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54. Non perdere di vista lo “Scopo” della Sadhana

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Porti i suoi “passi”, il Sadhaka, solo verso ciò che “è” e non verso ciò che “diviene”.
Chi resta identificato col “divenire” resta intrappolato agli ostacoli che impediscono il “risveglio”.
Colui che chiamiamo “uomo” in questo mondo è l’essere identificatosi con “maya” (l’illusione, l’apparenza), e caduto nell’”oblio” della sua vera origine. Ha dimenticato la Realtà assoluta che costituisce il fondamento del divenire.
Quest’essere deve ritrovare l’UNO senza secondo. Per questo deve “risvegliarsi”.
Una serie di motivi impediscono questo “risveglio” che dovrebbe essere spontaneo e naturale. Si tratta di “errori” non solo percettivi ma anche di punti di vista errati e di errori conoscitivi.
Questi “errori” sono frutto di ignoranza metafisica (avidya). Questi “errori” si correggono con il processo del risveglio. La correzione di questi “errori” costituisce il “Lavoro” che il Sadhaka dovrebbe svolgere all’interno della propria Sadhana.
Nel vero Sadhaka la Sadhana è l’intera sua vita. Non c’è più, per lui, una vita profana: ogni cosa assume valenza sacra.
Si tratta, questo modo di essere e di vivere, non di una bigotta chiusura, né tantomeno di una qualche forma di rigidità nei confronti di qualcosa o di qualcuno, di una vera e propria “apertura” dalle infinite possibilità che il profano non potrà comprendere.
Il vero Sadhaka fluisce, col proprio ego-corpo-personaggio, con la vita cercando di restare sempre cosciente, mantenendo sempre innanzi a , in qualsiasi circostanza, la “Visione” perseguita, lo “Scopo” della Sadhana e del Servizio che può rendere agli uomini e al mondo.

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