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370. Le vie dello yoga di Giancarlo Celeste

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Di seguito la Relazione, sulle vie dello yoga, presentata in occasione del XX Seminario organizzato congiuntamente dalla Società Teosofica Italiana e dalla Federazione Teosofica Europea (Roma, 23-25 marzo 2012) sul tema:

“Le vie dello yoga: verso l’unione col divino”.

*****

Le vie dello yoga: dal sistema Samkhya al Samadhi

Patanjali, nel primo sutra del primo libro dice:
Atha Yoganusasanam: adesso vi parlo dello yoga; poi inizia ad illustrare lo stesso con il secondo sutra:
Yoga Citta Vrtti Nirodha.
Una prima traduzione del sutra riguarda le singole parole:
Yoga (unione con il divino)
Citta (principio mentale o mente)
Vrtti (modificazioni)
Nirodha (annullamento).

La traduzione è stata fatta partendo da un testo in sanscrito, scritto con un alfabeto sacro. Pertanto ogni singola lettera manifesta al contempo sia il suo senso occulto sia il suo significato allegorico, che potremmo definire il significante.
In linea generale, possiamo dire che la qualità occulta di una lettera manifesta se stessa con una idea o pensiero il cui significato (significante) è la singola lettera; la singola lettera ha un modo di esprimersi, Parola o Verbo; il Segno grafico esprime questo pensiero.
Si hanno pertanto:
Qualità occulta
Significante
Parola
Segno
Esiste quindi un cammino che dal trascendente conduce al segno e, di conseguenza, esiste un cammino inverso che dal segno conduce al trascendente.
Noi possiamo dire che esiste una genesi che parte dal trascendente per andare al materiale ed un esodo con il quale dal materiale si perviene al trascendente.
Il secondo sutra, letto da sinistra a destra, come noi siamo abituati, ci indica come l’unica realtà (Yoga) si perda a causa del principio mentale (Citta) che provoca le modificazioni (Vrtti) e che tali modificazioni portano all’annullamento (Nirodha) dell’unica realtà; questa è la genesi.
Letto all’inverso, è un esodo che ci dice che se noi annulliamo (Nirodha) le modificazioni (Vrtti) fatte dal principio mentale o mente (Citta) ritroviamo l’unica realtà (Yoga).
Ma, affinché la mente, organo che modifica l’unica realtà, ne possa effettuare l’annullamento, è necessario come essa sia stata influenzata da quelle qualità occulte che assumono dapprima il significato di idee, che poi si manifestano attraverso la parola (che è anche mantra) ed infine producono un segno rappresentato dalla singola lettera dell’alfabeto. La mente riceve l’impressione e si determina in base alle qualità che le si manifestano sotto forma di idee; queste ultime generano le Vrtti.
Potremmo affermare che la mente, all’inizio, è indeterminata, poi si determina, cioè acquisisce idee che formano le Vrtti.
Ma quali sono le idee che vanno annullate? Qual è la loro origine? Il sistema filosofico del Samkhya, uno dei punti di vista o Darsana della filosofia indiana, è alla base delle idee che Patanjali cerca di trascendere. Esso trae origine dalle Upanisad, commenti dei Veda, che sono rivelazioni divine. Il sistema filosofico indiano segue lo stesso percorso logico dell’insegnamento del Talmud. Esiste una rivelazione (i primi cinque libri del Pentateuco) che possiamo paragonare ai Veda. Poi esistono dei commentatori dei libri e tali commenti, effettuati da eminenti studiosi e chiamati Mishna, possono essere paragonati alle Upanisad. I commenti, chiamati Ghemara, costituiscono quello che viene chiamato Talmud. In India i Darsana o punti di vista sono l’insieme di commenti sulle Upanisad e potremmo definire la raccolta dei sei Darsana come il Talmud degli Indiani.
Attraverso la comprensione del sistema filosofico del Samkhya saremmo in grado di comprendere sia la Genesi sia l’Esodo, che per Patanjali è chiamato Astanga-yoga (yoga delle otto parti o fasi).
Lo yoga è, a sua volta, un altro punto di vista o Darsana e anch’esso trae origine dalle Upanisad e quindi dai Veda, entrambi influenzati dalle medesime Upanisad.

Vediamo gli elementi del SISTEMA SAMKHYA
Isvara
Mula-prakrti
Mahat
Ahamkara
Citta
5 sensi interni
5 sensi esterni
5 organi di senso esterni

Il Darsana Samkhya, che ho chiamato genesi o determinazione della realtà immanente da una realtà indeterminata, è possibile realizzarlo, cioè comprenderlo, attraverso la pratica dell’Astanga-yoga. Il cammino dell’Astanga-yoga e la sua realizzazione massima, indicata con Raja-yoga è l’esodo che vuole dire passare dal determinato all’indeterminato.
Ritorniamo allo schema del Samkhya, il cui primo elemento è Isvara. Esso è l’equivalente del Brahman indù di altri Darsana. In altre tradizioni lo possiamo paragonare all’ain soph aur cabalistico o all’Atoun (Aton) egizio; è quello che possiamo chiamare il trascendente o quello che nelle Upanisad è definito con una serie di negazioni: non è questo, non è questo, non è questo. Isvara è l’indefinito e l’indefinibile.
Mula-prakrti, secondo elemento del Samkhya, è la Prakrti immobile, cioè la potenzialità del cambiamento che, una volta iniziata la manifestazione, diviene la Prakrti che continuamente cambia.
Il terzo, Mahat, chiamato la buddhità universale, è l’insieme degli elementi costitutivi della saggezza. L’intero mondo delle idee costituisce pertanto Mahat o saggezza universale.
Un essere che viene in manifestazione si individualizza, cioè si determina e, per determinarsi, ha necessità di una sostanza o substrato nel quale manifestarsi. Possiamo chiamare tale substrato etere immobile, Mula-prakrti, vuoto coscienziale da riempire di esperienze o di idee che permettono alle stesse di venire in vita. Tali idee sono l’insieme di Mahat.
Ahamkara, il quarto elemento del sistema filosofico Samkhya, è l’essere che si individualizza.
Questo essere ha la capacità di scegliere le idee di Mahat, di individualizzarle e dare loro vita, iniziando la propria manifestazione attraverso la potenzialità del principio latente. Il Samkhya è un Darsana molto razionale e si fonda su due concetti fondamentali: il Purusa (non Agente) e la Prakrti che, nello stato di non azione, abbiamo chiamata Mula-prakrti. Seguendo il concetto razionale di causalità i filosofi del Samkhya giungono alla conclusione che Mula-prakrti è non causata. Ma siamo sicuri che solo Mula-prakrti sia non causata? E chi ha causato Mahat? E Ahamkara?
Se introduciamo il concetto di trinità, dicendo che Dio è uno e trino, possiamo dire che l’unità è indefinibile, quindi non-essere. La trinità necessita di un essere che si individualizza ed è eterno, di una saggezza preesistente e coeterna e di una essenza, anche essa preesistente e coeterna. Quindi tre principi coeterni attraverso i quali l’indefinito si manifesta. Nel Genesi è detto: “In principio (in potenza di essere) creò: elogi, at, ha shamalim”, cioè il principio della saggezza che è l’insieme di tutte le intelligenze creative, chiamate collettivamente Elohim, il principio di individualizzazione at (alef tau), che è la capacità di discriminare e di individualizzare la realtà, ha shamalim che, nella traduzione vulgata, è tradotto con la terra era immobile.
Le tre onde di vita dell’essere supremo rappresentano lo stesso concetto trinitario. La terza onda darà vita alla natura; la seconda è l’onda di vita delle intelligenze costruttive, siano esse Deva Superiori o Asura inferiori; la prima è la linea dell’umanità. Le tre onde di vita si fondono alla fine del loro percorso involutivo. Da lì inizia il percorso di ritorno dell’uomo alla unità originaria, che io chiamo esodo. Sembra di vedere raffigurato il percorso del Raja yoga che Patanjali ci indica nel secondo Sutra del primo libro e che ho all’inizio illustrato.
Il principio di individualizzazione Ahamkara pervade ogni essere e gli permette di determinarsi distinto da ogni altro essere. Per essere si intende una vita indipendente che ha un proprio spazio di coscienza e un proprio tempo di realizzazione. È stato detto che l’essere, di cui l’umanità è parte, è il logos solare; pertanto anche il logos solare ha il suo principio di individualizzazione o Ahamkara che gli permette di distinguersi da altri logos solari. Terminato il suo tempo, termina anche il suo spazio e terminano le idee che lo hanno definito durante quello che noi chiamiamo un giorno di Brahma e termina la sua individualizzazione, che è una vita distinta dal suo non essere. Anche l’uomo compie lo stesso percorso: egli si individualizza, apprende (evolve), utilizzando la Prakrti che è cangiante (Parinama) perché plastica, in quanto viene impressa dalle idee provenienti dal serbatoio di Mahat.
Questo essere non condizionato ma individualizzato è Purusa che è della stessa natura di Isvara o logos solare, mentre Prakrti è Manas; Prakrti o Manas esprimono qualità identiche.
Il Manas (mente) è vergine all’inizio del percorso di individualizzazione come Mula-prakrti lo è per il logos solare.
Come il Mula-prakrti è un vuoto da riempire per il Logos solare così Manas è un vuoto da riempire per l’essere umano.
Abbiamo così due trinità.

La trinità divina o solare è:
Mula-prakrti
Mahat
Ahamkara

La trinità umana è:
Manas (che è Prakrti vergine all’inizio)
Buddhi (la parte di Mahat che imprime il Manas)
Ahamkara

Ahamkara, quando lo rapportiamo all’uomo, è il principio di individualizzazione dell’essere umano dotato di libero arbitrio. È il libero arbitrio dell’Ahamkara che determina l’accettazione delle idee che provengono dal Mahat universale e costituiscono la realtà cangiante del Manas, per cui è detto che Prakrti o Manas è Parinama, che in sanscrito significa cambiamento.
Anche l’uomo ha un suo spazio-tempo simile al giorno e alla notte di Brahma, cioè vive periodi di esperienze di vita e periodi di riposo. I periodi di vita sono le reincarnazioni; lo spazio tempo tra due incarnazioni è una notte del principio umano.
Per proseguire il discorso vorrei accennare alla Genesi secondo il saggio Vasistha.
Quando la presenza divina volle determinarsi con la sola intenzione si trasformò in Paramatman; quando tale determinazione si accrebbe apparve Ahamkara; quando fu aggiunta una ulteriore determinazione acquisì il nome di Mahat o intelletto universale. Dalla volizione (samkalpa) del Mahat apparve Manas, dalla volizione (samkalpa) del manas furono creati cinque jnanendria (organi di conoscenza). Dal samkalpa (volizione) dei cinque sensi furono creati cinque karmendriya (organi di azione). Dalla volizione (samkalpa) dei karmendriya apparvero cinque organi di senso: naso, bocca, occhi, pelle, orecchio. Da questo passo di Vasistha comprendiamo che gli organi di azione sono collegati con gli organi di senso esterni. Ma gli organi di conoscenza a che cosa sono collegati o, per meglio dire, quali conoscenze devono acquisire? Gli organi di conoscenza sono collegati ai cinque elementi: etere, aria, fuoco, acqua, terra. Infatti servono per intuire e quindi conoscere i cinque elementi. In India questi elementi sono akasa-etere, vayu-aria, tejas-fuoco, ap-acqua, prthivi-terra e derivano tutti dal primo akasa o etere o substrato primordiale da cui tutto parte. C’è una evidente identità tra akasa-Etere e la Mula-prakrti o Prakrti immobile.
Poiché si sta parlando di akasa vogliamo aggiungere che esistono tre akasa: Cid-akasa, etere coscienziale; Mana-akasa, etere che circonda gli esseri; Bhutakasa, etere che circonda gli elementi. Cid-akasa è non generato (ajanya).
Il sistema Samkhya deve molto al saggio Vasistha. Il concetto Mula-prakrti del Samkhya corrisponde al Cid-akasa quindi, dal punto di vista cosmico, Isvara è il logos solare e Mula-prakrti è lo stato di coscienza universale e/o solare. Il saggio Vasistha ci dice che dalla volizione di Mahat fu creato Manas. Manas è allora la determinazione mentale individualizzata e Mana-akasa è la sostanza mentale o etere mentale che circonda gli esseri. Mentre l’akasa, chiamato Cid-akasa, è un etere coscienziale che attiene ad Isvara o essere assoluto, l’etere chiamato Mana-akasa è l’etere di ciascun essere individualizzato ed è pertanto l’akasa dell’uomo. Mula-prakrti è non causata, dice il Samkhya, ma il concetto di Mula-prakrti si riferisce al logos solare. Ahamkara è, a livello umano, non causato come Isvara, Manas è vergine all’inizio della individualizzazione come lo è Mula-prakrti a livello cosmico. Ahamkara ha in , per individualizzarsi, la capacità di generare (che è volizione) e la capacità di esserre impresso dal Mahat da cui è condizionato. Arriviamo pertanto alla conclusione che il Manas diventa Parinama, cioè soggetto ai cambiamenti derivati dal mondo delle idee, che collettivamente è Mahat. L’Ahamkara dell’uomo è allora il Purusa che non si confonde con la mente (Manas) e diventa l’osservatore del sistema Samkhya. La liberazione dai condizionamenti del Manas è equivalente all’annullamento delle modificazioni della unità che Patanjali chiama Vrtti. Riassumendo: Isvara o logos solare, seguendo il suo Ahamkara o sua volizione, esprime se stesso manifestandosi attraverso Cid-akasa, che corrisponde a Mula-prakrti ma, non potendo un essere assoluto subire limitazioni o condizionamenti da Mahat o intelletto universale, se ne deduce che anche Mahat è non causato. Allora la divinità è una, ma trina. La sua trinità è Mula-prakrti, Mahat, Ahamkara, tutte e tre non causate, sempre coeterne con l’assoluto indefinito. L’assoluto, per passare dal suo stato di indeterminazione o indefinitezza e rendersi manifesto, ha necessità di autolimitarsi; pertanto medita all’interno del proprio essere tre principi che poi manifesterà nella vita una, ma trina. L’uomo ha il suo Ahamkara (individualizzazione) che si può chiamare Atman, il suo akasa (Manasakasa) che è la mente vergine, mentre le Vrtti sono le visioni parziali, perché individualizzate dal libero arbitrio, che gli provengono dal Mahat o mondo delle idee.
Una volta determinato in estrema sintesi il quadro di riferimento dello Yoga e del Samkhya con l’aiuto del Saggio Vasistha possiamo affrontare il ritorno alla unità: l’Astanga-yoga.
L’Astanga-yoga è una suddivisione pratica del cammino da percorrere da parte di chi vuole ritornare alla unione con il divino. Solo chi ha intenzione di percorrere tutte le otto fasi di questo percorso: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi, si dice che pratichi il Raja yoga.
Chi inizia la pratica deve procedere per gradi e realizza, o meglio migliora, ogni parte di questo cammino proprio procedendo. Se il percorso è un cambiamento continuo, lo si rappresenta come una salita senza gradini. Un cambiamento è invece discreto quando una salita viene rappresentata da un insieme di gradini. Il percorso dell’Astanga-yoga è un percorso continuo. Tutto ciò è indicato da Patanjali sia espressamente sia tacitamente in vari sutra.
Yama: Ahimsa-non violenza, Satya-sincerità (in parole, pensieri, azioni), Asteya-non appropriarsi di cose altrui, Brahmacarya-continenza sessuale, Aparigraha-mancanza di avarizia.
Niyama: dovere religioso, purezza interiore ed esteriore nel pensiero e nelle azioni, rifuggire dalla lussuria, dalla sensualità e dalle vanità mondane, uniformarsi ai doveri religiosi della propria dottrina, amare profondamente e costantemente Dio.
Asana: posizioni, dominare il corpo, usare Asana utili.
Pranayama: controllo del prana o energia vitale.
Pratyahara: dominio dei sensi.
Dharana: concentrazione o dominio della mente.
Dhyana: meditazione.
Samadhi: contemplazione, o estasi divina.
I primi due, più che punti di partenza, sono punti di arrivo che si realizzano più compiutamente con il progredire nelle altre parti dell’Astanga-yoga.
Come punti di partenza, Yama e Niyama sono i comportamenti che dobbiamo mettere in pratica primariamente: essi corrispondono a norme elementari di comportamento fisico senza le quali non è possibile seguire alcun percorso di ricerca spirituale. Occorre stare attenti a non mangiare troppo, a non bere alcolici, a non usare violenza nei confronti degli altri. Sono tutti quei comportamenti che impongo a me stesso per rispetto di me stesso o degli altri. Questa fase, se usassimo un linguaggio alchemico, è la fase del lavoro con l’elemento terra; in India è chiamata lavoro sul corpo eterico.
Asana e Pranayama sono due termini più complessi. Con Asana si intendono tutte quelle posizioni fisiche che si eseguono all’inizio di ogni pratica di yoga, con lo scopo di rilassare il corpo, eliminare le tensioni, rafforzare e curare il corpo fisico. Sembrerebbe questo un lavoro da fare sul corpo eterico, cioè un lavoro sull’elemento terra. Niente di più sbagliato; queste pratiche lavorano sul corpo astrale o emozionale.
Su di esso ci sono le tensioni, i nodi irrisolti della nostra vita, i dolori passati e presenti. Curando il corpo astrale automaticamente si cura il corpo fisico, perché le nostre malattie hanno sempre origine sul piano astrale e manifestano se stesse sul piano fisico-eterico. Per curare il corpo astrale le sole posizioni non sarebbero sufficienti, occorre accompagnare le Asana con la pratica del Pranayama. Il Pranayama è la scienza del respiro (scienza, perché prana vuol dire energia vitale e yama vuol dire ciò che conosce la strada).
Il Pranayama è la scienza del movimento dell’energia vitale per la scoperta e la cura dei nostri problemi astrali o emozionali. Questo, in alchimia, è il lavoro sul nostro elemento acqua.
Per eseguire le Asana e gli esercizi di Pranayama occorre usare l’attenzione concentrata che ci apre la strada del Pratyahara e di Dharana. Il Pratyahara serve a purificare i sensi interni e a renderli adatti alla intuizione e al Dharana, un insieme di tecniche di concentrazione che richiedono attenzione al respiro, nella sua forma di inspirazione, di espirazione e di ritenzione a polmoni sia vuoti sia pieni, che contengono visualizzazioni, numerazioni, recita di mantra verbali o ripetuti mentalmente.
La mente, per raggiungere questo stato, deve essere via via sempre più concentrata in quello che fa, non distratta da pensieri mondani. Il Pratyahara prima e la Dharana dopo preparano la mente a questo stato, sostituendo agli oggetti esterni oggetti sempre più spirituali, quali simboli o pentacoli, un mantra verbale o non verbale. La recitazione di parole sacre o di nomi divini che accompagnano visualizzazioni e numerazioni, essenza della Dharana, portano fino allo stato del silenzio mentale, della meditazione. Entrambi predispongono la mente ormai concentrata e diretta alla meditazione, al Dhyana prima, al Samadhi poi. In alchimia ciò corrisponde al lavoro sull’elemento aria.
Patanjali dice che, quando si raggiunge la perfetta unione tra il soggetto che osserva e l’oggetto osservato, si ha lo stato di meditazione. Il lavoro sugli ultimi elementi dell’Astanga-yoga, Dhyana e Samadhi, costituisce quello che, nella pratica alchemica, è chiamato lavoro sull’elemento fuoco. Molti definiscono il Dhyana contemplazione, per altri contemplazione è il Samadhi. Le due visioni sono semplici parole, in quanto Dhyana e Samadhi sono intimamente collegate. Infatti, se è vero che l’unione tra il soggetto e l’oggetto osservato è Dhyana, allora sarà vero anche che Dhyana, che è meditazione, porta al Samadhi, che è contemplazione quando l’oggetto della meditazione sia l’indefinito. Dhyana vale anche per Samadhi. Infatti, come si fa a raggiungere lo stadio di Samadhi se la mente non è intimamente immedesimata (Dhyana) sull’indefinito? C’è da aggiungere che Samadhi è di due tipi: con seme e senza seme. La mia interpretazione dei due Samadhi è la seguente: il Samadhi con il seme è la consapevolezza della saggezza divina a proposito della quale Krsna dice ad Arjuna: “Il sacrificio della conoscenza vale più di ogni sacrificio materiale. Qual è il fine della conoscenza? Una costante tensione verso la ricerca spirituale ed una visione della verità che assicura la liberazione: questa è la saggezza della conoscenza. Quando l’uomo ne diviene consapevole si avvicina all’immortalità, cioè al Brahman senza inizio, al Brahman supremo, oltre tutto ciò che non è. Coloro che mangiano il cibo sacro (la saggezza) dopo il sacrificio di questa attingono all’eterno Brahman. Il mondo di Brahman (ultima consapevolezza) non è per chi non offre”.
Ma esistono due offerte: per me quella della saggezza è il Samadhi come seme, mentre l’annullamento del senso dell’io è il Samadhi senza seme. Il Samadhi senza seme fa coincidere l’Ahamkara dell’essere umano all’Ahamkara del logos solare o, se esiste un Ahamkara planetario, all’essere chiamato Terra. Questo è il senso dello Yoga.

di Giancarlo Celeste

 

Giancarlo Celeste è presidente del Gruppo Teosofico “Saint Martin” di Roma.

 

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