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174. L’Androgino … di Elémire Zolla

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L’Androgino e l’umana nostalgia dell’intierezza

L’archetipo dell’androgino si aggira per le terre. Gli uomini, toccati dalla sua ombra, si addolciscono e allentano la presa sui loro rudi e contratti ruoli e convincimenti maschili. Le donne si risvegliano a nuovi spazi, nitidi e glaciali, a piani di precisa coordinazione in cui cominciano a tracciare con calma il proprio cammino. In una prospettiva metafisica, l’incontro con l’androgino è sempre stato inevitabile. Quando la mente s’innalza al di sopra dei nomi e delle forme, non può che toccare il punto in cui anche le divisioni sessuali vengono superate. Sulla via verso ‘la trascendenza totale’ i mistici incontrano l’esperienza visionaria dell’amore e del matrimonio divino, in cui essi divengono le estatiche spose della divinità. Nella maggior parte dei sistemi religiosi l’androgino è simbolo dell’identità suprema e rappresenta il livello dell’essere non-manifesto, la sorgente di ogni manifestazione, che corrisponde numericamente allo zero, il più dinamico ed enigmatico dei numeri, somma dei due aspetti dell’Unità: + 1 - 1 = 0. Lo zero simboleggia l’androgino in quanto origine della numerazione, della divisibilità e della moltiplicabilità. Nella metafisica dell’induismo la popolarità dell’essere, rappresentata da Siva e Sakti, diviene, a un livello più alto, pura unità e si fonde nell’androgino Ardhanarilsvara. Nello satapatha Brahmana gli dei e i demoni gareggiano fra loro. Il dio Indra dice “Uno” nella forma maschile (eka) e i demoni rispondono “Una”, al femminile (eka). Indra dice “Due”, duale maschile (dvau), ed essi rispondono con il duale femminile (dve). Ma, quando arriva al cinque (panca), i demoni sono ridotti al silenzio. Il cinque è al di sopra dei generi: contiene sia il dispari sia il pari (3+2), la divisione e il contrasto; con il cinque i quattro quadranti si riuniscono al centro (4+1) nel cuore. Il cinque simboleggia l’androgino come punto di arrivo, come ritorno della polarità all’unità. Calato dalla sfera delle premesse metafisiche al fluttuante livello dell’esistenza psichica, e al nostro presente contesto, l’archetipo suggerisce qualcosa come il mondo di elfi degli assistenti di Belinda in The Rape of the Lock (Il ricciolo rapito) di Alexander Pope. For spirits, freed from mortal laws, with ease / Assume what sexes and what shake they please. (Perché gli spiriti, liberi dalle leggi mortali assumono facilmente il sesso e la forma che desiderano). E la fluida bisessuale sensibilità di Orlando, il personaggio di Virginia Wolf, sembra appunto realizzare questo programma. Oggi, mentre declinano i legami familiari e l’etica del lavoro, ad essi si va sostituendo un ideale di vita più nomade, fatto di legami fluttuanti, della ricerca di esperienze religiose e di insegnamenti metafisici.
L’eroe dei nostri tempi non s’identifica con alcun ruolo ed è sempre pronto a entrare in trance e a esplorare livelli inconsueti dell’essere. È in grado di disattivare le strutture di pensiero concettuali, binarie, ed è perciò capace di reggere le situazioni di non-dualità, di massima simmetria, che dominano l’immaginazione letteraria ‘post-moderna’. Non prova ansia di fronte agli ibridi, e accoglie serenamente l’insegnamento metafisico del Brahama di Ralph Waldo Emerson secondo cui: Far or forgot to him is near, / Shadow and sunligbt are the same, / One to him are shame and fame. (Vicino è per lui ciò che è lontano o dimenticato, / ombra e sole sono la stessa cosa, / identiche per lui sono la vergogna e la fama). Si sviluppa una capacità di entrare nelle situazioni e scivolarne fuori con facilità e garbo, senza giudizio, pacatamente.
Il nuovo eroe accetta l’invito di William Butler Yeats in Into the Twilight (Nel crepuscolo): Out-worn heart, / in a time out-worn, / Come clear of the nets of wrong and right, / Laugh, heart, again in the gray twilight, / Sigh, heart, again in the dew of the morn! / (Logoro cuore, in un tempo logoro, / liberati dalle reti dell’errore e dal giusto; / torna a ridere, cuore, nel grigiore del crepuscolo, / torna a sospirare, cuore, nella rugiada dell’alba!). In questo nuovo clima, l’androgino non desta più allarme. L’ironia e i fischi nei confronti delle creature ‘di sesso indeterminato’ si perdono nel ricordo di un passato che ci stiamo rapidamente lasciando alle spalle. Anzi, il maschio e la femmina totali, senza sfumature, sembreranno forse presto delle anomalie irritanti, una soffocante negazione delle potenzialità latenti. Il modello di una ben temperata androginia aleggia su entrambi i sessi, si propone come il nuovo criterio per entrambi, come l’incarnazione dell’Uomo Cosmico. Tutto ciò s’impose all’attenzione pubblica all’inizio degli anni Settanta, sul finire della ‘rivoluzione psichedelica’, quando il leader della sovversione programmata dello spazio interiore, Timothy Leary, si rese conto che il cammino dell’LSD avrebbe condotto al disastro, se non fosse subentrata l’androginia. Scoprì che solo facendo fronte a una libera indeterminatezza da quello che egli chiamava “l’incastro giroscopico maschile-femminile” era possibile evitare di sfociare nel ruolo di blaterante acid freak. Alla fine degli anni Settanta, il saggio del momento, Rajneesh, offriva nel suo eremo corsi di androginia centrata nel cuore senza ricorrere alle droghe.
Nell’ashram di Rajneesh la gente lasciava le scarpe e la mente fuori dalla porta, percorreva esperienze sessuali tantriche, se ancora aveva un debito da pagare nei confronti del mondo ossessionato dal sesso da cui proveniva, per raggiungere infine lo stato in cui non si afferra, ma si accarezza soltanto, in cui non ci si fissa più sulle parole, ma se ne coglie il movimento e ci si immerge nelle pause fra di esse, in cui i progetti diventano inutili e la vita viene a essere guidata da profonde empatie uterine. A quel punto non c’è più nulla da temere. Buddha ci fornisce l’esempio di una femminilità sviluppata oltre quella di ogni donna. Spiegando i segreti dell’equilibrio, Rajneesh dice che solo colui che è ossessionato dal peccato si preoccupa della virtù, solo colui che è afflitto dalla bruttezza programma la bellezza. La scelta è una pesantezza della testa maschile; l’androgino lascia che la vita sia non intenzionale, che le cose accadano. Nella sua completezza, l’androgino, attraversa estatico il mondo del mutamento, il samsara, equilibrando azione e non-azione.
Anche gli junghiani hanno sperimentato formulazioni dell’archetipo. Lo psicanalista James Hillman, accanito difensore dell’androginia, osa ridimensionare la scienza moderna a favore di un androgino senso archetipo del reale, che non seziona e dicotomizza. Il significato degli archetipi è troppo vasto perché lo si possa brutalmente esporre al crudo ragionamento, alle alternative logiche. Gli archetipi partecipano ai processi lenti, nascosti, raccolti, del femminile.
Osservando il comportamento dei pazienti isterici di Sigmund Freud, ci accorgiamo che essi cercano invano di comunicare all’analista la causa segreta della loro condizione. Una paziente, per esempio, durante una crisi isterica inscenò uno stupro, premendosi addosso la gonna con una mano e lacerandola con l’altra. Schreber, il più famoso paziente di Freud, s’interrogava in maniera ossessiva su cosa provassero le donne, finché giunse a immaginare di essere la consorte di Dio e a tessere in ogni folle dettaglio una teologia di sostegno.
Il potere che può sanare non è l’arida ragione, bensì la plastica immaginazione, che è la dimora stessa della psiche e non solo una delle sue facoltà.
La guarigione non comporta una rigida, rozza scelta binaria, bensì il rilassamento in quello che Carl Gustav Jung avrebbe chiamato un ‘campo sincronico’, in cui esperienze psichiche culmine ed eventi esterni ad esse associati si congiungono e formano costellazioni luminose di esperienza esterna-interna, razionale-ed-emotiva, maschile-e-femminile.
A questo punto il dogma di un progresso evolutivo e razionalizzante scompare dalla scena, dopo interminabili epoche di spietata supremazia.

Taoismo e Tantra
L’androginia può essere una meta interiore. Le polarità opposte dell’anima si congiungono allora come l’uomo e la donna in un estatico amplesso.
La dualità sessuale interna è stata quasi sempre data per scontata. Shakepeare (Riccardo II, V, IV, 8-12) spiega: My brain I’ll prove the female to my soul; My soul, the father: and these two beget A generation of still-breeding thoughts, and these same thoughts people this little world In humours like the people of this world. (L’anima sarà la femmina e il cervello il maschio: e questi due / genereranno pensieri che si moltiplicheranno / e popoleranno questo piccolo mondo / di umori quali si riscontrano fra la gente del mondo reale).
Un essere umano armonioso equilibra il padre-anima e la matrice-cervello, e popola il proprio piccolo mondo di pensieri androgini, sferici e stellati.
Molti cammini mistici conservano un processo immaginativo interno verso questa realizzazione fortemente sessuato. Ciò è particolarmente evidente nel Taoismo, nel tantrismo indù e nel buddhismo Vajravana.
Le tecniche taoiste, che mirano a sviluppare il femminile ‘spirito della valle’ o ‘dell’abisso’, insegnano al praticante a visualizzare il respiro immagazzinato nel ventre a poi condensato in una goccia di luce dorata concentrata sette o otto centimetri sotto l’ombelico. La goccia luminosa può anche essere proiettata come l’ideogramma della luminosità, della circolazione della luce, di sole-luna … Essa può venir concepita come un embrione che piano piano si sviluppa e riceve nutrimento. La si fa quindi ascendere nella testa bilanciando il respiro solare (maschile) e il respiro lunare (femminile), le due correnti spirali o serpenti di energia (in sanscrito le correnti dei due nadi (ida e pingala) che vengono alternativamente attivate ruotando gli occhi chiusi, come mulini a vento, in senso orario e in senso antiorario). La lingua, ricurva all’indietro, viene costantemente premuta sul palato e forma una specie di perno. Può anche ‘iscrivere’ l’ideogramma sulla volta del palato. Quando l’uomo esegue questa pratica nel corso dell’amplesso sessuale, la forza della stimolazione erotica femminile costituisce un ulteriore pungolo per il processo, e agisce sulla goccia luminosa raccolta nel ventre come l’acqua spruzzata sull’olio bollente o sul fosforo infuocato. All’apice della pratica, la schiena è piegata all’indietro, le spalle aperte, il respiro è sospeso e gli occhi roteano selvaggiamente. Il rapporto sessuale può essere usato, sia da un uomo sia da una donna, per equilibrare le proprie energie e per raggiungere l’immortalità. Questo picco di estasi e di conoscenza era proprio degli Otto Immortali del taoismo. Uno di essi, Lan Ts’ai Ho, era insieme uomo e donna ed era comparso/a improvvisamente, con un piede calzato e uno scalzo, con una cintura di legno alla vita e un cesto di fiori in mano, danzando e cantando la natura transitoria di tutte le cose:
In the morning I ride in the sky,
In the evening I see thew mulberry groves turn into a sea.
Our hope is in the clouds,
There you shall find palaces of silver and gold. (Il mattino cavalco nel cielo, / la sera vedo i gelsi trasformarsi in un mare. / La speranza abita fra le nubi; / lassù troverai palazzi d’argento e d’oro.)
Lan T’s’ai Ho era sempre brillo/a e faceva sbellicare la gente dalle risate. Portava abiti pesanti d’estate e leggeri d’inverno. Durante l’inverno dormiva in mezzo alla neve, circondato da un velo di nebbia. Non invecchiava mai; ma un giorno, mentre stava bevendo in una taverna, udendo una musica salì al cielo, dove scomparve, lasciandosi dietro l’abito, una scarpa, la cintura di legno e le nacchere.
In una leggenda probabilmente più tarda P’an Hu, dopo aver creato il mondo a partire dallo Ying e dallo Yang, volle incarnarsi in un ermafrodita vergine e vivere da eremita su una montagna, nutrendosi dell’essenza del sole e della luna. Essa lo fece nascere dalla propria colonna vertebrale e venne perciò soprannominata la Madre della Causa Prima.
Le scritture indù propongono gli stessi principi del taoismo, benché le loro tecniche siano diversificate.
L’amplesso, esse, affermano, apporta un beneficio magico essenzialmente alla donna; ma l’uomo può capovolgere la situazione visualizzando l’atto sessuale come un sacrificio in cui la vagina è l’altare. Il Bharata cita donne ascete trasformatesi in maschi: per esempio Amba, che divenne l’auriga di Arijuna. (Giovanna d’Arco ha riportato in vita un mito dimenticato).
Il tantrismo si sviluppò nel buddhismo vajra (diamante, fulmine o fallo). Le pratiche vajra devono far seguito prima a quelle del cosiddetto ‘piccolo veicolo’ (in cui un corpo femminile è visualizzato dal praticante come un cadavere putrefatto), poi a quelle del ‘grande veicolo’, in cui le radici stesse del desiderio sono annullate nell’estasi (samadhi) del vuoto (sunyata). Solo allora l’iniziato è pronto per i giochi d’amore vajra, in cui il piacere stesso diviene una metafora del vuoto. C’è un ‘vuoto minore’, che egli raggiunge dimenticando se stesso, assorbito nella propria compagna: un ‘vuoto maggiore’, ottenuto lasciandosi galleggiare sulle onde del piacere; e infine una ‘risonanza del piacere’, in cui il seme rosso della donna e quello bianco dell’uomo (controparti sottili dei due fluidi riproduttivi) si fondono e si forma l’embrione, che è nel contempo l’androgino. Ora la luce del mondo superiore, dharmakaya, si manifesta. L’arte di prolungare questo stato d’illuminazione conduce all’immortalità. Quando i due serpenti o flussi energetici opposti (sole e luna, sperma e sangue, simboli dell’attività e della compassione maschili e del vuoto femminile) sono in equilibrio, la compassione cessa di avere carattere illusorio e il vuoto cessa di essere mera apatia: le due polarità scorrono insieme.
Gli incantatori di serpenti, in India, erano in origine maestri tantrici e la loro musica agiva sui serpenti interiori. Essa provocava anche un’erezione fallica, corrispondente probabilmente piuttosto a quella del sogno (del sogno REM) che a quella dell’eccitazione sessuale.
Nel buddhismo, la meditazione si concentra a volte sul pene retrattile di Buddha. In un’altra visualizzazione, la Signora Verde, o Tara della Compassione (A valokite svara), si contrae in una splendente goccia di smeraldo, che entra nella testa del meditante e discende nel suo cuore. Questi comincia quindi a vedere il proprio corpo rimpicciolirsi fino ad avere le stesse dimensioni di Tara, e di fatto a coincidere con lei. Sembra che i vecchi monaci che avevano praticato a lungo questa visualizzazione avessero un aspetto decisamente androgino. Nella poesia mistica amorosa di ogni parte del mondo il poeta, come una donna, si scioglie in singhiozzi di fronte a un’inaccessibile amante divina, che è il suo più alto. Questa tradizione accomuna gli sciamani siberiani e i poeti taoisti cinesi, attraverso la Persia, l’Arabia e la Provenza, ai poeti dello stilnovo fiorentino, che si definivano “donne”.
Dante descrive come costruire nella mente l’immagine della donna amata e come visualizzare su di lei, proprio come i tantrici fanno con le loro Devi e Tara. Per questa via il poeta raggiunge la trasformazione descritta nel primo canto del Paradiso (67-71): Nel suo aspetto tal dentro mi fei, / qual si fe’ Glauco del gustar de l’erba, / che ‘l fe’ consorte in mar de li altri dei. Trasumanar significa per verba, non si porìa; però t’esempio basti, a cui esperienza grazia serba.
Lo stesso processo è descritto in testi della letteratura Tamil: la dea amazzone incarna “il principio dello scambio” e assorbe in sé la mascolinità del devoto, che si sottopone a una contrazione simbolica, fino a che i due si fondono. Allora l’uomo rinnovato può prendere a guida il proprio piacere (“lo tuo piacere ornai prendi per duce” Purgatorio, XXVII, 131) e porsi in corono e mitrio”, vale a dire assumersi la suprema autorità spirituale e secolare, divenendo Uomo e Donna Cosmici.

Mitologia greca e indiana
Ben poco si sa di quanto veniva sussurrato nei misteri e all’interno dei templi in Grecia. Molti miti, tuttavia, acquistano un senso ulteriore quando vengono considerati su uno sfondo di pratiche di tipo tantrico. Ciò vale, per esempio, per un episodio del mito di Ercole.
Dopo aver ucciso il figlio di Eurito, Ercole viene a essere impuro, fuori equilibrio, ed Ermes si fa carico di lui, vendendolo come schiavo alla regina Onfale (òmphalos significa ‘ombelico’, il luogo del corpo umano dove le arti marziali orientali localizzano le energie ‘erculee’). La sua prima impresa al servizio della regina consiste nell’uccidere un serpente presso il fiume Sangarios, fiume in cui si è annegato per disperazione un uomo che aveva deriso gli eunuchi della Madre degli dèi. Compiuto tale gesto, Ercole viene rimesso in libertà ed è ora un androgino. Di notte fa l’amore con la regina, e di giorno vive e si veste come una fanciulla. Perfino Pan lo avvicina, una notte in cui gli accade di dormire da solo. Alla fine dell’episodio, Ercole ci appare perfettamente purificato ed equilibrato.
Un’altra storia che sembra accennare a pratiche tantriche è quella di Agdistis, nato da una goccia di sperma di Zeus caduta su una roccia, secondo una versione; o versata nel tentativo di stuprare Cibele, secondo un’altra. Agdistis è androgino, e gli dèi, temendone il proprio potere, lo privano dei testicoli. Dai testicoli di Agdistis nasce l’albero del mandorlo, carico di frutti maturi. Nel corso di questi eventi, una figlia del fiume Sangarios concepisce e dà alla luce Attis. Segue una complicata e infelice storia d’amore fra Attis e Agdistis, che termina con l’evirazione di Attis. In generale i miti in cui un amore normale è frustrato e viene a essere sostituito da scopi diversi suggeriscono pratiche tantriche, come avviene per l’androgino Orfeo, ucciso dalle donne infuriate per la sua freddezza.
Tali racconti appartengono tutti al disegno mitico detto ‘di Giuseppe e della moglie di Putifarre’ (dal Genesi, 39), in cui un bel giovanotto si comporta castamente nei confronti di una donna, che è spesso la matrigna di lui. Una versione della storia è quella di Ippolito e Fedra. Nella tragedia di Euripide, Ippolito è un iniziato del culto orfico del bisessuato Iacco e Fedra, sua matrigna, viene descritta come un’Amazzone.
La versione originaria è probabilmente quella contenuta nella leggenda buddhista degli occhi di Kunala: un casto giovane è sordo alle seduzioni di una donna che, per vendetta, lo fa accecare. Perdendo la vista carnale, il giovane acquista la visione soprannaturale.
Questo ci porta a un altro gruppo di miti greci, basati sull’accecamento e sull’illuminazione: le storie di Tiresia.
Apollo insegna a Tiresia, fanciulla di sette anni, la musica in cambio del suo amore; ma la fanciulla, una volta imparata quell’arte, gli nega i favori. Apollo la trasforma allora in un ragazzo. Zeus ed Era, impegnati in una disputa su chi provi maggior piacere nell’amplesso sessuale, se l’uomo o la donna, si rivolgono al ragazzo Tiresia. Questi risponde che il godimento della donna è nove volte superiore a quello dell’uomo. Era, furiosa per essere stata sconfitta nella disputa, lo trasforma nuovamente in una donna. Un ragazzo, amato da Poseidone, cerca quindi di possedere Tiresia mentre essa fa il bagno in uno stagno, e la donna per difendersi lo ferisce. Poseidone, adirato, trasforma Tiresia nuovamente in un uomo. Il successivo cambiamento di sesso avviene quando Tiresia offende Afrodite negandole un premio di bellezza: la dea, per punizione, lo trasforma in una vecchia megera. Ma Arachnos, l’uomo-ragno, s’innamora della vecchia e le conferisce il soprannome di Afrodite. Questo affronto la dea Afrodite non riesce a sopportarlo, perciò trasforma Arachnos in una donnola e Tiresia in un topo (che in Grecia è l’animale di Apollo, da cui ha inizio l’intera storia, e in India la cavalcatura del dio della saggezza, Ganesha).
In un’altra versione del mito, Tiresia, da uomo, vede due serpenti accoppiati. Colpisce la femmina con il proprio bastone e si trasforma egli stesso in una femmina. In seguito la donna Tiresia si trova di nuovo nella stessa situazione e colpisce questa volta il serpente maschio, ritornando a essere un uomo. La sessualità vajra allegoricamente in nuce. Un giorno Tiresia sorprende Artemide, dea della Luna, al bagno ed è punito con la perdita della vista; ma gli è concesso, in compenso, il dono della profezia. Atteone, che aveva anch’egli visto la dea bagnarsi, era stato trasformato per punizione in un cervo (che per le tribù sciamaniche di cacciatori rappresenta la conoscenza soprannaturale). In un altro aneddoto vagante del ciclo di Tiresia, la cecità gli è inflitta da Era per il suo verdetto in merito al piacere sessuale.
La controparte indiana di Tiresia è Narada, il saggio fra i saggi, la cui conoscenza manca tuttavia del tocco finale dell’androginia. Un giorno Narada vede Visnu e Laksmi fare l’amore, e deride il dio per essere stato stregato da maya, l’illusione cosmica. Per dargli una lezione, Visnu immerge Narada in uno stagno sacro e lo trasforma in una donna. Solo quando Narada, in quanto donna e madre, ha fatto esperienza del lutto di tutti i suoi figli, morti sul campo di battaglia, Visnu la trasforma nuovamente in un uomo. Narada è ora in grado di comprendere la saggezza degli amplessi divini. Solo nell’androginia l’adepto può trascendere maya, la cui base è il fatto che ogni cosa consiste di polarità opposte (com’è spiegato nella Bhagavad Gita, VII, 27:28).
Nello sivaismo lo stesso messaggio è contenuto nella storia degli asceti della foresta di pini. Essi sono un gruppo di eccezionali maestri yogici, che non hanno tuttavia raggiunto l’androginia. Siva perciò appare loro come un androgino di grande bellezza, il cui corpo è per metà quello della dea Uma, oppure come uno splendido giovinetto accompagnato da Visnu sotto forma femminile. Le mogli e i figli degli asceti (i loro sentimenti e le loro azioni?) si innamorano del dio. Invano gli asceti lo maledicono; alla fine sono costretti a invocare il suo perdono.
Le danzatrici del tempio di Tirucenkottu affermano di discendere dalle mogli di quegli asceti. Il mito forniva probabilmente una spiegazione del doppio sacerdozio, rappresentante le mogli e i figli degli asceti, convertiti al culto dello sivalingam.
Nella mitologia greca il ciclo di Tiresia, fa da perno a vari miti ad esso collegati, fra i quali spicca la storia di Edipo, ‘piede gonfio’. Figlio del re di Tebe, Laio, l’infante Edipo viene azzoppato e abbandonato dal padre per timore delle disgrazie a venire, profetizzate da un oracolo. Ma sopravvive e diventa un robusto giovane. Edipo un giorno uccide, senza sapere chi sia, il proprio padre, che lo ha investito con il carro ferendo il suo piede zoppo (secondo un’altra versione, Edipo uccide Laio per aver questi rapito il suo giovane amante). Edipo arriva quindi alle porte di Tebe, dove Era, custode della vita coniugale, ha collocato la Sfinge a seminare la desolazione nel paese per punire la pederastia del re. La Sfinge è una creatura con volto di donna, corpo di leone, coda di serpente e ali d’aquila, forse a rappresentare le quattro stagioni dell’anno. È la dea della morte e del potere. Edipo vince la Sfinge risolvendo l’enigma che essa propone ai viandanti: “Qual è l’animale che cammina dapprima a quattro zampe, poi a due, e infine a tre?”. La risposta di Edipo è: “L’uomo, che cammina a carponi da bambino, eretto da adulto e che si appoggia a un bastone da vecchio”. Egli può quindi entrare in Tebe e sposare la regina, sua madre. Egli è ora, Eschilo, ci dice, “il primo fra gli uomini”, “simile agli dèi”. Ma il cieco Tiresia barcollando si fa avanti, vede i più reconditi misteri del re e apertamente glieli svela. Apprendendo che ha ucciso il padre e sposato la madre, Edipo si cava gli occhi e diviene, come Tiresia, un saggio.
Un’altra diramazione delle storie di Tiresia è rappresentata dal mito di Narciso. Il dio-fiume Cefiso, avvolgendosi intorno alla ninfa Liriope, ‘colei che bagna il giglio’, la ingravida di Narciso. Il veggente Tiresia predice allora, nella sua prima profezia, che Narciso vivrà solo fin tanto che non vedrà la propria immagine. Narciso cresce e diventa uno splendido giovinetto che sdegna ugualmente il corteggiamento di uomini e donne. Un giorno, presso il monte Elicona, s’imbatte in uno stagno tranquillo. Secondo una versione del mito, Narciso s’innamora della propria immagine riflessa nell’acqua, che esercita un’attrazione magnetica nella sua parte femminile; secondo un’altra, crede di vedere nell’acqua l’amata sorella morta, che era stata identica a lui. Cade in uno stato di stupore e viene trasformato in narciso (che in greco significa ‘narcotico’, ‘stupefacente’). Tutti questi miti (ai quali va aggiunto quello di Ermafrodito) si possono considerare parte di un unico ciclo, scene di una grande opera. Essi riflettono, in senso generale, lo schema seguente. Un corteggiamento viene disdegnato, o una dea viene offesa, o un accoppiamento viene ostacolato, con la possibile indicazione recondita di un uso esoterico della sessualità. Vi è un’immersione in acque trasformatrici, o un contatto con serpenti. In entrambi i casi può trattarsi di un’allusione alle correnti interne di energia sottile.
A ciò segue una serie di cambiamenti di sesso: la propria immagine di sé ruota sul suo asse di simmetria. Nella sessualità tantrica le due correnti energetiche polari vengono solitamente stimolate alternativamente.
L’esito è una perdita della vista che conduce all’acquisizione di una visione spirituale o profetica, o del dono della musica, della padronanza dei ritmi.
Nel mito di Narciso, alla perdita della vista si sostituisce l’esplicita scoperta della qualità auto-illusoria della realtà manifesta, maya.

“L’Androgino e l’umana nostalgia dell’intierezza” di Elémire Zolla
Tratto dal Volume 1 – Gennaio 2011 –  di “Rebis” (L’Unità degli Opposti) TecnaEditrice

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