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994. Lavoro: i “datori” sempre più padroni e i “lavoratori” sempre più schiavi

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L’umanità sta vivendo una terribile oscurità morale, intellettuale e spirituale: i più agiscono senza principi e valori di riferimento.
Il “sistema di vita” imposto, e ormai fatto prevalere, ha ucciso la Bellezza: la Bellezza è, infatti, la grande vittima della cultura materialistica-consumistica. Quello che ancora viene chiamato uomo ha dimenticato la qualità, la bellezza, l’etica e l’estetica perdendosi nell’ossessione della velocità, della quantità, del profitto, del potere e di ciò che erroneamente viene chiamato progresso: per questo l’umanità ha perso la polis. I politici, inconsapevoli di essere vittime del “paradosso dell’ignoranza” (“effetto Dunning-Kruger”), sono i primi assassini della Bellezza perché con le loro mani immerse, volenti o nolenti, nella corruzione hanno disastrato l’uomo, la società, la natura e l’intero pianeta. Hanno servito non i popoli delle loro nazioni ma coloro che, senza patria nel cuore, si credono i “padroni del mondo”. Uccidendo la Bellezza sono dilagati egoismo, ignoranza e paura inaridendo e intristendo la vita dei più. La Bellezza ispira la condivisione, quella forma di altruismo che arricchisce la vita di stessi e quella degli altri.
Quando l’amore per il prossimo non è frutto di calcolo e di convenienza si esprime come la forza unitiva più potente che c’è, capace di costruire l’impossibile. La Bellezza ispira l’amore vero e questo si fa azione che rende liberi gli uomini: bisognerebbe farla rinascere nell’attuale deserto umano.

L’Italia ha un problema morale che si può risolvere soltanto con un vero rinnovamento etico e valoriale. Tutti gli ambiti della società italiana devono porsi seriamente la “questione morale” perché non è possibile continuare con lo scadimento etico in cui l’Italia è precipitata: un paese senza la certezza della giusta “giustizia” e della legale “legalità” è destinato a precipitare nel baratro. Le logiche della spartizione correntizia hanno degradato, corrotto e incancrenito la magistratura, i partiti politici e tutto ciò che è legato ad un associazionismo.

Con la pandemia del Covid-19 lo Stato, il Governo e la politica hanno dimostrato chiaramente il loro fallimento, l’incapacità ad essere davvero utili per il paese, per gli italiani: hanno saputo aumentare le disuguaglianze. Un fallimento dimostrato dai dati sul Lavoro: tra aprile 2019 e aprile 2020 ci sono stati quasi mezzo milione di posti di lavoro in meno; nel trimestre febbraio-aprile, rispetto ai tre mesi precedenti, si sono registrati -210mila contratti a termine e -129 in un solo mese; in aprile 2020 risultano 274mila occupati in meno e 746mila inattivi in più e la ricerca del lavoro si è fermata. Un fallimento dimostrato dal prevalere della tutela degli interessi privati sulla prioritaria tutela della salute pubblica: dagli arresti domiciliari degli italiani alla loro falsa liberazione. Dimostra questo clamoroso fallimento anche il fatto che 24mila italiani (tutti disoccupati, tra i quali giovani diplomati e laureati, ex baristi, ex camerieri, ex ristoratori, ex autisti, ex impiegati licenziati, ecc.) si sono messi in lista per poter fare i braccianti e non per libera scelta di una vita green ma per stretta necessità, per bisogno di sopravvivenza, un evento subito manipolato dalla politica, dai media come se fosse qualcosa di cui andare fieri, un vanto di orgoglio nazionale mentre è solo una regressione di almeno cinquant’anni. Non ci risulta che ci siano figli di politici, di giornalisti o di imprenditori che con fierezza siano andati a fare i contadini mentre è pieno di politici che sfruttano, con discrezione, delle persone (italiani o migranti) sui campi e giardini privati. Hanno dato vita ad un modello di società basata sull’egoismo individuale, locale, provinciale, regionale e nazionale: un modello di società che non può dare certezza per un futuro vivibile senza una vera giustizia sociale. Una società non può essere quella delle banche che vengono aiutate dallo Stato mentre i cittadini-risparmiatori sono gettati sul lastrico, oppure degli imprenditori ricchi che non pagano le tasse in Italia pur godendo di aiuti pubblici di cui non hanno effettivo bisogno e non meritano. Risorse sottratte alle piccole imprese che vengono trascurate così come la moltitudine dei cittadini in difficoltà. Hanno dato l’impressione di svolgere delle prove tecniche di sospensione dello Stato di diritto, nella gran confusione della filiera di decreti frettolosi (a fine giugno 2020 solo il 19% dei decreti è stato attuato, l’81% manca delle parti attuative) poco chiari e pieni di contraddizioni in cui emerge continuamente la vera intenzione non dichiarata, quella di tracciare, controllare la vita dei cittadini, rendendo opaco il confine tra la vita privata, la vita lavorativa e la dimensione della loro salute. Dimostra quello che diciamo quanto il governo ha decretato con l’Art. 11 del decreto legge “Rilancio” (n. 34/2020, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19/5/2020), nel disporre misure urgenti in materia di Fascicolo sanitario elettronico (Fse), che cancella il comma della Legge del 2012 che richiedeva il consenso libero e informato da parte del cittadino-assistito, che poteva decidere se e quali dati sulla propria salute (non solo di malattie, visite, analisi, farmaci, eventuali ricoveri di pronto soccorso, allergie, vaccinazioni, certificati, cartelle cliniche, ma anche dati reddituali riguardanti l’interessato e il suo nucleo familiare) inserire nel Fse o addirittura avere il diritto alla non raccolta dei dati. Oggi può essere alimentato il Fse anche in assenza del consenso: una cancellazione che non ha senso (cancellazione del diritto alla privacy) se non ci fosse un doppio fine, quello del controllo alla stregua della tante App apparentemente non obbligatorie.
Un modello di esistenza non scelto dai cittadini ma imposto anti-democraticamente. Dimostra questo fallimento il fatto che, nonostante il Governo con i suoi decreti abbia vietato i licenziamenti durante la pandemia (ripetendo, promettendo, annunciando “Nessuno perderà il lavoro per il Coronavirus”), piccoli datori di lavoro ma anche aziende, italiane e non italiane (un esempio eclatante è il dichiarato licenziamento collettivo di 190 lavoratori-dipendenti della Jabil, del sito di Marcianise-Caserta, anche se poi revocato dietro una lunga trattativa e sostituito con cinque settimane di cassa integrazione per Covid), vìolino tranquillamente quanto decretato. Significa che siamo di fronte ad un Governo senza vera autorità che fa il forte solo con i cittadini italiani in grandi difficoltà. Si tratta di un Governo piegato alla prepotenza degli imprenditori e industriali che pensano, parlano e si comportano da padroni incontrastati. Basta vedere come per il serio problema del contagio sul posto di lavoro Confindustria e Confcommercio pretendano, egoisticamente, un paracadute a favore dei datori di lavoro in caso di contagio. Questi imprenditori dimostrano come a loro non importa nulla del rischio di contagio dei cittadini-lavoratori, ma si preoccupano molto di non vedersi addebitare alcuna responsabilità: un pensiero-comportamento vergognoso, disumano, incivile, antidemocratico, crudele, immorale, senza alcuna eticità, certamente condannabile anche se non penalmente. Non vogliono che un eventuale contagio venga equiparato ad un infortunio sul lavoro, con il rischio di conseguenze penali. È sempre la solita storia: i padroni vogliono sempre “la botte piena e la moglie ubriaca” e il Governo piegato ad assecondarli. I padroni ordinano e il Governo di turno a creare loro uno scudo ad hoc, su misura, però da sistema antidemocratico nutrito di un inaccettabile pensiero cinico, abbandonando il lavoratore ad un possibile rischio (alla fortuna o sfortuna), con la responsabilità tutta sulle sue spalle. Così il Governo mette le mani appositamente sulle norme vigenti per deresponsabilizzare completamente il datore di lavoro: un vero atto di vigliaccheria. Il fallimento è ulteriormente dimostrato dal fatto che possano esistere casi come quello del commissariamento effettuato di Uber Italy (filiale italiana di Uber) per lo sfruttamento dei lavoratori migranti e richiedenti asilo e i rischi per la sicurezza (la procura indaga su tutte le provincie italiane, dopo che i Carabinieri del Comando Tutela Lavoro hanno ascoltato mille “rider” sul caporalato, i fattorini dei servizi digitali di consegna, operanti per le piattaforme virtuali del food delivery). Una grave faccenda fatta di minacce (da parte della società per cui lavoravano), ricatti, messaggi inquietanti nelle chat interne dei cicloffatorini, reclutamento disdicevole delle società di intermediazione come la Flash Road City (società milanese che si occupa di servizi nell’ambito della logistica), paghe non adeguate e differenziate (a Milano 3 euro e a Roma 11 euro per un pacco portato a domicilio) e utilizzate per la minaccia con metodi da caporalato, da capi bastoni, compresa la sottrazione delle mance lasciate dai clienti. È stato provato come Uber considerasse i “rider”: solo “puntini su di una mappa”, da attivare o bloccare a piacimento. Se esistono datori di lavoro che possono comportarsi così è perché non hanno paura delle leggi vigenti e del governo in carica, che non considerano autorevole, in quanto più volte ha dimostrato che non vi è certezza della pena per chi la merita. I “rider” in Italia sono 20mila e le piattaforme di lavoro che li riguarda non hanno alcun interesse a riconoscere i loro diritti certi, anche se già stabiliti in Cassazione. Una legge approvata per loro già c’è, quella di fine 2019 con termine ultimo novembre 2020, ma per firmare il contratto non è prevista alcuna trattativa tra Assodelivery e i sindacati: la legalità è ferma mentre il caporalato è operante. Se questa forma di schiavismo esiste non è forse colpa di un “governo che non fa il governo”?
Ci chiediamo se siamo ancora effettivamente alla presenza di uno Stato di Diritto, se non sia stato sospeso a nostra insaputa. A ben guardare, in moltissimi casi e situazioni, è come se fosse stato sospeso per davvero. Ci dovremmo forse chiedere dov’è finito il senso della vita se tutto è ormai assoggettato alla prepotenza, all’arroganza e all’abuso dei “Mercati” (del “profitto”) e delle disumane risposte comportamentali e comunicazionali date dalle Società, dalle Aziende, dalle Fabbriche, dalle Multinazionali, ecc. a questi “Mercati”, finendo sempre per penalizzare i cittadini-lavoratori, visti solo come beni propri da sfruttare e non come persone aventi diritti. Basta vedere quelle fabbriche o aziende (Firenze, Livorno, Brindisi, Taranto, ecc.) che hanno richiamato, minacciato o licenziato le proprie risorse perché hanno lamentato-denunciato pubblicamente l’assenza di mascherine, di guanti e di gel igienizzanti per la protezione contro il Covid-19 (dispositivi richiesti, oltretutto, dal governo nei vari decreti). Dove sono finiti questi sacrosanti diritti umani menzionati nella Costituzione, nello Statuto dei Lavoratori (41 Articoli della Legge 300 del 20 maggio 1970), nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nelle grandi occasioni pubbliche nazionali, europee e internazionali in cui se ne straparla ma di cui i singoli cittadini, calati nella loro problematica quotidianità, non ne vedono neanche l’ombra pur continuando a subirne la violazione? In realtà chi dovrebbe vigilare, tutelare, difendere è del tutto assente. Dagli anni Novanta ad oggi la situazione è sempre più peggiorata. Dal 21 febbraio 2020 con la pandemia del Covid-19 la questione si è aggravata ancora di più. Insieme all’emergenza pandemia sembra sia scattato un ordine nuovo delle cose piuttosto preoccupante.
Preoccupante è il totale disinteresse mostrato verso il futuro dei giovani: le belle parole e le annunciazioni spese al vento non hanno mai aiutato né sfamato nessuno. I giovani hanno diritto al futuro ma se lo sono ritrovati, finora, sottratto e per colpa degli errori effettuati dalle generazioni precedenti: il mondo sbagliato in cui sono costretti a vivere è quello ricevuto in eredità dai genitori. Se sono confusi, disorientati, disagiati, pieni di dubbi, arrabbiati non è colpa loro. I giovani vanno aiutati a ritrovare l’orgoglio istintivo proprio della loro età, che il modello sbagliato della società gli ha soppresso. Bisogna riconsegnare loro l’orgoglio istintivo per spingerli verso una direzione costruttiva permettendo così un concreto balzo in avanti verso un futuro possibile in cui realizzare i loro sogni. I giovani hanno il diritto di prendere in mano il timone della società per poter riscolpire una nuova politica, una nuova economia, una vera giustizia sociale, una giusta dimensione del lavoro, una cultura che risvegli le coscienze, un’arte illuminante, ecc.. In poche parole è fondamentale l’inclusione dei giovani nei processi decisionali e di sviluppo del paese per un futuro più equo.
Ripetiamo, come già fatto in altri contesti, che il modello di esistenza adottato finora deve essere ripensato, riconsiderato, essendo la causa del disastro attuale: il vecchio sistema è caduto in pezzi anche se tutti fanno finta che stia ancora in piedi. Il dramma del Covid-19 subìto, avendo rivelato tutta la fragilità dell’uomo moderno, dietro la sciocca e demenziale ostentazione di un uomo supereroe (offerta da alcuni leader politici, più pagliacci che politici), offre l’occasione, da non perdere, di un’inversione di rotta, dal buio verso la luce, ma prima che i soliti “poteri forti” e “poteri occulti” (nazionali e sovranazionali) riprogrammino ogni cosa secondo la loro sola convenienza. Il cittadino, in questo momento, deve spogliarsi da ogni tipo di dogma politico, economico e finanziario e guardare solo nella direzione del supremo bene comune. Per eliminare le diffuse disuguaglianze sociali, l’aumento della povertà e il pericoloso ritorno di più forme di schiavitù nel mondo del lavoro, occorrono importanti cambiamenti (miglioramenti) culturali e strutturali a più livelli dell’intera società. Rimettere l’uomo al centro è fondamentale altrimenti ogni ripartenza risulterà una falsa partenza, un ulteriore inganno. Il nuovo sistema, per un nuovo mondo, dovrà concentrarsi sull’importanza della felicità dei singoli e, per riflesso, della collettività. Si tratta di una nuova consapevolezza sociale e ambientale che potrà impegnare tutti, nessuno escluso, guardando all’economia e alla finanza non per il mero profitto e la sopraffazione sull’altro ma per ottenere un reale processo di ricostruzione che mette al centro l’uomo e la sua felicità.

L’inaccettabile verità è, invece, che il “mondo del Lavoro” è sotto la costante pressione prepotente del più forte: si riscontra concretamente, a vista d’occhio, quindi non si tratta di ipotesi, che i rapporti di lavoro sono ancora improntati a una concezione medievale, secondo cui il prestatore d’opera è un servo, come fosse proprietà esclusiva del datore di lavoro, non persona libera avente diritti. Il datore-padrone è più forte e si può far beffa delle leggi alle quali gli altri invece devono sottomettersi. Basta vedere certi imprenditori come hanno subito, e facilmente, licenziato i lavoratori (vedi, ad esempio, Flavio Briatore che si è pure vantato di aver licenziato più di mille persone, senza menzionare di essere un buon evasore fiscale), nonostante il governo avesse assicurato che nessuno sarebbe stato licenziato sotto la pandemia del Covid-19. Non si è fatto scrupoli di scaricare la sopravvivenza dei lavoratori sulle spalle dello Stato e senza che nessuna autorità dicesse qualcosa o intervenisse. Come imprenditore nessuna responsabilità sociale e nessuna forma etica dell’imprenditoria. Anche lo Stato mostra i muscoli solo con il cittadino che si trova in una situazione debole, di bisogno, ma non usa il “potere formale” che gli è proprio per fare qualcosa contro quegli imprenditori, grandi aziende, gruppi industriali, multinazionali che non solo si appropriano illegittimamente di “aiuti pubblici” che non gli spettano ma sottraggono al fisco italiano, con il trasferimento della propria sede legale in Olanda o in altri paesi con tassazioni agevolate, flussi di denaro insospettabili, non perseguibili, non sanzionabili. Tutti sanno tutto ma nessuno fa nulla, così dall’Italia spariscono ogni anno profitti per quasi 30 miliardi di euro e di questi più di 3 miliardi finiscono in Olanda: si tratta, infatti, di un modo per sottrarre quasi un miliardo di euro all’anno al fisco italiano (quasi il 40% del gettito da tassazione sui profitti di impresa dell’Olanda deriva da questo scippo). L’Olanda risucchia ogni anno dai paesi membri fino a 72 miliardi di euro di profitti aziendali: quasi 10 miliardi di euro finiscono nel fisco olandese ma il resto rimane nelle casse delle multinazionali. Chi sono questi furbi che fuggono dalle tasse italiane che invece i normali cittadini, anche in difficoltà, sono costretti a pagare senza possibilità di patteggiamento? È l’èlite italiana padrona, che vive al di sopra delle Leggi a cui tutti devono invece sottostare, con il consenso dello Stato, del Governo e della politica che non usa il “potere formale” per impedirglielo. In primis ci sono, ed è una vergogna, le importanti “partecipate“ italiane come Eni, Enel e Saipem seguite da Mediaset, da Ferrero, da Illy, da Cementir, da Prysmian, da Luxottica, da Fca (ha sede fiscale in UK e sede legale in Olanda), da Ferrari, da Exor e con grande stile da Telecom Italia-TIM. Fuori dall’Italia i “dividendi” non possono essere tassati: sono tutti imprenditori etici, non c’è che dire. Andrebbero vietati, con il decreto Liquidità, a chi usufruisce dei finanziamenti garantiti dallo Stato, dividendi e distribuzione di bonus e stock option ai vari manager, almeno per tutta la durata dei prestiti e non penalizzare solo i dipendenti (operai, impiegati, quadri) con contratti di solidarietà impropri o espellendoli come esuberi dal mondo del lavoro come pedine e non persone.
È inaccettabile che lo Stato, il Governo e la politica abbiano aiutato per anni, e continuino ad aiutare, con i soldi pubblici, un certo numero di imprenditori-editori (veri e propri “centri economici” e “centri dell’informazione”) che mentre ricevono gli aiuti pubblici si mettono, nello stesso tempo, ad esercitare pressioni sulla politica col fine di condizionarla. Si tratta di Gruppi imprenditoriali che da un lato esercitano il potere economico e dall’altro il potere mediatico: da un lato fanno utili milionari e dall’altro manipolano l’opinione pubblica. Alcuni di questi imprenditori-editori saprofiti sono Carlo De Benedetti (l’ingegnere che a 85 anni sferra una vendetta contro i figli creando il nuovo quotidiano “Domani”), John Elkann (che controlla Repubblica, La Stampa, Corriere della Sera, L’Espresso), Franco Caltagirone (controlla il Messaggero di Roma, Il Mattino di Napoli, Il Gazzettino di Venezia, il Corriere Adriatico, il Nuovo Quotidiano di Puglia e il social press Leggo), Antonio Angelucci (controlla Il Tempo, il Corriere dell’Umbria, Libero), Silvio Berlusconi (che attraverso Fininvest controlla Mediaset), Urbano Cairo (controlla molti settimanali). Una èlite italiana vergognosa per come ha costruito il proprio impero, vampirizzando sempre lo Stato: sono membri impuri del Capitalismo italiano.
Questi imprenditori sono, a tutti gli effetti, “poteri forti”, e alcuni anche “poteri occulti”, perché non sono dediti soltanto alla produzione ma, gran parte di loro, si sono accaparrati l’“informazione” per manipolare ed esercitare una forma di pressione, così come “poteri forti” impongono-comunicano la loro supremazia con i propri mezzi di comunicazione, proteggendo-difendendo la propria roccaforte di potere conquistata. Molti di questi imprenditori sono degli evasori fiscali, con sede all’estero o in Italia, che rubano alla sanità, alla scuola e alle strade, praticamente ai cittadini-contribuenti.
Non deve stupire se qualche banchiere faccia la morale agli altri come il CEO di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che tempo fa sproloquiava su quelli che hanno portato le loro sedi all’estero. Egli mentre chiedeva agli imprenditori italiani, con la sede delle loro imprese all’estero, di rientrare in Italia e di evitare di ricorrere agli aiuti pubblici per il Covid, si apprestava a finanziare Fiat Chrysler Automobiles grazie alla garanzia pubblica sui debiti. Gli imprenditori ricchi, sempre più ricchi, sono molto egoisti perché rubano le garanzie di Stato ai settori deboli non avendone realmente bisogno. Non sarebbe ora che il “potere formale” del governo facesse tornare i soldi di questi approfittatori immorali nelle loro aziende, cioè in Italia, dove sarebbe giusto pagare quanto dovuto al fisco italiano rimpinguando le casse pubbliche?
Tante sono le evidenze di questi “centri economici” e “centri dell’informazione” che stanno facendo di tutto per poter mettere le mani intanto sui 55miliardi previsti per il 2020 dalla manovra per la ripresa economica del paese (un ricavato dei 150miliardi di euro messi a disposizione dal governo, lo sfruttamento dello scostamento di bilancio, e 24,6miliardi per il 2021), oggetto del Decreto Rilancio (per famiglie e imprese a detta del premier) approvato dal Consiglio dei Ministri: si tratta di “centri” che sembrerebbero aiutati, nascostamente, da alcune forze politiche. Flussi finanziari che fanno gola a molti e non per il bene dell’Italia ma per fini politici egoistici per guidare occultamente il paese verso una certa direzione. Gli stanziamenti annunciati sono: 25,6 miliardi per i lavoratori, 15-16 miliardi per le aziende, 3,25 miliardi alla sanità, 1,4 miliardi a università e ricerca, 2 miliardi per il turismo. Sperando che non si tratti di annunciazioni-specchi per le allodole e che il denaro pubblico, come spesso è accaduto in passato, non si volatilizzi senza sapere mai dove è finito, in quale manina occulta (come, a suo tempo, i 48milioni 969mila e 617 euro rubati o sottratti dalla Lega). A questa operazione si aggiungerebbero tagli per 4 miliardi di tasse. Tra queste misure spiccherebbero il taglio della rata di giugno dell’Irap e il blocco dei licenziamenti per 5 mesi; il Rem che oscillerebbe da 400 a 800 euro a seconda del nucleo familiare, la regolarizzazione per 6 mesi di braccianti, colf e badanti.
Preoccupa quanto ha scatenato il rilascio dei 150milardi approvati con il Decreto di Aprile 2020: guerre invisibili tra “ego” economici e l’evidenziazione di richieste e pretese assurde da parte di molti imprenditori (fabbriche, aziende, società, ecc.) che chiedono finanziamenti a fondo perduto e nello stesso tempo propongono regole a cui tutti gli altri dovrebbero attenersi ma non loro, per loro niente regole da rispettare, solo scudi protettivi. Gli stessi imprenditori che hanno contribuito alla crisi in corso, succhiando negli anni soldi pubblici, vorrebbero gestire questi soldi. Questi imprenditori immorali che chiedono tutto per sé stessi e niente per i cittadini-contribuenti (lavoratori, disoccupati, pensionati), tanto meno per quelli in difficoltà (che considerano “mangiatori inutili”), hanno da ridire infatti anche sul “Reddito di cittadinanza” che considerano puro assistenzialismo mentre i soldi da loro richiesti a fondo perduto è qualcosa di più nobile, quasi un atto dovuto perché loro rappresentano il Capitalismo italiano (vampirizzando lo Stato). Non accettano, ad esempio, il divieto di licenziare se prendono gli aiuti pubblici; non vogliono che nei Cda ci sia un rappresentante pubblico per controllare il percorso dei soldi presi per evitare deviazioni che farebbero soffrire la produzione e i salari alle famiglie; non accettano l’estromissione dagli aiuti pubblici avendo delocalizzata l’azienda o portata la sede in un paradiso fiscale. E così via. Noi crediamo infatti che questi miliardi non finiranno nelle mani di chi dovrebbero, non apporteranno l’aiuto promesso per cambiare il paese, non saranno risolte le disuguaglianze (che chiamano divergenze) né la disoccupazione né ridotta la povertà diffusasi. C’è troppo egoismo diffuso: non vengono fatte le cose secondo coscienza ma solo secondo gli interessi di parte.
D’altronde non c’è più nessuna forza politica che rappresenti gli interessi delle classi subalterne. La sinistra, che è la forza politica che lo faceva nel passato, si è sconfitta da sola dando “voce”, in questi anni, ai suoi uomini peggiori che non hanno avuto il coraggio, la capacità o addirittura l’onesta consapevolezza delle sconfitte subìte, specie nella tutela e nella remunerazione del lavoro. Ciò che si evidenzia all’orizzonte è l’impotenza della politica incapace ad invertire le tendenze di mercato (in realtà dei “poteri forti” e dei “poteri occulti”) che penalizzano i cittadini-lavoratori-contribuenti. Il lavoro, che rende poveri e schiavi i lavoratori, è stato legittimato istituzionalmente grazie alla cancellazione dell’Art. 18 e all’imposizione del Jobs Act dell’illegittimo governo Renzi. Settembre o dicembre 2020 potrebbero vedere una moltitudine di licenziamenti.

Tra i tanti esempi italiani cui attingere, portiamo nella nostra vasta dissertazione sul Lavoro, dove i vari fili mostrano coerenza, il caso della Telecom Italia-TIM, tra le tante Aziende, perché è quella che conosciamo molto bene al suo interno (strutture, dipendenti e dirigenti) ma lungi da noi voler dare una qualche forma di attacco. Telecom Italia-TIM è un’Azienda che si è data un “Codice Etico” che indica i suoi obiettivi e i suoi valori e che quindi ha fondato un corpus di principi a cui ispirarsi per “agire”, per una conduzione degli affari eticamente orientata, ovvero trasparente, corretta e leale, così sostiene. Si è fornita, quindi, di un “Codice Etico” e di una “Policy per il rispetto dei diritti umani” (una Policy che dovrebbe far rispettare i Diritti Umani del Gruppo). È nel 2015 che la policy prende vita per rappresentare l’impegno del Gruppo per il rispetto dei Diritti Umani.
Bisogna ricordare che il “Codice Etico” di Telecom Italia-TIM è alla base del Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/2001, vale a dire un modello di organizzazione e gestione, adottato ai sensi del D.Lgs. 231/2001, volto a prevenire la commissione di tutti quei reati che possono comportare una responsabilità amministrativa della Società.
Il Gruppo ha dedicato una specifica struttura (Compliance 231), all’interno della Direzione Compliance, per coordinare le attività di formazione dei dipendenti riguardanti il “Codice Etico” e il “Modello Organizzativo” (compresa la policy anticorruzione). Anche un “Codice di Condotta Antitrust” guida il top management, dirigenti e dipendenti. Non risulta chiaro, però, come il Vertice vero, quello decisionale in tutto e per tutto, si attenga all’eticità, di cui il Gruppo si fa vanto, dal momento che sottrae cospicui aiuti di Stato (vedi i suoi contratti di solidarietà inflitti ai dipendenti sebbene l’Azienda non sia mai risultata nelle liste delle Aziende in difficoltà, come dimostrano i suoi Bilanci e i superbonus stratosferici dati ai suoi supermanager, nonostante usufruisca da anni di questi impropri contratti di solidarietà, un prezzo pagato dai soli dipendenti nonché dallo Stato) e allo stesso Stato di appartenenza sottrae gettito fiscale grazie al trasferimento della sede in Olanda. Qualcosa non quadra a dovere e chi dovrebbe vigilare fa finta di non vedere, di non sapere.
Il Gruppo cura una impeccabile immagine esteriore presenziando in diverse organizzazioni, nazionali e internazionali, attraverso l’adesione a numerosi impegni ambientali e sociali. Infatti è nel 2002 che aderisce al Global Compact, il patto globale promosso dall’Organizzazione per le Nazioni Unite, voluto da Kofi Annam per sostenere le iniziative legate a  questi temi in tutto il mondo. Un esempio è il progetto “Direzione Donna” (che avrebbe l’obiettivo di valorizzare il ruolo della donna in ambito professionale legato alle Pari Opportunità) ma anche l’esempio di questi giorni dato dal progetto per i sordi affetti da Covid-19, portato avanti insieme all’Ens (Ente Nazionale Sordi Onlus), che regala oltre 1000 device a 75 Ospedali sparsi per l’Italia, oppure il servizio, certamente utilissimo, “Tutela minori, segnalazioni abusi online” e l’ultimissima iniziativa, all’interno dell’Operazione Risorgimento digitale, la E-learning Card per far navigare gratis docenti e studenti sulle piattaforme di didattica a distanza indicate dal Ministero dell’Istruzione, voluta dall’ad Luigi Gubitosi. Quali sono i vantaggi che ricava da tutta questa ostentata generosità-solidarietà sospetta? E cosa si vuole ottenere con l’ultimo “Progetto Green e Informatica”?

Le azioni filantropiche, di individui, di family offices, di fondazioni, di grandi aziende o multinazionali, sono sempre funzionali alla loro immagine pubblica ma anche ad esercitare una certa influenza in certi ambiti e in certe situazioni: la vera generosità è quasi sempre assente mentre presente è il fine utilitaristico dell’azione filantropica. Tutti questi filantropi ambiscono, ad esempio, senza dichiararlo, anche alla gestione della sanità internazionale perché finanziando i programmi sanitari ne dettano le regole (che significa potere): il filantropo vuole restare sempre padrone come nelle sue aziende nei riguardi dei propri dipendenti che vede come sudditi. Tutte le iniziative riguardanti i diritti umani, l’etica, i progetti per la donna risultano spesso solo “specchi per le allodole”, un nulla di fatto reale, un nascondere, un mascherare ciò che è meglio non venga in luce.
Chi si dedica alla filantropia, invece, dovrebbe farlo con il solo scopo di poter manifestare solidarietà verso le persone che vivono in condizioni difficili, sia dal punto di vista della salute sia dal punto di vista economico (che hanno subìto la sottrazione della dignità morale ed economica) e non sviluppare una marketing filantropico per avere una riduzione della pressione fiscale e dare punti alla propria immagine pubblica. Una Azienda mossa da sinceri ed autentici sentimenti filantropici non aiuta soltanto all’esterno della sua realtà aziendale, per una questione di immagine, ma soprattutto i propri dipendenti che versano in diversificate difficoltà, anziché penalizzarli con scelte e politiche aziendali piuttosto discutibili.

Ci chiediamo se aver portato la sede in Olanda, per Telecom Italia-TIM, venga considerato un pensiero-azione che rientra nel suo “Codice Etico”. L’Etica, ognuno la può interpretare come gli pare senza abbracciarne davvero il suo significato e senso: lo spostamento di senso è ormai una tecnica utilizzata nel marketing, nel management.

È quanto vediamo fare in molte Aziende italiane, da molti imprenditori, che hanno un modo tutto proprio di concepire il Capitalismo di cui sono attori ma che non fanno altro che chiedere finanziamenti pubblici a fondo perduto, specie in questo momento con il pretesto del Covid-19.
Molte sono le Aziende che, senza vergogna, stanno cercando di approfittare, pur non avendone effettiva necessità, di quanto il Consiglio dei Ministri ha approvato con il “Decreto liquidità”, che stanzia garanzie dello Stato fino a 200 miliardi di prestiti. Tra questi ricordiamo la Exor (la cassaforte degli Agnelli).

Leggiamo su http://www.treccani.it/enciclopedia/etica/:
etica In senso ampio, quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento (gr. ἦθος) umano, politico, giuridico o morale; in senso stretto, invece, l’e. va distinta sia dalla politica sia dal diritto, in quanto ramo della filosofia che si occupa più specificamente della sfera delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite o di quelle politicamente più adeguate.
I filosofi nelle loro dottrine etiche hanno avuto di mira due differenti obiettivi, spesso ricercati congiuntamente. Da una parte si sono proposti di raccomandare nella forma più articolata e argomentata l’insieme di valori ritenuti più adeguati al comportamento morale dell’uomo; dall’altra hanno mirato a una conoscenza puramente speculativa del comportamento morale dell’uomo, badando non tanto a prescrivere fini, quanto a ricostruire i moventi, gli usi linguistici, i ragionamenti che sono rintracciabili nel comportamento etico. Nel 20° sec. è invalso l’uso di distinguere nettamente tra questi due indirizzi nella riflessione sulla morale, caratterizzando come e. una filosofia prevalentemente pratica, impegnata in difesa di determinati valori, e come metaetica una filosofia con pretese esclusivamente teoretiche e conoscitive, rivolta a ricostruire la logica e il significato delle nozioni in uso nella morale (…).

Leggiamo ancora su http://www.treccani.it/vocabolario/etica/:

ètica s. f. [dal lat. ethĭca, gr. ἠϑικά, neutro pl. dell’agg. ἠϑικός: v. etico1]. – Nel linguaggio filos., ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criterî per giudicare sulla moralità delle azioni umane: e. socratica, e. edonistica, e. kantiana, e. utilitaristica, e. nietzschiana; Etica Nicomachea e Etica Eudemea, titoli di due opere morali di Aristotele. In senso più ampio, complesso di norme morali e di costume che identificano un preciso comportamento nella vita di relazione con riferimento a particolari situazioni storiche: e. greca, e. cristiana; e. protestante, quella che, secondo le tesi del sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), avrebbe informato in Europa lo spirito del capitalismo dopo il 16° sec. nei paesi protestanti, o fra le sètte protestanti all’interno dei paesi cattolici (si tratterebbe di un’etica razionalistica che assegna fini essenzialmente mondani, quali l’impegno, il lavoro, la riuscita, e soprattutto l’accumulazione metodica della ricchezza). In partic., e. professionale, l’insieme dei doveri strettamente inerenti alle attività professionali svolte nella società.

Non va dimenticato che non a caso viene spesso affiancata al concetto di moralità, l’etica come comportamento morale. In pratica c’è una distinzione fra morale, che indica l’insieme dei valori e le regole di vita di un soggetto o di un gruppo, e l’etica, termine con cui si fissano i comportamenti leciti in maniera oggettiva.

Il “profitto” dovrebbe rappresentare la diretta conseguenza della realizzazione dei benefici comuni tra datore di lavoro e lavoratori ma così non è nella maggior parte dei casi.
Una cosiddetta Azienda etica dovrebbe avere un impeccabile comportamento legale, trasparente e socialmente utile, agli occhi di tutti, dei lavoratori al suo interno e di tutti coloro che dall’esterno interagiscono in un qualche modo con essa. Rientrano negli eventuali obiettivi etici il livello di occupazione, le motivazioni dei dipendenti, l’immagine esterna dell’azienda, il rispetto per il consumatore, il massimo rispetto per le norme civili, penali ed amministrative.

In questa pandemia, rivelatrice di molte cose nascoste e ignorate prima, ad esempio lo smart working si è rivelato molto utile come fase di emergenza, sia per i lavoratori sia per i datori di lavoro, ma ha fatto emergere molti subdoli fattori sui quali è necessario riflettere tutti insieme, lavoratori, datori di lavoro, sindacati, governo (Ministero del Lavoro e tutte le istituzioni di competenza), medici-scienziati, sociologi (alla De Masi però) e magari filosofi. Bisogna riconoscere, però, che ha salvato l’economia, la scuola e contribuito a salvare la salute di milioni di persone.
La pandemia ha ripresentato, con maggiore forza del passato, il problema che i cittadini-lavoratori non hanno più realmente come riferimento fondamentale lo Statuto dei Lavoratori. Esso ha subìto attacchi sin dal suo nascere perché i suoi principi fondanti destabilizzavano i “poteri forti” che non potevano accettare una evoluzione sociale di stampo democratico. Alcuni suoi “punti di forza” hanno permesso l’avvio di un vero e promettente sistema democratico che purtroppo è stato stoppato dai “poteri forti” e dai “poteri occulti” (anche quelli di stampo eversivo).
Lo Statuto dei Lavoratori ha permesso agli italiani di conoscere meglio i diritti individuali dei lavoratori, la dignità morale ed economica e l’autoregolazione del diritto allo sciopero, ma non solo. Lo Statuto ha fatto acquisire la consapevolezza di come il cittadino (della Costituzione) non può perdere i propri diritti nei luoghi di lavoro: un punto fondamentale attualissimo perché i diritti del cittadino-contribuente non possono essere condizionati dalle epoche, di crisi o di benessere, se c’è una buona produzione e un buon profitto. Qualsiasi tipo di modello organizzativo del lavoro non può mettere in discussione i diritti del cittadino-lavoratore. I diritti riguardano la libertà, l’uguaglianza, la parità di genere, la casa, la salute, i trasporti, l’ambiente. L’avvio di un vero sistema democratico della società venne stoppato da una lotta di classe dei ricchi contro i poveri, una lotta sostenuta e sfruttata dalle destre con attivissime reazioni nei confronti del mondo operaio, ridando fiducia e possibilità di riscatto ai “poteri forti” e ai “poteri occulti”. Quella dell’Italia, dagli anni Settanta ad oggi, è una storia occulta che non viene appositamente riconosciuta, come si dovrebbe, dalle forze politiche (di destra, di centro e di sinistra) tutte asservite ai ricchi e ai potenti. Il mondo del lavoro disastrato di oggi, senza più veri diritti, è dovuto ai colpi sferrati (sul piano giuridico e istituzionale) dalle forze politiche (di sinistra, di centro e di destra) tutte piegate ai padroni del mondo (rappresentati dai “poteri forti” e dai “poteri occulti”). Alcuni dei colpi inferti sono: il referendum del 1993 che ha letteralmente indebolito i tre sindacati maggiori (che da lì in poi si sono solo preoccupati della loro sopravvivenza); l’Articolo 8 del decreto Legge n. 148 del 2011 che ha modificato la forma di contrattazione rispetto a quella precedente di maggiore efficacia; il Jobs Act che può chiamarsi il nuovo e moderno istituto di schiavitù legalizzato, partorito da dementi e corrotti asserviti ai “poteri forti”.
La preoccupazione di Antonello Soro, il garante della privacy, è sacrosanta: “Il diffuso ricorso allo smart working ha catapultato una quota significativa della popolazione in una dimensione di cui va impedito ogni uso improprio”. L’Authority ha colto nel segno nel sostenere che bisogna tutelare il “diritto alla disconnessione” poiché in questa emergenza Covid circa il 50% dei dipendenti delle più grandi aziende italiane ha lavorato in smart working.
Lo smart working insieme all’obbligo di restare chiusi in casa per decreto governativo hanno fatto emergere nel 62% dei lavoratori problemi di insonnia, di cefalee, di depressione, di cervico-dorso-lombo-sacrale, di ernie e di tendiniti ma non solo. Nello stesso tempo i lavoratori hanno risparmiato tempo, denaro e molto stress per recarsi in ufficio (traffico e inquinamento); anche le aziende hanno guadagnato il 15-20% in più di produttività (da ricerca sociologica effettuata dal FPA, il Centro Studi sull’innovazione nella Pubblica Amministrazione) nonostante vi siano alcuni detrattori dello smart working che affermano il contrario (i soliti aggrappati ai pregiudizi contro i lavoratori, pubblici e privati, che vedono solo “furbetti del cartellino” e fannulloni).
Per molte aziende lo smart working ha significato subito la possibilità di tagliare i costi mentre per la vita dei cittadini-lavoratori impreparati all’evento si è rivelato un’intrusione del lavoro nella vita familiare, nella vita privata, nella convivenza con i congiunti. Un’intrusione, una ingerenza dell’azienda nella casa (in affitto, acquistata o con mutuo in corso) del cittadino innanzitutto, avente diritti costituzionali, che come lavoratore vedrebbe sfruttare impropriamente in molti casi, i propri luoghi e strumenti. Grazie alla pressione fisica e psicologica dell’urgenza, dell’emergenza alcuni hanno fatto firmare, senza apparente costrizione, una “Dichiarazione” dopo aver preso visione di un documento di “Adesione”, rendendo il lavoratore smart-worker responsabile di tutto per qualsiasi cosa possa accadergli durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e mantenendo per sé come azienda un impeccabile “Scudo”: è quello che ad esempio ha fatto Telecom Italia-TIM con tutti i propri dipendenti, che per poter aderire allo smart-working hanno dovuto fornire un’autodichiarazione sulle proprie dotazioni private. Anche se tutto sembra essere stato fatto alla perfezione con un Accordo Sindacale, crediamo ci siano molti punti discutibili e impugnabili, degli abusi, una sovragestione a casa del lavoratore dove l’azienda non può avere nessuna voce in capitolo perché la casa del lavoratore non è proprietà dell’azienda di cui pretende di poter disporre a piacimento senza contribuire in alcun modo. Rivela lo spirito di arroganza e di pretesa dell’azienda che tra l’altro con lo smart-working ha sottratto ai lavoratori la possibilità di usufruire dei “buoni pasto”, che contrattualmente rappresentavano un tot della retribuzione. Non si comprende quale sia la ragione superiore per il quale il lavoratore in ufficio avrebbe diritto a mangiare mediante i “buoni pasto” e a casa, in smart-working, voluto dall’azienda e imposto in questa situazione emergenziale, questo diritto venga meno, pur rientrando la pausa pranzo nel diritto e nel ciclo dell’orario contrattuale. Un provvedimento improprio imposto dall’alto senza alcuna negoziazione.

Con lo smart working 8milioni di italiani lavorano da casa: l’82% si è sentito costretto a lavorare in questa modalità; il 60% è favorevole a proseguire anche dopo l’emergenza sanitaria, magari con qualche aggiustamento nella modalità di svolgerlo e una regolamentazione contrattuale mirata; il 31% lamenta di non avere uno spazio sufficiente per svolgerlo adeguatamente e di non avere le competenze necessarie. Non tutti hanno potuto stipulare un accordo lavoratore-datore di lavoro e i vari decreti hanno eliminato un tale obbligo per l’emergenza. Solo il 37% ha concordato con il datore di lavoro; il 27% ha negoziato tramite il sindacato. Si tratta, di fatto, di uno smart working anomalo, forzato per necessità e allestito in tutta fretta. Per un buon smart working, rivisto e rivisitato, a norma dei diritti dei cittadini-lavoratori e dei legittimi obiettivi dell’azienda, andrebbe eliminata la forzatura, l’obbligo, lasciata la scelta non condizionata prendendo sempre a riferimento il Contratto collettivo nazionale, ridisegnando una apposita sezione per lo smart working costruendovi giuste ed eque regolamentazioni, includendovi la “formazione” e il “diritto alla disconnessione”, rivedendo la questione dei buoni pasto, nel caso Telecom Italia-TIM, che erano stati eliminati senza nulla di aggiunto che li equiparasse. La giusta visione per un buon smart working è una moderna organizzazione per obiettivi che mette in un sano rapporto di pace lavoratori e datori di lavoro: un’occasione rara da non perdere, previa l’onestà di tutte le parti.
Inoltre molti lavoratori hanno denunciato in questa esperienza, di aver lavorato molte più ore di quanto accaduto con la presenza in ufficio e con molte meno pause, questo a detrimento delle ore dedicate ai propri familiari, all’organizzazione della casa, alla cura di sé medesimi.
Ritornando a Telecom Italia-TIM, sempre al fine di un esempio concreto anche a proposito dello smart working, alcuni dipendenti ci hanno reso noto alcuni casi di uso improprio dello smart working, come sostenuto dalla preoccupazione del garante della privacy (Antonello Soro). Ci hanno raccontato della mancanza di rispetto del diritto alla pausa (anche quella di pranzo) da parte dei responsabili (7Q, quale livello inquadramentale di responsabilità), di come siano stati costretti, anche se informalmente o con modi diplomatici, al superamento del normale orario di lavoro (appesantito già dall’obbligo di stare a casa dal decreto governativo, fatto confermato da una ricerca Linkedin), con il protrarsi delle ore di lavoro che ha comportato in alcuni casi estremi la mancata distinzione tra il lavoro di giorno e il lavoro di notte, a invadere sabato e festivi, a lavorare durante le ferie, i giorni di solidarietà previsti (richieste di partecipazione a conference call e di attività tramite e-mail – a tutte le ore, anche di notte – che per molti ha significato l’emergere di profondi squilibri), da un “contratto di solidarietà” imposto-voluto da Telecom Italia-TIM. Alcuni lavoratori si sono visti mettere addirittura in un corso di formazione proprio in un giorno di solidarietà. Altri si sono visti convocati per rientrare in ufficio, in quanto tecnici, nonostante l’azienda si fosse pronunciata ufficialmente e pubblicamente ancora per il no al rientro, un rientro in un ufficio non bonificato e senza la distanza necessaria tra una postazione e l’altra e per una attività non di emergenza ma programmata prima della pandemia. Perché dei responsabili si comportano in questo modo, come a dei veri e propri “caporali” o “capi bastoni” e vigliaccamente facendo marcia indietro, con finte scuse, ai primi segni di nervosismo o di contestazione? Non è forse sempre l’azienda responsabile del comportamento dei propri responsabili (7Q o dirigenti delle diverse fasce di responsabilità) anche quando sottraggono impropriamente, al limite della illiceità, i diritti dei cittadini (sanciti dalla Costituzione) nelle vesti di lavoratori (tutelati dalle varie norme contrattuali a suo tempo vidimate dal lavoratore e datore). Si tratta di comportamenti patologici, di disumana ferocia, di indifferenza al bene comune, o quant’altro, visto in quale momento è stato necessario ricorrere allo smart working per il bene di tutti? In un caso o nell’altro si tratta di soggetti che andrebbero individuati e rimossi, se non licenziati, perché dannosi per i cittadini-lavoratori e per l’azienda.
In ogni caso il lavoro a casa è risultato più pesante, più stressante perché si finisce per lavorare molto di più comunque oltre il normale orario di lavoro perché i lavoratori si sentono pressati psicologicamente dalla situazione e gioca negativamente la paura sotterranea che hanno di perdere il posto di lavoro in tempi come questi, quindi non si sentono liberi ma condizionati e certi responsabili ne approfittano. Per le donne lo smart working si aggrava con il carico domestico, per molti lavoratori scattano problemi di solitudine, di tristezza, di ansia, di depressione, problemi dati dalle mura domestiche.
Lo smart working se dovrà essere in buona parte il lavoro del futuro bisognerà regolamentarlo per bene, lasciando spazio alla flessibilità, all’autorganizzazione, concedendo fiducia al lavoratore che non si sentirà più frustrato e sfruttato e mettendo da parte App e vari programmi di controllo a distanza che offendono, umiliano, sottraggono dignità morale, violano il diritto alla privacy e alla libertà di movimento dell’individuo.

Molte aziende con il pretesto di evitare licenziamenti e cassa integrazione (tagli al personale) impongono contratti di solidarietà che significa taglio dell’orario di lavoro e della retribuzione per i lavoratori. Il vero guadagno di chi è? Soltanto del datore di lavoro perché il lavoratore entra in una dimensione di instabilità e precarietà, di incertezza, di insicurezza, di preoccupazione, per molti di depressione psicologica. In molti casi questa solidarietà significa abuso di aziende che pur essendo in attivo approfittano di tale strumento spesso concesso senza troppi controlli da parte delle istituzioni preposte. Convincono i lavoratori manipolandoli emotivamente e con lo spauracchio dei possibili licenziamenti ad eventuali accordi non raggiunti: un sacrificio, quindi, per salvare il posto ai colleghi che altrimenti andrebbero fuori. Purtroppo quando il bluff si evidenzia da solo è troppo tardi, cioè quando la solidarietà è già in essere e si vedono distribuire stipendi stratosferici ai manager di vertice (top e semi top) e superbonus. Superstipendi e superbonus tratti dal taglio dei costi, ovvero da ciò che si ottiene con il contratto di solidarietà (il sacrificio dei lavoratori). Il contratto di solidarietà dovrebbe essere una extrema ratio con cui imprese, lavoratori e contribuenti possano fronteggiare stati di crisi vere.
Telecom Italia-TIM, ad esempio, che chiude bilanci miliardari di profitti e distribuisce premi ai top manager per oltre 2milioni di euro, il fatto che possa usufruire di un tale sistema è un assurdo. La sua decisione, ai primi segni della pandemia, di ricorrere subito, per paura di un eventuale abbassamento dei ricavi, ad un accordo con i sindacati al fine di “realizzare una manutenzione degli accordi già in essere” è stato piuttosto pretestuoso. I lavoratori già subivano le misure per la riduzione dell’orario di lavoro dovuto al Contratto di Espansione siglato l’anno scorso, con una decurtazione di 22 giornate lavorative dal proprio stipendio, spalmate tra Agosto 2019 e Dicembre 2020. Il 6 aprile, con un provvedimento fatto cadere dall’alto, con una finta negoziazione con i sindacati, 12 di queste giornate sotto l’egida dell’emergenza Coronavirus, sono state concentrate in soli 3 mesi – da Aprile a Giugno 2020. I sindacati hanno sostenuto che si è trattato di un buonissimo accordo, ma quando si cerca un accordo bisogno essere in due: non è accordo quando un provvedimento viene imposto dall’alto e ci guadagna solo una parte. Il segretario nazionale della Slc (Riccardo Saccone) ha avuto il coraggio di dire a cose fatte: “Tim non ha ancora un riscontro diretto in termini negativi della crisi ma ha necessità di abbassare i giri del motore”. Si è aggiunto il segretario generale della Fistel (Vito Vitale) dicendo: “Abbiamo fatto una cosa che dovevamo fare, ci prepariamo a un possibile calo della produzione, tutelando dall’imprevedibilità di questa situazione di emergenza sia l’azienda che i lavoratori”. E ancora il segretario generale Uilcom (Salvo Ugliarolo) commenta “É positiva l’intesa raggiunta con Tim dopo un lungo confronto, in un momento di forte difficoltà in cui si trova il Paese abbiamo trovato con Tim un’intesa necessaria per gestire un periodo molto complesso per l’intero sistema produttivo del Paese”. Tutte queste vergognose parole gratuite rivelano quanto i sindacati siano piegati al volere del datore-padrone, per mantenere la propria sopravvivenza e non per difendere e tutelare davvero i lavoratori come risultava chiaro si dovesse fare nello Statuto dei lavoratori messo fuori uso.

E in ultimo durante il mese di Giugno, ancora in questa fase di emergenza da Coronavirus con i lavoratori in smart working, i dipendenti si sono vista recapitare una mail da parte delle Human Resources, Organization & Real Estate sui “Sistemi di sicurezza informatica – informativa ex articolo 4, comma 3 della Legge n. 300/1970”. Si tratta di una informativa – resa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 4, comma 3, della Legge n. 300/1970 – rivolta al personale di Tim S.p.A. che, nel rispetto dei regolamenti di riferimento vigenti, utilizza le dotazioni informatiche aziendali ed i servizi aziendali di posta elettronica e internet. Questa informativa risulterebbe relativa all’introduzione dei seguenti sistemi di sicurezza informatica:

  1. SODS (analizzerebbe i log dei servizi di posta elettronica e Internet);
  2. APT-PROTECTION (avrebbe lo scopo di proteggere la posta elettronica e la navigazione Internet);
  3. EDR (proteggerebbe le dotazioni di informatica individuale assegnate per motivo di servizio).

Significa che vengono presi dei dati da ogni postazione lavorativa (da ogni dipendente), analizzati dai tre sistemi indicati e conservati, alcuni dicono per 12 mesi, altri per 24 ore, altri ancora per meno tempo, ma le analisi vengono svolte per almeno 7 giorni. Si tratta anche di un controllo da remoto di ogni singolo lavoratore? Si vedrà nel tempo.

Il fallimento dello Stato, del Governo e della politica è chiaramente dimostrato dalla “disperazione” diffusasi in tutto il paese e dal fatto che i più alti vertici delle istituzioni e le forze politiche non la percepiscono perché concentrati non tanto verso il bene comune dei cittadini ma sul sistema migliore per controllarli oltre che su interessi lungi dal riguardare la vita dei cittadini. Il fallimento è dimostrato, soprattutto, dall’oscuramento e dall’inattuazione dell’Articolo 3 della Costituzione italiana che afferma:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

La Costituzione non dice, da nessuna parte, che i datori di lavoro, che si comportano da padroni, trattando i cittadini-lavoratori da schiavi, abbiano diritto di essere accontentati nelle loro insensate richieste di ricevere aiuti pubblici a differenza dei cittadini in difficoltà che non meritano ogni forma di richiesta di aiuto.
La Costituzione, nelle sue regole, procedure e istituzioni, si esprime chiaramente, oltre ogni dubbio, senza concedere favori e privilegi a nessuno.
Non sarebbe ora che tutti i cittadini si impegnassero per attuare e applicare i nobili Articoli della Costituzione per una società più giusta, migliore, più illuminata e felice? Visto lo stato attuale delle cose non sarebbe ora che i cittadini divenissero consapevoli e, quindi, critici nei confronti del sistema di potere instauratisi in molti anni di alternanza di governi di destra e di sinistra che hanno snaturato le loro ideologie e smantellato l’intero paese?
Serve una serrata partecipazione, consapevole e costante.
Ci auguriamo possa accadere.

 

L’ignoranza è l’appannaggio del popolo schiavo: la scienza del libero. Ma la scienza del popolo libero è quella dei suoi Diritti, della sua Costituzione, del suo Governo, delle Funzioni de’ suoi Magistrati, delle sue relazioni cogli altri popoli”.

Giuseppe Compagnoni (1754-1833)
Costituzionalista, letterato, giornalista
alla fine del Settecento incitava allo studio della Costituzione

 

All’Italia manca una classe politica colta, appassionata della polis, che senta in sé l’ideale della giustizia, protesa verso tutto ciò che c’è da riparare e verso tutti i deboli da proteggere. Il paese non ha bisogno di una classe dirigente ignorante e insensibile, di politici irresponsabili che trattano con indifferenza le questioni che invece fanno soffrire milioni di persone, come la disoccupazione. Il paese non ha bisogno di imprenditori ricchi e prepotenti che si sentono padroni mentre esercitano la corruzione.

È l’errata visione di separatezza e l’inganno della globalizzazione che ha condotto al baratro attuale: lo Stato, il Governo, la politica non hanno, in quello che fanno, la retta visione che parte dal concetto che tutto è interconnesso. È l’errata visione che porta alla competizione anziché alla collaborazione, cooperazione e condivisione e così nascono i soprusi, le disuguaglianze e le ingiustizie sociali ma anche le economie malate. Si potrà uscire dalla crisi solo sviluppando la consapevolezza dell’unità di tutte le cose e che è lo squilibrio provocato e perpetrato su uno o più fronti che si riflette su tutti gli altri fronti, con gli effetti disastrosi che la situazione attuale ha conosciuto.
Sviluppare una nuova consapevolezza, che guarda all’unità di tutte le cose, significa poter uscire dall’attuale buio epocale e conoscere una nuova luce per vivere una società migliore, più illuminata e più felice. Per uscire da questo buio epocale devono, però, volerlo tutti altrimenti risulterà sempre un’impresa impossibile. Si dovrà ricostruire un rapporto di fiducia fra cittadino, scienza e informazione, puntando su nuove modalità creative per contrastare la spietatezza del potere.
Bisognerebbe ripartire dalla piena applicazione dell’Articolo 1 della Costituzione che in molti hanno dimenticato:

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

In molti hanno dimenticato, infatti, che il lavoratore è un cittadino-contribuente aventi diritti e per nessuna ragione deve essere visto e considerato come uno “schiavo” dai datori di lavoro, che non devono sentirsi “padroni” ma contribuenti allo sviluppo del paese.

 

Letture consigliate
Crisi di civiltà, Noam Chomsky, Ponte alle Grazie
Nel segno della Costituzione. La nostra carta per il futuro, Lorenza Carlassare, Feltrinelli
Forza lavoro, Maurizio Landini, Feltrinelli
Schiavizzati, Renzo Pampalon, Youcanprint
Quasi schiavi, a cura di E. Nocifora, Maggiolo Editore
Uomini e caporali, Alessandro Leogrande, Feltrinelli
Come servi, M. Luisa Pesante, Franco Angeli Editore
Un “Ponte” per la democrazia, a cura di Marcello Gisondi, Edizioni di Storia e Letteratura
Sciacalli. Virus, salute e soldi, Mario Giordano, Mondadori
Repubblicanesimo, Maurizio Viroli, Laterza
Nazionalisti e patrioti, Maurizio Viroli, Laterza
La libertà dei servi, Maurizio Viroli, Laterza
L’Italia dei doveri, Maurizio Viroli, Rizzoli
Il sistema sanitario nei giorni del Covid-19, Riccardo Iacona, Piemme
C’è un posto nel mondo. Siamo noi, con il Corriere della Sera, prefazione Luciano Fontana
Etica del servizio ed etica del comando, Maurizio Viroli, Editoriale Scientifica
Poteri occulti, Stefania Limiti, Rubbettino
L’Italia occulta, Rosario Castello, Rosario Castello Editore (agosto 2018)
Potestas Tenebrarum, Rosario Castello, Rosario Castello Editore
Italia occulta, Giuliano Turone, Chiarelettere (gennaio 2019)
Massoni, Gioele Magaldi, Chiarelettere
Globalizzazione, esoterismo e massoneria, Gioele Magaldi, in uscita a novembre 2020
Europa. Miti, congiure ed enigmi all’ombra dell’unificazione europea, Paolo Rumor, Giorgio Galli e Loris Bagnara, Editore Hobby & Work Publishing
Riflessioni di un giudice, Carlo Palermo, Editori Riuniti
Il quarto livello, Carlo Palermo, Editori Riuniti
Oligarchia per popoli superflui, Marco Della Luna, Koinè Nuove Edizioni
Dalla Massoneria al terrorismo, Giovanni Francesco Carpeoro, Revoluzione
Italia oscura, Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, Sperling & Kupfer

Alcune Fonti informative
Il Fatto Quotidiano
Millennium
Il Messaggero
Il Corriere della Sera
Il Sole 24 Ore
La Stampa
La Verità
Il Tempo
L’Espresso
Nexus
Scienza e Conoscenza
L’altra medicina

https://www.corriere.it/cultura/20_marzo_30/dopo-coronavirus-ristabilire-rapporto-fiducia-cittadino-scienza-informazione-grazie-filosofia-b4cc3954-7242-11ea-bc49-338bb9c7b205.shtml?refresh_ce-cp

https://consiglionazionale-giovani.it/

https://www.globalshapers.org/hubs/rome-hub

https://www.officineitalia.org/

 

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