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320. La filosofia di Shankara di Sri Sathya Sai Baba

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I sei nemici dell’uomo (lussuria, ira, cupidigia, attaccamento, orgoglio, gelosia) si radicano nella mente umana quando è ottenebrata dall’ignoranza; infatti sono come uccelli notturni, come i pipistrelli e le civette, e non tollerano la luce. L’oscurità non si dilegua se le gettate contro dei sassi, non scompare neanche se l’attaccate con una spada o se le sparate con una pistola; andrà distrutta solo se accenderete una lampada. Shankara insegnò questa verità elementare a molti che ignoravano questo semplice fatto. Gli abitanti di questo Paese si erano persi nel rincorrere molti obiettivi perché la loro visione era offuscata dall’oscurità. Shankara insegnò loro che i Veda, le Upanishad ed i Testi sacri avevano solo l’Uno come fine, l’Uno senza secondo, cioè la filosofia del non-dualismo.

Quando Shankara era ancora un ragazzino, un giorno fece un’offerta rituale alla Divina Madre, la Divinità della sua famiglia, poiché il padre gli aveva raccomandato di farlo in sua assenza. Quando il bambino mise il latte davanti all’immagine sacra, pregò ardentemente la Madre Divina di berne un sorso, perché immaginava che così accadesse quando suo padre eseguiva il rito. Egli pianse con tanta sincerità che la Madre si sciolse ai suoi gemiti e bevve tutto il latte!
Shankara aveva visto il padre distribuire un cucchiaino di latte a tutti i familiari al termine dell’adorazione, ma ora la tazza era vuota e di latte non ce n’era più! Temendo di essere accusato di avere bevuto tutto il latte, si mise a piangere di nuovo e la Madre s’impietosì nel vedere le sue lacrime. Shankara considerava vivente quell’immagine, tanto che l’aveva obbligata a manifestarsi già una volta. La Madre Divina non fece scaturire il latte dal palmo della mano come faccio Io, ma premette il Suo seno materno e colmò la tazza. L’angosciato struggimento di Shankara era riuscito ad ottenere da Lei una risposta.

Analogamente, l’altro giorno Sri Ramamurty, che ora è seduto qui, a gridato: “Swami!” – con fede sincera ed in preda alla disperazione: sua moglie si stava torcendo dal dolore poiché le sue vesti avevano preso fuoco; ella era troppo presa dal panico per invocare il Mio Nome, ma Io ho udito il grido del marito e mi sono affrettato sul posto, che dista circa 400 miglia da qui, ed ho spento il fuoco prima che fosse troppo tardi.

Durante la sua infanzia, Shankara adorava le immagini sacre e conosceva bene il valore dell’aspetto di Dio dotato di forma e di attributi; egli consigliò la venerazione della Forma divina alla maggior parte della gente, anche quando era più avanti con gli anni. Ai bambini piccoli bisogna insegnare con l’aiuto di lavagnette su cui fare i disegni. I templi, le immagini e le foto sono le ‘lavagnette’ per chi ha fatto dei progressi spirituali. Se ad esempio vi trastullate con un elefante-giocattolo, non potete trarne l’esperienza del contatto con uno vero. Pertanto il ‘Senza Forma’ potrà essere concepito solo quando avrete trasceso la Forma stessa.

Quando Shankara pensò di rinunciare al mondo onde conseguire l’autorità necessaria per educarlo, sentì che doveva avere il consenso della madre per compiere questo passo. Un giorno, mentre si stava bagnando nel fiume Purna vicino a casa sua, si mise a gridare che un coccodrillo gli aveva afferrato una gamba, come nella storia dell’elefante Gajendra. Era vero, perché il ‘coccodrillo’ rappresenta l’esistenza terrena o il desiderio sensuale, per usare un altro termine.
Quando la madre arrivò di corsa al fiume, il ragazzo le disse che quel coccodrillo lo avrebbe lasciato solo se avesse preso i voti di rinuncia per diventare monaco! Anche questo era vero, poiché la rinuncia, il distacco e l’abbandono dei legami materiali sono il mezzo per salvarsi dalla schiavitù. La madre, spaventata, acconsentì ed il giovane lasciò la casa per cercare il suo guru e per scoprire, attraverso di lui, il segreto della liberazione.
Shankara visse solo trentadue anni, ma durante quel periodo purificò e consolidò le varie scuole di culto e le condusse tutte verso un unico principio filosofico, il non-dualismo, l’Advaita.

I grandi assiomi dei Veda inerenti alla Suprema Realtà, cominciarono nuovamente a risuonare nei cuori di tutti con il loro reale significato:

Essi furono spiegati con una logica semplice e convincente e con una vena poetica allettante. La filosofia di Shankara è la Verità Ultima e quindi può essere solo confermata, non alterata, dalle scoperte della scienza o dai voli dell’intelletto. Essa parla dell’unità della materia e dell’energia, del tempo e dello spazio, dell’universo che non è altro che l’Essere Supremo visto attraverso il velo di Maya, l’illusione.

Shankara sapeva che l’Advaita richiede un’intensa pratica spirituale per eliminare dalla mente dell’uomo ogni traccia di ego ed ogni idea di dualità. Pertanto, come disciplina preparatoria per far sorgere nell’uomo la consapevolezza della sua effettiva unità con la sostanza dell’universo, egli insegnò le regole dello yoga, della devozione e dell’azione santificata che, secondo il suo pensiero, illuminano l’intelletto, ripuliscono le emozioni e purificano il cuore. La filosofia del non-dualismo è la consapevolezza che il Divino è interamente ovunque ed in ogni cosa.

Proprio come primo passo della disciplina, Shankara consigliò di associarsi a persone buone e virtuose. La compagnia dei saggi e dei buoni fa sviluppare il distacco e l’amore per il silenzio e la solitudine, e questo favorisce la scomparsa dell’infatuazione e dell’attaccamento, che secondo l’esperienza di Arjuna era il frutto maturato ascoltando la Gita.

Raggiunto questo obiettivo, l’uomo si stabilisce fermamente nella Realtà della propria perfetta unità col Divino, della totale identità non-duale di ‘questo’ [universo] con ‘Quello’ [Dio]. Riconoscere tale identità costituisce il conseguimento della Liberazione.

Sri Sathya Sai Baba


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