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340. Verso un rinnovamento? di Tzvetan Todorov

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Piuttosto che nella rivoluzione politica o tecnologica, cercherei un rimedio ai nostri mali in una nuova evoluzione delle mentalità che permettesse di ritrovare il significato del progetto democratico e di equilibrare meglio i suoi principi fondamentali: potere del popolo, fiducia nel progresso, libertà individuali, economia di mercato, diritti naturali, sacralizzazione dell’umano. Intorno a noi è possibile cogliere alcuni segnali che dimostrano la necessità di questo cambiamento. Pensiamo ai dibattiti sollevati dalla recente crisi finanziaria (non sono stati seguiti da effetti concreti, ma almeno si è giunti a formulare delle domande fondamentali) o dagli incidenti tecnologici (come quello di Fukushima). O ancora, in tutt’altro ambito, a manifestazioni di strada in diversi paesi occidentali, come in Spagna o in Grecia, organizzate dagli “indignati”, quei giovani che chiedono non di sostituire la democrazia con un altro regime, ma di rendere la sua realtà più vicina al suo ideale: “Democrazia adesso”. Si tratta di movimenti spontanei, poco articolati, incapaci di formulare proposte concrete; eppure, il loro significato appare abbastanza chiaramente: rifiutano la svolta neoliberale assunta dai governanti di questi paesi. Ignoriamo ancora a che cosa porteranno, se una rinascita della democrazia o un’ondata di populismo, comunque è chiaro che esprimono una insoddisfazione sul funzionamento dell’attuale regime.
Gli obiettivi dell’azione politica non derivano dalla conoscenza del mondo, contrariamente a ciò che sostengono gli scientisti. Nondimeno, se non si interpreta bene la società in cui vive, si rischia di agire in direzione opposta. Per tale motivo è auspicabile tenere conto di ciò che ci insegnano le scienze umane e sociali sulle caratteristiche della vita individuale e collettiva degli uomini. Il realismo, qui, non si oppone né all’idealismo né alla politica ispirata a scopi morali, si pone al di là delle coppie immobilismo conservatore-volontarismo cieco, rassegnazione passiva-ingenua illusione. Solo quel realismo corrisponde alla vocazione dell’uomo politico. Non si può pensare compiutamente il futuro della democrazia se siamo convinti che il desiderio di arricchirsi corrisponda al bene supremo dell’essere umano, o che la vita in società sia una scelta tra le tante, un’opzione in un certo modo facoltativa.
Negli ultimi anni si è sviluppata una corrente di pensiero rispettosa dell’ambiente, che non si oppone alla scienza, ma che a una scienza molto parziale vorrebbe sostituirne un’altra, più completa, che tenga conto non soltanto degli esseri umani, ma anche del quadro naturale in cui vivono. Questa ecologia della natura necessita a sua volta di un completamento. Per citare nuovamente Flahault: “L’ecologia che conosciamo oggi è soltanto un’ecologia ridotta, nella misura in cui essa si limita a considerare l’essere umano in quanto organismo fisico che vive su questa Terra. Un’ecologia più estesa pensa la cultura e la società come l’ecologia pensa già il nostro ambiente fisico; s’interessa dunque delle condizioni dell’esistenza psichica, della vulnerabilità sua e di quella degli ecosistemi sociali”.
L’appartenenza culturale, la vita in società sono innate alla natura umana.
È nel quadro di una ecologia e politica come questa che si potrà tenere conto della complementarietà tra individuo e collettività, obiettivi economici e ricerca del senso, desiderio d’indipendenza e bisogno di attaccamento. Sempre in questo quadro si potrà vedere perché sia necessario resistere agli effetti del neoliberalismo, quali la sistematica sostituzione della legge con i contratti, le tecniche disumanizzanti di management o la ricerca del massimo profitto immediato. E sarà possibile riflettere sui vantaggi e sugli inconvenienti della diversità culturale o dell’imposizione dei medesimi valori morali a tutti.
Se ci si volge a considerare la scena mondiale, e non più quella di un solo stato, le lezioni dell’ecologia della natura devono nuovamente essere completate da quelle dell’ecologia sociale. La prima ci mette in guardia: la popolazione del globo aumenta incessantemente, gli abitanti di numerosi paesi dispongono ora dei mezzi per innalzare il proprio livello di vita, mentre le risorse terrestri in termini di energia, acqua o terre fertili sono limitate. La seconda, l’economia sociale, ci insegna che è passato il tempo dell’egemonia mondiale di un solo paese o anche di un solo gruppo di paesi, che l’umiliazione inflitta agli altri da una politica arrogante genera un risentimento dalle conseguenze nefaste persistenti, che non si può imporre il bene agli altri, anche quando si è sinceramente convinti della propria superiorità (come indubbiamente dimostrano le tumultuose vicende della democrazia in Medio Oriente). Ciò significa che siamo entrati in un mondo multipolare, in cui la negoziazione e la ricerca dell’interesse reciproco forniscono risultati migliori della dominazione, anche quando sia esercitata in nome del bene. Questa nuova prospettiva sulle relazioni internazionali non porta però a concludere, come faceva Bastiat, che procediamo tranquillamente verso l’armonia universale: gli interessi dei gruppi sono ancora divergenti, l’aggressione è sempre in agguato, la capacità di difesa rimane dunque necessaria.
Mi piacerebbe pensare che questo rinnovamento democratico troverà un luogo propizio nel continente che ha visto la nascita di questa forma di regime: l’Europa. È facile comprendere per quale motivo il quadro dell’Unione europea sia preferibile a quello degli stati-nazione di questo stesso continente, che dominavano il mondo solo cent’anni fa, alla vigilia della prima guerra mondiale: oggi sono diventati troppo deboli per essere in grado di modificare il processo di globalizzazione nella direzione che ritengono utile e per svolgere un ruolo attivo su scala mondiale. L’Europa, inoltre, dispone di alcuni vantaggi da far valere rispetto a paesi di dimensioni imponenti, paesi-continente come Cina, India, Russia, Stati Unuti, Brasile. È vero che per esserne consapevoli bisogna prendere le distanze rispetto all’attualità. I vantaggi dell’Europa sono per il momento soltanto potenziali, ma esistono. Ed è possibile che la tartaruga europea un giorno superi le lepri che attualmente la precedono, soprattutto se non avessero preso la giusta direzione …
Questi vantaggi si riconducono essenzialmente a una lunga pratica del pluralismo: quello delle etnie, molto diverse tra loro a causa della natura stessa delle terre che abitano, separate le une dalle altre da mari e alte montagne, ma costrette a restare in contatto; quello delle correnti di pensiero che, fin dall’antichità, si confrontano e s’influenzano reciprocamente: sofisti e platonici, cristiani ortodossi ed eretici, umanisti e antiumanisti, liberali e socialisti … La pratica del pluralismo, come sappiamo, è drammaticamente insufficiente a impedire i massacri che hanno insanguinato queste terre;  nondimeno, essa ha contribuito a formare una base di valori che dovrebbero permettere di contrastare le varie forme di disumanizzazione, quelle che oggi spaziamo dalla programmazione dei cervelli fino alla toyotizzazione dei comportamenti.
Queste caratteristiche delle popolazioni europee non bastano a evitare le derive della democrazia rappresentate dal messianismo, dall’ultraliberalismo o dal populismo, ma costituiscono un terreno dal quale muovere per opporre resistenza. Se soltanto riuscisse a cogliere l’opportunità che le si offre di rifondare così la democrazia, l’Europa contribuirebbe a perfezionare un modello che aiuterebbe a uscire dalla sterile contrapposizione tra società patriarcale repressiva e società ultraliberale disumanizzata, un modello che seguirebbero volentieri altri paesi, altrove nel mondo. Si comincia a sognare una “primavera europea”, che seguirebbe la “primavera araba”, capace di restituire tutto il suo significato all’avventura democratica, avviata da alcuni secoli. Non è giunto il momento di ascoltare e mettere in pratica l’appello attuale: “Democrazia adesso”?
Noi tutti, abitanti della Terra, siamo impegnati oggi nella medesima avventura, condannati a riuscire o fallire insieme. Anche se ciascun individuo è impotente di fronte all’enormità delle sfide, rimane il fatto che la storia non obbedisce a leggi immutabili, la provvidenza non decide il nostro destino e il futuro dipende dalla volontà degli uomini.


da “I nemici intimi della democrazia” di Tzvetan Todorov – Garzanti

 


Dello stesso autore in Edizione Garzanti:
Gli altri vivono in noi e noi viviamo in loro
La bellezza salverà il mondo
Il nuovo disordine mondiale
Memoria del male, tentazione del bene

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