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161. Natalis Invicti di Julius Evola

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Sono ben pochi coloro che, nel celebrare le ricorrenze tradizionali di questo periodo – Natale e l’anno nuovo – si rendono conto che esse sono testimonianze residuali di un mondo spirituale dimenticato, che esse derivano da una concezione primordiale dell’universo e dell’esistenza, separata da un profondo lato dalle idee dell’umanità moderna.

Dello stesso Natale non si coglie il suo significato più universale, perché esso per i più vale semplicemente come una festa religiosa cristiana. Si ignora così che tale festa preesistesse al cristianesimo e che la sua data non è convenzionale ma determinata da una situazione astronomica ben precisa:  è la data del solstizio d’inverno. Proprio il significato che nelle origini ebbe questo solstizio andò a definire, attraverso un adeguato simbolismo cosmico, la festa corrispondente in tutto un gruppo di civiltà, compresa quella romana antica la quale già prima del cristianesimo conobbe un “natale solare”, il Natalis Solis Invicti, nella stessa data. Un altro punto poco conosciuto è che nel mondo a cui alludiamo due feste oggi distinte, l’una sacra e l’altra profana, il Natale e l’inizio del nuovo anno, spesso coincidevano.

Per chiarire tutto ciò, bisogna riportarsi al particolare significato che il solstizio d’inverno ebbe soprattutto per quei progenitori delle razze indoeuropee, la patria d’origine dei quali si trovava nelle regioni settentrionali e nei quali, in ogni caso, non si era cancellato il pauroso ricordo delle ultime fasi del periodo glaciale. In una natura minacciata dal gelo eterno l’esperienza del corso della luce del sole nel ciclo annuale doveva avere una speciale importanza, e proprio il punto del solstizio d’inverno rivestiva un significato drammatico che lo differenziava da tutti gli altri del corso annuale del sole. Infatti quella data il sole raggiunge il punto più basso dell’eclittica, la luce sembra estinguersi, abbandonare le terre, scender quasi nell’abisso, mentre ecco che essa di nuovo si rialza e risplende, come in una liberazione o rinascita. Perciò nei primordi un tale punto spesso valse come quello della nascita o della rinascita di una divinità solare.

Nel simbolismo delle origini, i concetti di Sole, di Luce, o “Luce della Terra”, di immortalità, si uniscono nel segno di divinità di tale genere. Nell’accennato punto solstiziale del suo risorgere la luce talvolta si associò all’Albero della Vita sempre verde, talaltra all’”Uomo cosmico dalle braccia alzate”, simbolo di resurrezione. È il “figlio” che nasce; sorge la “nuova vita” e il nuovo “sole”.

È l’inizio del nuovo ciclo luminoso.

Ecco perché non di rado la data in questione fu altresì quella dell’inizio calendario dell’anno nuovo (del Capodanno). Come si disse, così fu nell’antica Roma. A Roma, dopo la riforma di Augusto, che restituì a molti culti romani il carattere cosmico-simbolico che avevano avuto nelle origini, il giorno del solstizio d’inverno, cioè il 24-25 dicembre, valse proprio come “natale” del dio luminoso concepito come una forza invitta: natalis invicti.

È la forza che vince le tenebre.

Dettagli offuscati appartenenti allo stesso contesto si conservano nell’albero natalizio e nell’uso popolare di accendere in esso delle luci nella notte di Natale. È l’accendersi di nuova luce nell’”albero della vita”. E se oggi non si sa più che dei doni che il Natale porta ai bambini (doni spesso appesi all’albero illuminato), anche questa è un’eco lontana, un “residuo morenico”: l’idea originaria era il dono di luce e di vita che il Sole nuovo, il “Figlio”, dà agli uomini. Dono, questo, da intendersi in un senso sia materiale, sia spirituale, il convergere dei due significati essendo naturale conseguenza dell’accennata situazione della preistoria, per via della quale il rialzarsi della luce lungo l’eclittica valse come una liberazione dell’incubo di una gelida notte.

Avendo ricordato tutto ciò, sarà bene rilevare che batterebbe falsa strada chi, su analoga base, volesse riportare cose sacre – come, in questo caso, il Natale cristiano – all’eredità di una religione naturalistica e per ciò stesso primitiva e superstiziosa. Il fatto è che una “religione naturalistica” non è mai esistita, se non nelle idee, nate da incomprensione, di una certa scuola di storia delle religioni in auge nel secolo scorso: ovvero è esistita nel caso di forme degradate e degenerescenti di culto, come fra alcuni selvaggi. L’uomo delle origini non adorò mai i fenomeni e le forze della natura come tali. Egli li adorò solo in tanto, e per quel tanto, che essi valsero per lui come delle “teofanie” e delle “ierofanie”, cioè come delle manifestazioni del sacro, del divino in genere. Come qualcuno ha efficacemente detto, “la natura per lui non era mai naturale”. Nell’insieme dei suoi fenomeni ed aspetti – sole, anno, luce, ciclo, elementi, ecc. –  essa rimandava ad altro, ad un ordine superiore. Direttamente, e non per interpretazioni artificiose e astratte, essa presentava per lui i caratteri di “un simbolo sensibile dell’indivisibile”, secondo l’espressione di Olimpiodoro.

Una volta riconosciuto ciò, è evidente che il sapere dell’accennata “preistoria” dell’arcaicità e della universalità di quel che corrisponde alle accennate feste tradizionali non equivale affatto a ricondurre il superiore all’inferiore e al profano.

Al contrario, se mai: perché si è spesso riportati ad una spiritualità cui era espressione la lingua stessa delle cose; a miti che, pur prendendo per base i fenomeni della natura, s’indirizzavano alla interiorità umana.

da “Helios. I SOLSTIZI simbolo e attualità” edito nel 1978 in numero di 2000 copie

 

dal Centro Paradesha:

Che il Solstizio Illumini i sinceri e coraggiosi ‘ricercatori’ che,

esponendosi consapevolmente ai suoi raggi,

vogliono morire simbolicamente alla profanità” …

Solstizio d’Inverno 2011:
il 22 dicembre alle ore 5 (h) 31 (m) 21 (s)

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