persona o sulle altre persone: tutti mancano di senso di responsabilità, forti dell’assenza di punibilità e della non sanzionabilità. Eppure, questi comportamenti irresponsabili, negli ultimi anni hanno provocato molte vittime. È così che, giorno dopo giorno, si sono scatenati le correnti di odio sul web (sui migranti, sui neri, sugli ebrei, sui gay, su quelli di sinistra, su quelli di destra, sui diversi, sulle minoranze, ecc.).
È ovvio che la responsabilità non è del dispositivo digitale ma dell’uso che se ne fa per essere venuto meno un importante “processo educativo” da parte delle famiglie, degli insegnanti, dei responsabili istituzionali. La responsabilità è anche nel cattivo esempio dato dalla classe politica del Paese, dei politici che si sono messi in vetrina sui social e sparano linguaggi violenti, volgari, offensivi nei confronti di chi non li sostiene, scatenando correnti di odio per ottenere consensi sull’onda di dinamiche emotive manipolate ad arte. Questi politici sono già decerebralizzati anche se si credono grandi statisti (rubando citazioni dei grandi del passato): si credono potenti, si credono superuomini ma sono semplicemente delle persone mediocri, degli incompiuti che hanno capito ben poco della vita perché non l’hanno vissuta, in quanto hanno guardato l’esistenza attraverso la brama di potere che li ha resi ciechi, sordi, indifferenti alle sofferenze altrui. Molti di questi politici sono dei quarantenni che danno un cattivo esempio nell’uso dei dispositivi digitali e dei mezzi di comunicazione: egemonizzano gli spazi pubblici, occupano più schermi televisivi possibile per mietere consensi, tirano le parole-sassi pericolose e nascondono la mano, fanno uso di programmi informatici moltiplicatori di falsi consensi sui social e non disdegnano il ricorso a degli hacker per hackerare i sondaggi (manca loro la consapevolezza del confine tra il lecito e l’illecito). Questi giovani politici che cercano di imporsi e di occupare il potere da esercitare a piacimento, cioè irresponsabilmente, sono cresciuti, disgiunti dalla morale e dall’etica, con il veleno del virtuale nelle vene e non riescono a comprendere la vita vera da dover migliorare per gli italiani che a tavola, una gran parte di loro, hanno bisogno di piatti pieni di “cibo vero” e non di “cibo virtuale” tantomeno di belle parole cotte nell’aria fritta della politica.
Basta vedere come in Italia, tra il 2008 e il 2018, la ricchezza posseduta dai 6 milioni di italiani più poveri è diminuita del 63% mentre quella dei 6 milioni di italiani più ricchi è aumentata del 72%.
Il mondo del digitale, infatti, è il moderno “oppio dei popoli” con cui le persone non si rendono conto di come stanno veramente le cose e non comprendono così chi è per davvero il loro “nemico”.

Il mondo del digitale e delle nuove forme di comunicazione hanno scatenato e fatto dilagare una nuova forma di “guerra occulta”, quella di singoli individui indipendenti o assoldati (hacker), di gruppi, di organizzazioni, di paesi (tramite strutture segrete): una guerra sferrata a colpi di “programmi informatici segreti” che rubano tutti i dati possibili da smartphone, Tablet, Pc, Server, da tutto ciò che è connesso alla Rete. Basta vedere, come esempio, come è finito sul web il database di oltre 267 milioni di utenti di Facebook. Oppure come chi si intrufola in progetti sul web riuscendo a sottrarre migliaia di euro in donazioni sottratte con l’inganno; come degli hacker abbiano rubato stipendi, tredicesime e pensioni sul portale di “NoiPa”; o come un qualunque dipendente di banca possa sottrarre le informazioni riservate dei clienti correntisti (dati e codici segreti), venderle o aprire nuovi conti in molte altre filiali ed avere carte American Express da utilizzare liberamente (in biglietti treno, soggiorni hotel, acquisti Amazon; Rolex, lingotti d’oro e gioielli Tiffany); o come negli Usa siano stati rubati in Google milioni di dati di accesso a servizi e-mail; sono veramente tanti i dati rubati a partire dal 2004 ad oggi e non c’è sistema di sicurezza innovativo (cybersicurezza) che lo impedisca. Senza contare come lo Stato stesso preleva e archivia dati biometrici dei cittadini. I database di riconoscimento facciale vengono utilizzati dalla polizia che ha già scansionato almeno 16 milioni di immagini. E se venissero, questi database, hackerati?
La situazione peggiorerà con l’avvento del 5G e del 6G ma nessuno ne parla per i grandi interessi che ci sono in ballo.

È possibile che l’innovazione tecnologica debba significare diffusione inarrestabile della corruzione e un “processo di istupidimento” dei popoli, cioè di una pericolosa decerebralizzazione?
Un esempio di istupidimento è quello che ci costringe a vedere in ogni luogo, persone di tutte le età, armate di selfie stick o senza che si scattano foto con lo smartphone da diverse angolazioni, senza preoccuparsi minimamente se disturbano o violano la privacy di qualcuno: un mix ridicolo di tecnologia e narcisismo. Senza contare quante vittime ha collezionato fino ad oggi questa stupida selfmania per le situazioni a rischio in cui viene spesso praticata. Tutti questi narcisisti votati all’esibizionismo, mediante l’uso spasmodico del selfie a tutti i costi, si credono unici ma assumono le stesse pose di tutti quanti, le stesse smorfie demenziali, senza alcuna creatività, tranne quando si mettono in esposizioni a rischio (come ormai fanno in molti). Qualcuno si è anche azzardato a pensare al selfie come ad una nuova forma d’arte (il telefonino che ha ucciso con la sua “foto digitale” la “foto chimica” in cui serviva l’arte del vero fotografo): ecco un risultato del “processo di istupidimento” di massa, una decerebralizzazione epocale senza precedenti.

Nell’attualità degradata dei like sui social, dei post, dei tweet, delle fake news, nessuno pensa più a coltivare la propria interiorità: non solo in senso spirituale ma nemmeno in senso intellettuale. È così che neanche l’erudizione viene presa in seria considerazione, diffondendo una preoccupante ignoranza, un ridicolo pressapochismo anche tra i vip, l’assenza della capacità critica, una grave incomunicabilità, un’incompetenza pericolosa, ecc.. I più vivono della convinzione illusoria di fare libere scelte e di prendere decisioni. Gli individui (i tanti “io”) vivono in funzione del giudizio degli altri, si costruiscono profili (veri o finti) che disseminano su Internet per catturare apprezzamenti, consensi e prostituiscono la propria persona per riempire la mancanza che li macera ma che non cercano di riconoscere, comprendere e risolvere. Ecco a cosa è dovuto il degradato livello della attuale condizione umana.
Gli individui assorbono, senza rendersene più conto, tutto quanto li rende dei perfetti contenitori di nulla, per essere manipolati e dominati da chi il gioco lo conduce dall’alto.

Certo è che l’incomunicabilità ai tempi di Internet, che dovrebbe essere l’“era della comunicazione”, è un grande paradosso dei nostri tempi.
Le regole, quindi, sull’utilizzo del cellulare, del Tablet, del Pc, di Internet, dei social, servono a tutti, ai bambini, ai giovani, agli adulti e ai vecchi.

Possiamo concludere con una domanda, per cercare di trovare una risposta.
Cosa si può fare per arrestare la “degenerazione antropologica”, ovvero questa decerebralizzazione in atto?

 

I nati dopo la metà degli anni Novanta o successivamente non sono in grado di concepire il mondo senza computer e senza Internet, senza cellulari e iPod, console e televisioni digitali. Gli individui di questa generazione sono cresciuti in un ambiente diverso: la loro evoluzione mentale è stata determinata da cambiamenti neuroplastici. Tuttavia, chi crede che si tratti di una generazione di “bambini prodigio digitali” si sbaglia. (…) In qualità di neurobiologo e alla luce dei dati raccolti in questo libro, devo sottolineare come i media digitali possano provocare nei giovani un peggioramento nella loro formazione, che il loro utilizzo non favorisce lo sviluppo di impulsi sensomotori e che l’ambiente sociale, come viene ripetuto spesso, subisce modificazioni e limitazioni notevoli. L’immagine del nativo digitale che ha bevuto e assorbito Internet e i computer con il latte materno si rivela a ben vedere un mito. La profondità del lavoro mentale necessaria all’apprendimento è stata sostituita dalla superficialità digitale. In questo contesto i libri di testo elettronici rappresentano un ulteriore esempio di come non dobbiamo assolutamente lasciare la formazione delle prossime generazioni nelle mani del mercato.”

Manfred Spitzer
Visiting professor a Harward e direttore della Clinica Psichiatrica
e il Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm
brano tratto dal libro “Demenza digitale”, pag.193

 

Definire gli adolescenti di oggi “nativi digitali” equivale a incrementare la fantasia che siano veramente nati in un mondo diverso, dove poi sono cresciuti. (…) i nostri giovani pazienti passano connessi a internet tutto il tempo che hanno a loro disposizione, hanno nella maggior parte dei casi compromesso il proprio iter scolastico e universitario, presentano stati dissociativi prima rispetto al corpo in senso concreto e poi a carico della propria identità, manifestano un incremento dell’ideazione paranoide, una difficoltà specifica nel vivere le emozioni e quindi la comunicazione non verbale, fino a un progressivo ritiro sociale. Sono nativi digitali, quasi sempre inconsapevoli della situazione, a volte stupiti di tanto allarme nei loro confronti. Passano tutto il tempo disponibile connessi a un gioco di ruolo, anche 16 ore al giorno. Comunicano in chat o social network. (…) Al di là di qualche eccezione, sono razionali, logici e intellettivamente maturi, con una chiara difficoltà, a volte impossibilità, a riconoscere e vivere le emozioni. Non si tratta di non riuscire a esprimere un sentimento o di essere preda di uno stato umorale depressivo o di eccitazione, ma piuttosto di un’incapacità specifica a trattenere e a sentire propri gli stati emotivi connessi al vivere e ai quali di rado riescono a dare un nome e quindi un valore. Non sembrano avere un rapporto significativo con il corpo e con le sue funzioni, comprese le attività sportive e la sessualità, rispetto alle quali sembrano impreparati a tal punto da riuscire a stento a immaginarle. Sono evidenti un’aggressività coartata e tanta rabbia rimossa, che esplode solo quando vengono messe in discussione le ore di connessione. (…) Tutti però manifestano in rete il bisogno e allo stesso modo la difficoltà di interagire con gli altri. É questo che li distingue dai pazienti adulti, la loro tendenza all’interattività, quasi una fame malcelata di relazioni, sempre in bilico con la negazione stessa di questa necessità e quindi il rischio di ritiro sociale (…).”

Federico Tonioni
Psichiatra, Psicoterapeuta
Ricercatore dell’Istituto di Psichiatria e Psicologia nella
Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
brano tratto dal libro “Psicopatologia Web-mediata”, pagine 2-3

 

Ma guarda, tutti soffrono di demenza digitale e nessuno se ne accorge!” Solo un cinico affermerebbe che non può essere altrimenti, in quanto la demenza implica l’assenza di capacità critica e l’isolamento totale da ciò che avviene intorno a noi. (…) Proprio perché i media digitali ci accompagnano oggi giorno dalla culla alla bara, diventa sempre più difficile vedere chiaramente l’effetto che hanno su di noi. I politici non vogliono e non possono farlo, le chiese si preoccupano di non allontanare i giovani, alcuni professori (“pedagoghi digitali”) vengono pagati per fornire spiegazioni contrarie alle scoperte scientifiche, le istituzioni di studio e ricerca sovvenzionate con fondi pubblici non studiano nulla, bensì occultano e nascondono i dati; (…) Persino le commissioni indipendenti e apartitiche falliscono su tutta la linea e cedono alle pressioni dei mercati e delle lobby. (…) la lettura del rapporto della commissione d’inchiesta “Internet e società digitale” del Parlamento tedesco sul tema della competenza mediatica evidenzia la mancanza di qualunque posizione critica. Come può accadere tutto questo? (…) I rappresentanti di tutti gli altri partiti, (…) anche se non sono stati eletti da bambini e giovani, non dovrebbero sottrarsi alle proprie responsabilità nei confronti delle prossime generazioni e della loro formazione. Tutti parlano di “modellare il futuro in maniera sensata e responsabile”: prendiamoli in parola!

Manfred Spitzer
Visiting professor a Harward e direttore della Clinica Psichiatrica
e il Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm
brano tratto dal libro “Demenza digitale”, pag.255

 

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