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81. Karma o Legge di Causa-Effetto di Raphael

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D. Si parla di karma, di peccato, di legge del taglione, di riparazione, ecc. che cosa significano queste parole?

R. Bisogna distinguere una visione filosofica del Reale da quella sentimentale-antropomorfa o religiosa teista.

La visione teista antropomorfa riduce Iddio, o l’Essere, a “dimensione d’uomo”, con qualità di amore-odio. O attrative-repulsive. Dio è, così, bontà infinita, ma è anche il fustigatore per coloro che trasgrediscono il suo volere. Lungo il tempo si sono avute religioni che si sono ispirate a questo Dio duale, anche se hanno parlato del Dio unico.

Il rapporto uomo-Dio basato su questi presupposti porta a privilegiare l’aspetto morale perché, secondo il comportamento, l’uomo può assecondare oppure infrangere la volontà di Dio. Il peccato è un comportamento psicologico che tradisce o viola la legge di Dio. Dal momento che un comportamento morale implica una normativa a cui sottoporsi, la religione teista antropomorfa possiede una serie di norme, considerate anche divine, a cui ogni fedele deve obbedire. Alla disubbidienza segue il peccato; chi non ubbidisce o non si sottopone a tale normativa pecca: da qui la “riparazione” per essere reintegrato nella “grazia” del Dio offeso. Poiché il teismo religioso trasferisce a Dio tutto il principio del volere, all’uomo non rimane altro che obbedire o disubbidire ma, per quanto possa obbedire, il verdetto di assoluzione resta sempre nelle mani di Dio. Dio è arbitro di tutti i destini dell’uomo, inserendosi temporalmente e spazialmente nelle vicende umane, e può perdonare come non perdonare, secondo gli imperscrutabili suoi disegni.

La nèmesi dei Sacri Misteri è l’equivalente del karma vedico. La parola karma significa azione rituale, ma anche legge di causa-effetto. Che cos’è questa legge?

Come a livello fisico, così a livello psico-spirituale ogni effetto è la precipitazione di una causa. Diremo che quella del karma si avvicina alla legge di causa-effetto della scienza.

L’uomo ha la possibilità di agire in diverse direzioni, provocando effetti che possono essere in armonia o in disarmonia, sia con se stesso sia con altri. La nèmesi consiste nel rimettere l’Ordine e l’equilibrio là dove si è verificato uno squilibrio o disordine. Il miste, infrangendo o disarmonizzando l’Ordine universale, subisce un contraccolpo: è la legge della nèmesi che entra in scena e opera per ristabilire l’Ordine.

Se mettiamo il dito nel fuoco (causa), l’effetto sarà una scottatura; ciò, però, non implica che un Dio vendicativo e passionale ha voluto punirci e applicare la legge del taglione: la nostra ignoranza (avidya) di una legge ci ha condotto nell’errore.

Una potente energia di odio o amore attira a energia di uguale natura e potenza. L’effetto è proporzionale alla causa. Non vi è niente di straordinario se una corrente, ad esempio, di odio attira, per la legge di simpatia magnetica, dell’odio.

Quando Gesù dice di amare coloro che ci odiano, non vuole enunciare un principio morale sociale e sentimentale, tutt’altro: vuole far comprendere una legge universale. Se l’odio attira odio, allora, per neutralizzare una forza di una certa natura e potenza, occorre impiegarne una uguale e contraria. La legge dell’iniziato è: ama il tuo nemico.

L’ignoranza si vince con la conoscenza, l’inerzia con la determinazione, il pessimismo con l’ottimismo, l’odio con l’amore.

La legge del karma-nèmesi è un enunciato della Scienza Sacra.

Per comprendere bene certe cose occorre considerare che non solo una forma fisica densa è un composto energetico carico di qualità e produttrice di cause-effetti, ma anche l’individuo è un centro coscienza intorno a cui roteano energie qualificate che determinano cause-effetti; e come lo studio della fisica ci fa conoscere il meccanismo dell’attuazione della legge di causa-effetto, così lo studio della Scienza Sacra ci fa conoscere l’operare della legge del karma.

Dobbiamo riconoscere che molti eventi, anche negativi, che subiamo, non sono prodotti da Dio, ma da noi stessi, perché mettiamo in moto la legge del karma. Ma per poter neutralizzare una forza occorre indubbiamente una potente energia per controbilanciarla. È qui che molti non riescono, perché pensano di non possedere l’energia sufficiente per promuovere una controcausa.

Per poter vincere la forza di gravitazione terrestre, l’uomo ha dovuto impiegare non solo una forza uguale e contraria, ma un “quantum” di energia in più per poter trascendere quella legge. L’universo, in ogni dimensione e grado, è governato da leggi (dharma), e la giusta comprensione della legge può dare all’individuo la possibilità di armonizzarsi non solo con la natura, ma anche, ed è una conseguenza, di rendere armonico quello che viene denominato il proprio destino.

La sofferenza-conflitto nel mondo degli uomini non è voluta da un Dio capriccioso e passionale, ma dagli stessi uomini che ancora non hanno compreso la dinamica operativa di alcune leggi dell’universale e dell’individuale.

L’uomo può impiegare, manipolare e direzionare delle forze, delle energie, ma il responsabile rimane solo e sempre lui.

Il Vedanta, in riferimento all’individuo, enumera tre tipi di karma: agamin, samcita e prarabdha. Dice Samkara nel Vivekacudamani:

“ Il prarabdha è troppo potente perché l’essere di realizzazione possa frenarlo; esso si esaurirà con l’estinzione dei suoi frutti. Gli altri due generi di karma, quello proveniente da azioni anteriori (samcita) e quello i cui effetti non sono ancora maturati (agamin), saranno invece inceneriti dal fuoco della conoscenza. Comunque, nessuno di questi tre generi di karma è capace di toccare l’asceta che ha realizzato Brahman e vive in identità con Esso “ (Samkara, Vivekacudamani, Edizioni Asram Vidya).

Il prarabdhakarma è quello maturato ed è quindi attuale: l’aver preso un corpo fisico è un prarabdha perché è un karma maturato. Il corpo fisico è qui e non possiamo adesso distruggerlo. L’avere un figlio è un prarabdha perché un figlio, una volta venuto all’esistenza, non lo si può rimandare indietro.

Gli altri due tipi di karma, non essendo entrati in esistenza oggettiva, possono essere frenati e persino estinti o risolti, perché sono state rimosse le cause predisponenti. La causa delle cause karmiche è rappresentata dall’avidya, dall’ignoranza metafisica che verte sulla natura dell’Essere; quando essa viene risolta, il karma svanisce e persino il prarabdha, per il jnani-asparsin, è come se non ci fosse in quanto non ha più presa sulla sua coscienza liberata.

“ Il brahmana, avendo riconosciuto che i diversi mondi sono il risultato di karma accumulato, di loro si disgusta perché mediante ciò che è creato non si può realizzare l’Increato … “

Mundaka Upanisad: II, 1, 12

 

da “Il sentiero della Non-Dualità” (Advaitavada) di Raphael

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